onde del mare. mare aperto. oceano

Pianeta acqua, uscito per Mondadori il 1° ottobre, è il saggio più recente di Jeremy Rifkin. L’autore propone di lasciare che le “acque seguano il loro corso” e l’uomo cessi di imbrigliarle, sottomettendole come tutto il mondo naturale da seimila anni a questa parte, al proprio dominio. Solo in questo modo l’umanità potrà convivere con la “rinaturalizzazione delle acque” che sta travolgendo la civiltà idraulica.

Chi è Jeremy Rifkin

Economista e sociologo, di Denver (Colorado), alla soglia degli ottant’anni e con oltre venti titoli alle spalle – tra cui i best seller Entropia 1980, sulla fine delle risorse energetiche; Ecocidio, del 1992, suo manifesto vegano, L’era dell’accesso, 2000, sulla rivoluzione della new economy, – è ancora attivo sul fronte ambientalista.

La rinaturalizzazione dell’acqua

Al centro di Pianeta acqua c’è la rilettura dell’origine della civiltà sul nostro pianeta con “l’acqua come motore primo”. Per questo Rikfin si focalizza sulle conseguenze del riscaldamento climatico sul fattore idrico: la catena di alluvioni, fasi di siccità prolungata e piogge di intensità fuori dalla norma che si registrano in modo crescente. Queste catastrofi sono il segno della “rinaturalizzazione” dell’idrosfera, è la sua tesi. Un’emergenza che potrebbe portare “alla sesta estinzione della vita sulla terra” ed è determinata dal definitivo logoramento dei rapporti tra l’umanità e “le specie che le sono compagne”, nel linguaggio a tratti poetico di Rifkin. La causa? Il modello di società che da seimila anni l’umanità ha sviluppato, la civiltà idraulica.

La civiltà idraulica, predatoria e dominante

Lungo i grandi fiumi, a partire da Tigri ed Eufrate, per continuare con Nilo, Gange, Indo, Huang He in Cina e quindi nell’Impero Romano, la costruzione di sbarramenti, canali, dighe, acquedotti, alterò per sempre la biologia naturale delle regioni. E dette impulso a civiltà che sfruttarono a unico vantaggio umano le risorse naturali, e con l’agricoltura e l’allevamento costruirono un crescente benessere. Di qui l’urbanesimo, i commerci, la civiltà come la conosciamo che attraverso l’Età del Progresso ci ha condotto alla crisi attuale.

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La copertina del libro Pianeta acqua do Jeremy Rifkin

Nuove parole per un mondo nuovo

Jeremy Rifkin, che fu ascoltato consigliere economico sia dell’Unione europea in epoca Prodi, che del governo cinese, procede con stile da conferenziere. Ripete più volte i concetti principali, coopta al suo ragionamento filosofi – Kant, Schopenhauer, Locke – poeti e scrittori, avvalora i suoi ragionamenti con un vasto apparato di dati economici e scientifici. Chiama in aiuto un lessico se non nuovo, perché in parte già utilizzato nelle sue opere precedenti, particolare, che vuole sottolineare la necessità di un “cambio di paradigma”.

Età della resilienza collaborativa con la natura in contrapposizione alla predatoria età del Progresso. Società effimera, che privilegia quanto – dai mobili, agli edifici alle infrastrutture alle intere città – può essere smontato e rimontato altrove, al seguito delle acque rinaturalizzate e del loro riappropriarsi del Pianeta. E che su scala più grande disegna una civiltà dove il nomadismo di persone e popoli torna a prevalere sulla stanzialità. Idroismo, modello economico di una civiltà che ha superato il paradigma capitalistico.

La parabola che disegna della storia della civiltà affascina. Ma se questa è la diagnosi del male che affligge il Pianeta acqua, quale può essere la terapia?

Liberare le acque

Nelle 375 pagine di Pianeta acqua (di cui una quarantina di note) si hanno più piste da percorrere. La proposta portante è tuttavia la necessità di liberare le acque: aprire le chiuse, abbattere le dighe, accettare che le acque sotto la spinta del riscaldamento climatico riprendano lo spazio che la civiltà umana ha loro sottratto, disegnando un nuovo equilibrio per il pianeta. A cui l’umanità, per sopravvivere, impari ad adattarsi.

“Più facile a dirsi che a farsi” ammette Rifkin. Che affianca alle proposte di una nuova riorganizzazione mondiale, basata su nuove parole d’ordine – appunto società effimera, liberare le acque, idroismo, acquaverso, etc – appelli dal tenore messianico.

Secondo l’autore il modello di società che da seimila anni l’umanità ha sviluppato è una civiltà idraulica

Una questione di vita o di morte

«Il sistema capitalistico sta assumendo un atteggiamento di retroguardia nel tentativo di salvare i suoi rimanenti investimenti di capitali», si legge in Pianeta acqua a proposito delle assicurazioni che tendono negli Usa e altrove a negare copertura per le case costruite in zone a rischio allagamento (frequentemente abitate dalla popolazione più povera).

E ancora: «Le acque si stanno liberando e la nostra specie dovrà imparare a adattarsi alle acque abbandonando l’ingenua finzione che possiamo continuare ad adattare l’acqua ai capricci della nostra specie».

La soluzione? «Ribaltare il nostro rapporto con l’idrosfera, passando dall’adattamento delle acque alla nostra specie all’adattamento della nostra specie alle acque» scrive Rifkin.

Di mezzo un ordine mondiale da riformare, con una governace diffusa bioregionale, commisurata alla fluidità che non conosce confini delle masse acquee in movimento. Più facile a dirsi, appunto…

Pianeta acqua e ritorno all’Eden?

Si farebbe torto a Rifkin trascurando, tuttavia, di citare le tante iniziative concrete che il libro propone. In campo energetico, in quello agricolo, o della raccolta dell’acqua piovana, tra le altre.

Il progetto visionario di Pianeta acqua non rinuncia infatti a quello che l’età del Progresso ci ha consegnato sul piano scientifico e tecnologico, seppure intenda volgerlo a fini diversi. È a una infrastruttura digitale intelligente, infatti, che Rifkin affida la nuova impostazione della ricerca scientifica. Suo, tra gli altri, il compito di raccoglierre dati in tempo reale, sorvegliare e fare modelli della rinaturalizzazione della natura, dunque non della sola idrosfera, per permetterci di adattarci ad essa.

Basterà? «Non possiamo più nasconderci dietro le iniziative climatiche blande e frettolosamente raffazzonate che si sono dimostrate del tutto inadeguate ad affrontare l’enormità della crisi planetaria che abbiamo di fronte» conclude l’uomo che si è lungamente battuto per politiche energetiche responsabili e ha collaborato con i potenti della Terra. Forse questo è il vero messaggio.

Luisa Brambilla

© Riproduzione riservata. Foto: Depositophotos.com

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