Gli squali che vivono vicino alle barriere coralline, più piccoli di quelli di alto mare, sono in una situazione critica, e per molte delle specie note ci sono tutte le condizioni affinché vengano inserite nella Lista rossa delle specie a rischio estinzione dell’Unione internazionale per la conservazione della natura (Iucn). La causa è soprattutto la sovrapesca (in inglese overfishing), cioè la pesca eccessiva, che in questo caso riguarda sia gli squali, sia la maggior parte dei pesci più piccoli di cui si nutrono.
La gravissima crisi degli squali di barriera (30 famiglie, 59 generi e 134 specie) è stata dimostrata in uno dei più grandi studi internazionali mai condotti finora, i cui risultati sono stati appena pubblicati su Science. In esso, infatti, sono stati analizzati circa tre anni di immagini provenienti da 22.756 telecamere sottomarine installate in 391 postazioni nelle barriere coralline di 67 Paesi e territori. E il risultato è stato drammatico: le cinque principali specie di squali sono calate di una percentuale che varia dal 60 al 73% rispetto alle rilevazioni precedenti e alcune di esse, presenti fino a pochi anni fa, non sono più state trovate dove avrebbero dovuto essere nel 34-47% delle ispezioni. Istruttiva, poi, la differenza molto netta tra la situazione dei Paesi più ricchi e più stabili, dove gli squali spesso sono protetti e dove in generale la gestione del mare e della pesca è controllata e risponde a leggi nazionali e internazionali, e quella dei Paesi più poveri, in guerra o comunque retti da governi non stabili: nelle barriere dei mari sicuri gli squali sopravvivono e talvolta, in realtà limitate, prosperano, ma in quelle dei Paesi più poveri, la catastrofe è in pieno svolgimento, senza che nessuno riesca a intervenire. Lì, più che altrove, c’è anche una controprova di ciò che sta accadendo: mentre gli squali spariscono, le razze aumentano a dismisura, a conferma di un forte squilibrio in un ecosistema delicatissimo, le cui conseguenze sono, al momento, difficili da immaginare.
Risultati molto simili, del resto, sono stati ottenuti anche da altri studi e rilevazioni quali quella di un altro team internazionale, che in gennaio ha pubblicato quanto osservato su Nature. In quel caso, le barriere studiate erano state 134 e anche in esse era emerso un calo del 59% di squali e razze, conteggiati insieme. Secondo i coordinatori, ricercatori canadesi della Simon Fraser University, alla sovrapesca va aggiunto l’effetto del riscaldamento del clima, che danneggia le barriere, e quello del degrado generalizzato dell’ambiente marino. Ma il risultato non cambia: gli squali stanno scomparendo, soprattutto quelli di dimensioni maggiori, che sono più delicati, e soprattutto – anche secondo questi ricercatori – nei Paesi dove la tutela del mare è in fondo alle priorità e la pesca viene incoraggiata senza criteri che aiutino a preservare le risorse.
Il declino degli squali – aggiungono gli autori – negli ultimi 50 anni è aumentato in modo esponenziale fino al 2005, anno in cui sono stati presi alcuni provvedimenti a livello internazionale e istituite le prime aree protette. Da quel momento la situazione è leggermente migliorata, nelle zone dove si è intervenuto, ma in modo non omogeneo e non in misura sufficiente. Ma – concludono entrambi gli studi – vista la posizione degli squali nella catena alimentare e nell’ecosistema marino, dove le barriere ospitano un terzo di tutte le specie di pesci esistenti, a pagarne le conseguenze sarà una specie altrettanto dominante e molto più aggressiva: l’Homo sapiens.
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Giornalista scientifica