Non sono bastate le rumorose proteste degli agricoltori poco prima delle ultime elezioni europee: la Danimarca va avanti nel suo progetto di decarbonizzazione. Il suo Parlamento, il Folketing, composto da 179 membri, dopo una discussione con gli allevatori, con le aziende del settore e con le associazioni ambientaliste e di consumatori, ha varato la prima legge al mondo sulle emissioni dei bovini (e dei suini).
La tassa sulle emissioni dei bovini
Ogni allevatore dovrà infatti pagare formalmente circa una quarantina di euro per tonnellata di emissioni all’anno dal 2030, e poi circa cento dal 2035. In realtà, per una serie di sgravi fiscali, il costo effettivo dovrebbe essere rispettivamente pari a 16 e 40 euro, sempre per ogni tonnellata di CO2 equivalente emessa. Si stima che, in media, ogni bovino emetta 5,6 tonnellate di CO2 equivalente all’anno. Ciò significa che, applicando gli sgravi fiscali, si arriva a circa 90 euro per capo dal 2030, e circa 225 dal 2035. Inoltre, nei primi due anni di entrata in vigore, gli introiti della tassa saranno devoluti a una serie di misure di sostegno agli allevatori, affinché l’impatto della stessa non sia eccessivo.
La legge, che non è ancora stata approvata in via definitiva (ma dovrebbe esserlo a breve), rientra in un progetto molto più ampio, per il quale sono stati stanziati 5,4 miliardi di euro da dedicare anche alla riforestazione e al ripristino delle zone verdi, in accordo con la nuova legge europea. Inoltre, la stessa tassa dovrebbe essere applicata anche ai suini, anche se in quel caso, non essendo ruminanti, le emissioni sono inferiori e relative soprattutto ai passaggi della filiera.
L’obiettivo del governo danese
L’obbiettivo della tassa, come hanno sottolineato le autorità, è ridurre del 70% le emissioni entro il 2030 (partendo dai valori del 1990) e diventare carbon-neutral entro il 2045. Nel frattempo, i costi associati all’allevamento dovrebbero indurre le università e i centri di ricerca ad accelerare e intensificare i tentativi di ridurre le emissioni di metano dei ruminanti (per esempio, aggiungendo alghe o batteri ai mangimi) e gli allevatori a ridurre progressivamente il numero di capi.
La Danimarca, pur essendo un Paese piccolo, è infatti uno dei principali produttori europei di bovini: secondo stime interne, nel 2022 ce n’erano poco meno di 1,5 milioni, in leggero calo rispetto all’anno precedente, ma sempre moltissimi. I suini prodotti ogni anno sono invece circa 28 milioni, e vengono esportati in 140 Paesi, Italia compresa.
Come ha riportato la CNN, il Ministro degli Affari esteri Lars Lokke Rasmussen ha sottolineato come il paese stia andando incontro a una radicale trasformazione del suo territorio: la più significativa degli ultimi decenni. Alcune associazioni di allevatori come Bæredygtigt Landbrug, pur coinvolte nella stesura del testo, non sono molto convinte, e parlano di esperimento terrificante, e pensano che le nuove regole freneranno il Green Deal europeo (chissà perché, e in che modo ciò dovrebbe accadere). Arla Foods, uno dei colossi alimentari del Paese, specializzato nel settore lattiero-caseario, invece ha accolto con favore la tassa.
Anche la Nuova Zelanda aveva varato una legge analoga, che sarebbe dovuta entrare in vigore nel 2025, ma il cambio di governo ha causato, almeno per ora, una sospensione delle decisioni esecutive.
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Giornalista scientifica
Più paghi più riduci l inquinamento altra tassa che dovranno pagare i cittadini per arricchire qualcuno
Tassate pure, ma gli animali continueranno ad emettere peti. O cambiamo la loro alimentazione ?
Questo provvedimento della Danimarca è del tutto campato in aria e di certo non risolve la questione delle emissioni, perché quello che potrebbe risparmiare la Danimarca potrebbe incrementarlo un altro paese (considerando i fabbisogni in crescita delle proteine animali da qui al 2050). Inoltre è un harakiri per la propria economia: la Danimarca è uno dei principali esportatori di carne nel mondo, che incide notevolmente sul loro PIL, e una tassa creerà solo un danno per il loro mercato (e porterà alla chiusura di molti allevamenti e perdita di posti di lvoro).
Un diverso approccio ha invece usato la Nuova Zelanda (altro grande esportatore di carni bovine) che ha deciso di non penalizzare il suo mercato e i suoi allevatori ma di investire sulla ricerca.
Ricerca che è consolidata e in uno stadio avanzato per raggiungere la neutralità climatica in fatto di emissioni GHG, la cui applicazione nella gestione degli allevamenti, nella alimentazione e nel recupero delle deiezioni ha già permesso una riduzione del 70% delle emissioni dal valore del 1990 che si prende a riferimento.
Del resto è la stessa FAO che in un suo rapporto recente certifica che non esiste un’unica soluzione in grado di ridurre significativamente l’impatto climatico dell’agricoltura animale. Secondo La FAO, infatti, la riduzione delle emissioni del bestiame richiede una varietà di strategie e strumenti di mitigazione.
Nel suo rapporto, Pathways Towards Lower Emissions (https://openknowledge.fao.org/items/b3f21d6d-bd6d-4e66-b8ca-63ce376560b5), la FAO sottolinea che abbiamo già gli strumenti necessari; ora è il momento di implementarli. Ad esempio, l’aumento della produttività ha il potenziale per ridurre le emissioni del 20%, i mangimi e la nutrizione potrebbero ridurre le emissioni del 12% e migliorare la salute degli animali del 10%. Solo la collaborare tra i settori pubblico e privato ha possibilità di successo
Prosegue l’applicazione del principio “chi inquina paga”, per promuovere il processo di decarbonizzazione – per il quale la Danimarca s’impegna ad attuare. E’ necessario ma non sufficiente.
Inoltre, almeno qui in Italia, vedo delle iniquità; alcuni settori sono tralasciati, come il comparto del turismo (ad es. per le emissioni in atmosfera di navi, aerei, elicotteri, motoslittte e neve artificiale) o quello del trasporto merci su gomma.
E’ un processo assolutamente dannoso, molto più che inutile, che solo degli inurbati cittadini possono concepire come utile, non avendo nessuna cognizione di cosa vuol significare.
Il problema non risiede nelle scoregge ma nel fatto che i liquami prodotti non vengono riutilizzati perché gli allevamenti sono industrializzati: se si tornasse alle stalle di dimensioni famiglia i liquami sarebbero riciclati direttamente nei campi, dopo ovvia stagionatura; le emissioni sono naturali, sono gli umani che le rendono innaturali e PROBLEMA DA RISOLVERE
Quando i teorici vegani si renderanno conto che senza i bovini saranno costretti a mangiare verdura coltivata con fertilizzanti chimici… … magari…
Nell’articolo si parla di emissioni gassose, non del trattamento dei liquami
Se la legge passasse, gli allevatori danesi verrebbero tassati per compensare una parte del danno all’ambiente, ma gli introiti della tassa saranno devoluti a una serie di misure di sostegno agli stessi, Come a dire: faccio una multa ma poi ti rimborso restituendo il denaro in altro modo.
Se non fosse tragico, riderei a crepapelle.
La lobby degli allevamenti intensivi può essere vinta solo d un cambiamento generalizzato delle abitudini alimentari. Altrimenti, è poco probabile che i progressi ci siano dispensati dai governi.
La lobby degli allevamenti intensivi non esiste ! Essitono delle persone che per 365 giorni all’anno vanno tutti i giorni in stalla a mungere, dare da mangiare agli animali e raccogliere le loro deiezioni. Prima di questo però, hanno coltivato gli ettari diterreno necessari alla loro azienda. E proprio perchè non sono lobby, vengono accusati di essere degli importanti inquinatori da parte di gente che si sposta in aereo per partecipare a convegni sul cambiamento climatico.
Non si tratta di flatulenze… ma delle emissioni durante la ruminazione. Le mucche rimasticano e soffiano.