La scritta ‘residuo zero’ sulle etichette e nelle pubblicità colpisce il consumatore perché è chiara e immediata. Non c’è quindi dubbio che il successo e la crescita registrati negli ultimi anni dai prodotti che vantano questa caratteristica si debbano anche alla semplicità nella comunicazione del concetto chiave. Si tratta però di qualcosa di diverso e di più circoscritto rispetto al biologico. Della differenza tra i prodotti a ‘residuo zero’ e quelli biologici avevamo già parlato nel febbraio del 2021, in occasione del lancio di alcune referenze senza pesticidi da parte di Bonduelle. Per essere precisi, però, già nel 2020 si contavano in Italia almeno una decina di aziende che realizzavano prodotti senza residui di fitofarmaci. Oltre a Bonduelle (piselli, fagioli e spinaci surgelati, mais in scatola e insalata iceberg in busta), sono ormai diversi i produttori che offrono alimenti senza residui, come testimoniano, per fare qualche esempio, i frutti di bosco San’Orsola, le patate èVita di Romagnoli, i cetrioli, pomodori e ananas di F.lli Orsero, alcune mele del gruppo Rivoira e, uscendo dall’ambito dei freschi, la pasta Grano Armando o la farina AmorBimbi di Molino Moras, realizzata a conclusione di un progetto di ricerca con l’Istituto superiore di sanità.
Un peso sempre più significativo lo hanno poi i prodotti a ‘residuo zero’ in alcune private label. Anche se verdura e frutta con i marchi della grande distribuzione, in genere da coltivazioni a lotta integrata, hanno già il 70% di fitofarmaci di sintesi in meno rispetto ai limiti di legge, presso alcune catene sono disponibili, a seconda della stagionalità, produzioni con residui di pesticidi al di sotto della rilevabilità (soglia 0,01 ppm, corrispondente a 0,01 mg per chilo). In questo periodo, per esempio, si possono trovare le albicocche e la valeriana in busta nella linea Naturama di Esselunga o i fagiolini di Coop.
È però facile fraintendere questo tipo di etichettatura e considerare le referenze senza residui del tutto simili ai prodotti biologici. Tra queste diciture esistono invece differenze importanti che è utile evidenziare. “Diversamente dal biologico – spiega Roberto Pinton, esperto di produzioni biologiche –, il ‘residuo zero’ è un claim non disciplinato da normative nazionali o europee. Il riferimento è quindi a standard privati che, generalmente, determinano come soglia di presenza di sostanze chimiche di sintesi il limite di rilevabilità, lo stesso stabilito dalle norme Ue sugli alimenti per lattanti e bambini nella prima infanzia, ma è sempre opportuno verificarlo sulla confezione. Si tratta comunque di una dichiarazione certificata da organismi accreditati che attestano la conformità del prodotto allo standard di riferimento”. Tra i certificatori ci sono spesso gli stessi nomi che vediamo sulle confezioni dei prodotti bio, come Csqa, che ormai da diversi anni certifica il ‘residuo zero’ in abbinamento alla produzione integrata. La sua certificazione ha valenza triennale e prevede attività di sorveglianza annuali (audit e controlli analitici). Esistono tuttavia diversi standard volontari e il sistema sarebbe più trasparente se tutti applicassero le medesime regole.
La differenza principale tra biologico e residuo zero è però soprattutto nelle priorità. “Se un prodotto non ha residui al momento della vendita – spiega Pinton – non significa che non abbia utilizzato fitofarmaci in tutto il suo processo produttivo, ma solamente che questi non sono stati utilizzati nell’ultima fase della produzione e che quelli utilizzati avevano dei tempi di decadimento tali da non residuare sul prodotto. In sostanza, se la preoccupazione di chi acquista un alimento è esclusivamente quella di non ingerire pesticidi, la scelta del ‘residuo zero’ soddisfa pienamente le sue esigenze. Se si sceglie la produzione biologica, invece, è perché il focus è posto su questioni più ampie, come la contaminazione ambientale, la salvaguardia e l’aumento della fertilità del suolo, le rotazioni, la rinaturalizzazione degli habitat, la tutela della biodiversità e il benessere animale. Si tratta insomma di una tecnica agronomica che fornisce alla collettività dei ‘beni pubblici’ come quelli che l’Unione europea riconosce sin dal reg.834/2007. Nella produzione biologica c’è la garanzia del non uso dei prodotti chimici di sintesi durante l’intero ciclo produttivo, data in un quadro di controlli pubblico, nel residuo zero c’è la garanzia dell’assenza nel prodotto al momento del consumo”.
Ciò non significa che la produzione a ‘residuo zero’ non sia tesa a una riduzione nell’impiego di fitofarmaci. I produttori che dichiarano questa caratteristica la descrivono come una combinazione tra buone pratiche agricole (varietà resistenti o insetti antagonisti) e l’uso molto limitato di prodotti fitosanitari, con la valutazione attenta del tipo di prodotto e delle tempistiche di somministrazione. La certificazione ‘residuo zero’, inoltre, potrebbe essere una soluzione interessante per dare maggiore appeal ai prodotti coltivati con le nuove tecniche di precisione, come l’idroponica o l’aeroponica. Nonostante qualche punto critico di cui abbiamo già parlato, infatti, questi metodi sono promettenti per il futuro, visto che consentono un forte risparmio idrico e quasi sempre l’eliminazione di pesticidi ma, essendo fuori suolo, non possono godere del marchio bio. Un esempio in tal senso è rappresentato dai pomodori dell’azienda pugliese F.lli Lapietra per cui la certificazione ‘residuo zero’ ha richiesto cinque anni di lavoro in serre hi-tech dove si coltivano ortaggi in idroponica.
Non è poi da sottovalutare, soprattutto in questa fase, l’incidenza della questione prezzo. Se è vero che il differenziale tra prodotti biologici e convenzionali si è ridotto negli anni, resta comunque importante. Gli ultimi dati forniti dal Monitor ortofrutta di Agroter per Italiafruit News sui prezzi di frutta e verdura bio vendute a peso imposto nella grande distribuzione e nei discount evidenziano una differenza media che, per la frutta, è intorno al 40%, mentre per la verdura è scesa al 90% (dal 120% del 2016), con forti variazioni tra i prodotti più comuni e quelli meno diffusi. Ci sono poi anche delle situazioni particolari, come quella di Carrefour. L’azienda ha infatti dichiarato che, indipendentemente dalla crisi e dell’andamento dei prezzi degli altri prodotti, punta per il bio a un differenziale di prezzo massimo del 30% rispetto al prodotto leader convenzionale.
I prodotti a ‘residuo zero’, sebbene con forti variabilità tra l’uno e l’altro, hanno il vantaggio di registrare una differenza di prezzo generalmente inferiore rispetto a quella tra biologici e convenzionali. Non abbiamo in questo caso i dati medi, ma possiamo, a titolo d’esempio, fare qualche confronto di prezzi sui siti di vendita online. Se è vero che i prodotti senza residui di Bonduelle costavano al lancio mediamente il 15% in più rispetto a quelli convenzionali della stessa azienda, che la pasta Grano Armando si aggira intorno a 3 euro al chilo e che le albicocche Naturama senza residui costano tra il 7 e l’8% in più rispetto a quelle convenzionali, è altrettanto vero che, solo per fare un esempio, i piselli surgelati bio di Esselunga hanno un costo al chilo inferiore rispetto a quelli di Bonduelle a ‘residuo zero’. Insomma, sui prezzi, tra offerte, marchi e formati, le variabili da considerare sono molte. La cosa migliore è comunque conoscere le caratteristiche e i criteri produttivi dell’azienda per scegliere in base alle proprie esigenze.
© Riproduzione riservata; Foto: Depositphotos, Fotolia, Sfera Agricola, Esselunga, Bonduelle
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Cresce il successo del ‘residuo zero’, ma attenzione: non equivale al biologico
commento di Giuseppe Altieri, Agroecologo
Residuo zero significa per l’Europa un livello inferiore allo 0,01 parti per milione…
Preciso che la soglie di rilevabilità dei Pesticidi non è 0,01 parti per milione, ma è molto pià bassa.
Pertanto residuo al di sotto del cosiddetto limite di rlevabilità non significa che il pesticida sia assente… soprattutto laddove l’hanno usato… ma solo che è al di sotto di 1 parte ogni 100 milioni del prodotto alimentare in questione.
L’europa ha definito questi limiti di rilevabilità per indicare un residuo al di sotto di quel limite… che in realtà non è zero.
In Germania si usa ad esempio un residuo al di sotto di 1 parte ogni miliardo ovvero 0,001 ppm, confermando che se li cerchiamo i residui li troviamo anche infinitesimi…
BIO-ACCUMULO DEI PESTICIDI
Questo è un grande problema in quanto i pesticidi si bioaccumulano e in poco tempo si concentrano nelle catene alimentari e nel nostro organismo…
EFFETTI DISTRUTTORI ORMONALI ED EPIGENETICI DEI PESTICIDI
Inoltre, alcune ricerche scientifiche sui distruttori ormonali (distruttori endocrini e induttori epigenetici) che influenzano l’espressione del nostro dna e della sintesi delle proteine dimostrano che si creano maggiori effetti a minori dosaggi…
una sorta di “omeopatia inversa” creata dalle sostanze chimiche che si “nascondono ” nel nostro organismo…
Pertanto, l’unico modo per garantire il residuo zero è NON USARE PIU’ I PESTICIDI CHIMICI, tossici inutili, in quanto sostituibili con tecniche pù efficienti, ovvero aacronistici…
E di fatto vietati, in quanto in Europa e in Italia è obbligatoria la produzione integrata dal 2014 (D.lgs. 150/2012) che impone l’uso prioritario di tutte le tecniche alternative disponibili…
Lavoriamo per la trasformazione agroecologica dell’agricoltura verso il biologico e la salvaguardia delle biodiversità autoctona e delle antiche varietà italiche… il vero patrimonio dell’Agricoltura Italiana.