Fino a poco più di due secoli fa il porto di New York, che si estende tra i quartieri di Manhattan, Staten Island, Brooklyn, Bronx e Queens e arriva fino a lambire il New Jersey, era protetto da una barriera naturale ampia oltre 900 chilometri quadrati e costituita da ostriche orientali (Crassostrea virginica), dette anche atlantiche, che nei secoli avevano costruito una diga gigantesca. Nel 1927, tuttavia, della barriera atlantica non restava quasi più nulla: i molluschi erano stati decimati dall’inquinamento degli scarichi a mare delle nascenti industrie e dall’apprezzamento dei consumatori che, sempre più numerosi, chiedevano ostriche al ristorante e nelle rivendite di pesce.
Anche basandosi su quella storia, dieci anni fa è nato il progetto no profit Billion Oyster che ha lo scopo di mettere a dimora e mantenere in vita un miliardo di ostriche entro il 2035. In occasione del decennale, Nature ha fatto il punto sul programma, che sta avendo successo, ma che deve anche fare i conti con non poche difficoltà.
Il progetto e i traguardi raggiunti finora
Per ripopolare le acque di New York con le ostriche, il protocollo prevede di mettere in acqua delle sfere bucate del diametro di circa un metro, realizzate con i gusci delle ostriche raccolte dai 60 ristoranti che aderiscono al progetto, mischiati con un cemento ecologico, e di riempirle di larve di ostriche, che dovrebbero aderire al substrato, crescere e poi riprodursi. Finora, le sfere sono state immerse in 18 punti e realizzate con oltre due milioni e mezzo di gusci riciclati.
Il progetto, inoltre, coinvolge gli studenti delle scuole, per riuscire a “seminare” più ostriche possibile, sensibilizzando al tempo stesso i ragazzi, e consentendo loro di passare più tempo all’aperto, svolgendo anche un po’ di attività fisica; finora, hanno partecipato cento scuole, con circa 20.000 studenti.
Le larve, che di solito si insediano entro un raggio di 400 metri rispetto ai genitori, dovrebbero colonizzare l’ambiente circostante le sfere e, piano piano, ricostruire la barriera. Se tornasse a esistere uno sbarramento naturale, questo potrebbe avere un ruolo decisivo nel proteggere la città dagli eventi atmosferici estremi e dall’innalzamento del livello del mare dovuto al riscaldamento del clima, migliorando al tempo stesso la qualità dell’acqua, per l’effetto di filtrazione. Non ci sono ancora le prove che il tutto funzioni, ma il ritorno delle ostriche ha comunque effetti positivi, perché favorisce l’aumento della biodiversità, oltre a rifornire la città di un alimento nobile dal punto di vista nutrizionale, e a km zero.
I problemi delle ostriche
Ci sono tuttavia alcune criticità. In natura, infatti, le ostriche producono moltissime larve, perché circa la metà di quelle nate vive sono destinate a morire. E lo stesso si sta verificando con le sfere. Nell’ultimo anno, per esempio, si è provveduto all’inserimento di circa 122 milioni di ostriche, metà delle quali non sono sopravvissute, mentre l’altra metà ha iniziato a riprodursi. Tra le cause della morte ce n’è anche una probabilmente molto meno presente due secoli fa: l’inquinamento acustico, di cui le larve risentono molto, perché utilizzano in sistema acustico per rilevare la zona su cui insediarsi e, quindi, in presenza di troppi suoni, si disorientano.
Contro di esso, a oggi, si può fare ben poco, a meno di non creare zone in qualche modo tutelate. E poi c’è l’inquinamento degli scarichi industriali, tuttora presente e particolarmente evidente dopo le piogge che, di anno in anno, sono sempre è più poderose. Infine, anche le ostriche di New York devono fare i conti i patogeni, in questo caso con Haplosporidium nelsoni e Perkinsus marinus, due parassiti che hanno accorciato la vita media a tre-cinque anni, mentre probabilmente quelle di due secoli fa arrivavano a vivere tra i dieci e i vent’anni. La presenza di patogeni, inoltre, inficia la capacità di costruire barriere molto alte e robuste.
I progetti simili
Al di là di tutti i problemi, il progetto sta comunque andando avanti, e facendo proseliti anche in altre parti del mondo, ricorda ancora Nature. In particolare, sta avendo successo l’iniziativa lanciata nell’Australia del Sud, dove le ostriche, dove si sta reinsediando un altro tipo di ostrica, quella piatta o Ostrea angasi. Secondo quanto riferito su Restoration Ecology, i risultati delle prime semine nell’unica zona dove ancora sono presenti le ostriche, in Tasmania, si vedono eccome. Inizialmente erano stati introdotti scogli e larve di ostriche in 14 punti. A due anni e mezzo di distanza la densità delle ostriche “nuove” ha superato quella delle ostriche autoctone della zona vicina, a crescita spontanea, e anche biodiversità e filtrazione dell’acqua sono considerevolmente aumentate.
Infine, anche nel mare del Nord sono in corso sperimentazioni per sfruttare le pale eoliche offshore come base per nuove colonie di ostriche. In quel caso il progetto è nelle fasi iniziali, e per avere i primi risultati occorreranno almeno due-tre anni, ma dal momento che intorno alle pale non ci sono i fattori di stress che hanno portato alla scomparsa delle ostriche come l’inquinamento dei fiumi e il rumore delle imbarcazioni, le speranze sono fondate.
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Giornalista scientifica
Splendida soluzione a più di una criticità!