Il 30 novembre inizia, a Dubai, la COP28, l’assemblea delle Nazioni Unite che si tiene ogni anno in una città diversa, e che ha lo scopo di mettere a punto accordi per contrastare la crisi climatica. Gli interessi nazionali rappresentati alle COP sono quasi sempre molto distanti e questo rende complicato qualunque compromesso, anche se a una di queste assemblee si deve, per esempio, l’obiettivo del contenimento entro i due gradi del riscaldamento globale. Quest’anno, poi, i gruppi ambientalisti hanno criticato in modo particolarmente acceso la COP28, soprattutto perché il Paese organizzatore, gli Emirati Arabi Uniti, cui spetta anche la presidenza dei lavori, non solo sono tra i primi produttori al mondo di combustibili fossili, ma hanno un modello di sviluppo che, da molti punti di vista, rappresenta uno schiaffo all’ambiente (si pensi, per esempio, alla neve artificiale dell’impianto Ski Dubai).
Le COP e il cibo
Molto criticate per la difficoltà, riscontrata in ogni edizione, di raggiungere intese realmente incisive, le COP restano comunque l’unica sede nella quale trovano voce quasi 200 Paesi, la stragrande maggioranza dei quali di solito non ha accesso alle sedi in cui si discute anche del loro destino. Per questo hanno una loro importanza. Finora, però, c’è sempre stato un elemento quasi dimenticato, nonostante la sua centralità: il cibo. Questa mancanza crea situazioni paradossali come quelle viste l’anno scorso a Sharm-el-Sheik, in Egitto, dove inizialmente erano presenti pochissime opzioni vegetali, sebbene le migliaia di delegati presenti rappresentassero anche un’estrema varietà di tradizioni alimentari, e dove lo spreco di packaging e di cibi e bevande ha raggiunto dimensioni impressionanti. D’altro canto, preparare pasti per 70mila persone (tante ne sono attese quest’anno a Dubai) non è impresa da poco.
L’iniziativa Choose Better di Carrefour alla COP28
Ma al cibo, responsabile di oltre un terzo delle emissioni di gas serra e di circa il 15% di quelle di metano, le COP non hanno mai dedicato troppa attenzione: solo l’anno scorso, per la prima volta, era presente un padiglione dedicato. Ecco perché un piccolo segnale che arriva dall’edizione di quest’anno potrebbe costituire un indizio di un cambiamento in atto. Per la prima volta, infatti, la catena Carrefour lancia l’iniziativa Choose Better in cinque supermercati tra i quali uno all’interno della sede della conferenza, uno in centro città e uno all’aeroporto di Dubai, realizzati con materiali sostenibili e illuminati da luci a basso consumo, venderanno alimenti e bevande contrassegnate con diciture che informeranno i clienti sulla sostenibilità. Lo scopo è sensibilizzare i clienti, e verificare se e quali diciture siano più efficaci nell’orientare le scelte.
Certificare la sostenibilità del cibo
A illustrare il progetto è FoodNavigator, che spiega come, oltre a Carrefour, sia coinvolta una delle più importanti società internazionali di certificazione ambientale, HowGood, che grazie ai dati sulla sostenibilità di 33mila ingredienti ha creato una piattaforma studiata apposta per fornire alle aziende strumenti per aiutare il consumatore a scegliere consapevolmente. HowGood lavora già con multinazionali come Nestlé, Danone, Barilla e Lavazza. Nello specifico, HowGood certifica tre aspetti della sostenibilità, con tre diversi tipi di simboli.
Il primo riguarda le emissioni di carbonio, calcolate misurando i gas serra associati al prodotto, dall’origine fino allo scaffale. Il secondo offre una valutazione sulla sostenibilità generale, data con un criterio unico per tutti: il prodotto è considerato ‘best’, migliore, se ha un impatto ambientale e sociale migliore del 95% di tutti gli altri prodotti del database, ‘great’, grandioso, se è migliore dell’85% dei prodotti, e ‘good’, buono, se supera il 70% di essi.
Infine, una terza valutazione offre specifici giudizi su singoli aspetti. Per esempio, se un prodotto è realizzato risparmiando acqua, sarà ‘water smart’ (intelligente consumo di acqua), se è associato a emissioni inferiori alla media sarà ‘climate friendly’ (amico del clima), se contiene non più di sette ingredienti avrà la ‘clean label’ (l’etichetta pulita), se non è lavorato industrialmente o quasi potrà essere ‘minimamente processato’, e se la filiera rispetta i lavoratori potrà guadagnarsi l’etichetta di ‘fair labour’ (lavoro giusto).
2.500 prodotti con etichetta di sostenibilità
A Dubai, ben 2.500 prodotti alimentari saranno etichettati da HowGood, con i tre tipi di etichetta sopraindicati: emissioni di carbonio, giudizio di sostenibilità ed eventuali attributi su singoli aspetti. Poi, come ultima segnalazione, una valutazione della CO2 di quanto è stato acquistato comparirà in cima a ogni scontrino. Probabilmente nei mesi successivi saranno pubblicate analisi e statistiche di ciò che è stato o meno comprato e sul gradimento. Le attese sono elevate: in un test condotto a Londra, secondo la società le etichette di sostenibilità sono risultate associate a un aumento delle vendite dei prodotti migliori del 25%, percentuale che ha superato il 45% in più nel caso delle diciture sul rispetto dei lavoratori.
Quest’anno, secondo il programma della COP28, il cibo dovrebbe assumere un ruolo centrale. E i market Carrefour sembrano confermarlo. Vedremo.
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Giornalista scientifica
certo è un aspetto molto interessante del problema del riscaldamento globale, ma stando a ciò che ne è risultato dai precedenti summit, francamente non credo che servirà a mettere in pratica soluzioni serie e condivise per il contenimento del surriscaldamento terrestre.