Nel 2016 il Cile, Paese con tassi di obesità allarmanti come quasi tutti quelli del Sud America, ha varato un articolato piano in tre fasi, che prevedeva, tra l’altro, regole sulle etichette e sui bollini neri ottagonali che segnalano cibi e bevande da evitare, limiti alla pubblicità, tassazioni specifiche, criteri per i pasti scolastici e divieto di vendita di junk food nelle scuole.
Il piano del Cile contro l’obesità
Dopo la prima fase, del 2016, alcuni studi avevano segnalato le ricadute positive delle nuove misure sulla consapevolezza generale. Per esempio, le madri acquistavano meno alimenti poco sani per i figli grazie alle etichette, i bambini erano finalmente meno esposti alla pubblicità, la disponibilità di prodotti altamente calorici e poco nutrienti nei negozi e nei supermercati era diminuita, le vendite di tutto ciò cui era stato apposto il bollino nero erano calate, e i pasti serviti nelle scuole erano migliorati.
Poi, nel 2018, sono state introdotte le regole della seconda fase, ancora più severe e stringenti. Per esempio, i valori soglia oltre i quali a un certo alimento o bevanda viene apposto il bollino nero sono diminuiti sensibilmente, mentre il divieto di pubblicità del cibo non sano è stato esteso alle ore del mattino (tra le sei e le dieci), senza limitazioni per il tipo di pubblico. Di fatto, in Cile, in quelle ore è vietato pubblicizzare qualunque alimento o bevanda che non rientri in parametri promossi dalle linee guida nutrizionali in qualsiasi tipo di programma: un passo in avanti coraggioso.
La fase 3, varata a partire dal 2019, ha ulteriormente abbassati i limiti. Per esempio, la concentrazione massima di sodio per non avere il bollino nero è passata da 800 milligrammi ogni cento grammi di prodotto a 500 mg, quella di zuccheri totali da 22,5 a 15 g, sempre per cento di prodotto, le calorie da 350 a 300 e i grassi saturi da 6 a 5 g/100 g. Per le bevande, il cambiamento ha riguardato solo le calorie, scese da 100 a 80 per 100 millilitri e gli zuccheri, da 6 a 5 g/100 ml.
Lo studio sulla fase 2
Per verificare l’efficacia dei provvedimenti della seconda fase, analogamente a quanto accaduto per la prima, i ricercatori dell’Università di Santiago del Cile e della Carolina del Nord di Chapell Hill (Stati Uniti) hanno analizzato i dati di vendita di un campione significativo di popolazione, relativo a oltre 2.800 famiglie, e hanno riportato i risultati – molto dettagliati – su PLoS One.
Per controllare il tipo di alimento o bevanda acquistato, i ricercatori hanno suddiviso i prodotti in due grandi categorie: quelli “a elevato contenuto di” per esempio grassi, zuccheri o sodio, e quelli che non sono “a elevato contenuto di”, utilizzando come riferimento gli stessi valori stabiliti per applicare le etichette e le altre limitazioni. Quindi hanno analizzato i dati relativi a tre anni prima dell’introduzione della fase 1, e cioè dal 2013, fino all’entrata in vigore della fase 3, a giugno 2019, e hanno visto effetti molto rilevanti.
Calano le vendite di prodotti poco sani
Nella fase 2, infatti, si è avuto un calo delle vendite dei prodotti “a elevato contenuto di”, che si è tradotto in una riduzione del consumo di zucchero del 36,8% rispetto al 2013, mentre la diminuzione della calorie è stata del 23%, quella del sodio del 21,9% e quella dei grassi saturi del 15,7%. Parallelamente, sono aumentate le vendite di alimenti e bevande dell’altra categoria, quelle dei prodotti “non a elevato contenuto di”.
Un altro elemento molto interessante, e che non farà piacere alle aziende produttrici di bevande zuccherate, è che il calo degli acquisti di prodotti con troppo zucchero e troppe calorie è da attribuire, in larga parte, a quello delle bevande zuccherate, mentre quello dei prodotti con troppo sodio e grassi ai cibi solidi. Inoltre, le variazioni visibili durante la fase 2 sono state di entità maggiore, rispetto a quelle viste nella fase 1, a dimostrazione del fatto che regole più severe sono anche più efficaci. Tra l’altro, non sono emerse differenza significative in base allo stato socioeconomico di chi acquista, probabilmente perché l’effetto più rilevante è quello di sensibilizzazione. E questo è positivo, perché dimostra che le misure non danneggiano o privilegiano nessuno, ma ricadono su tutti.
Il caso del Cile si conferma quindi come una delle realtà più significative, tra quelle dei Paesi che stanno cercando attivamente di combattere l’obesità e il cibo scadente con progetti articolati e di medio-lungo termine. Una realtà che lascia ben pochi argomenti a chi continua a sostenere che certe iniziative siano inutili.
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Giornalista scientifica
Ottimi risultati. Ma si è osservato un aumento dello stato di salute dei Cileni? L’obesità e le malattie correlate sono effettivamente in calo?
Il tempo di latenza per osservare effetti su obesità e malattie correlate è lungo; per gli effetti sulla mortalità ancora più lungo. Ma se i cileni mantengono l’attuale ritmo di monitoraggio degli effetti delle misure adottate, i risultati arriveranno.