Nel settore avicolo, i pulcini maschi, fratelli delle future galline ovaiole, vengono scartati appena nati in quanto considerati economicamente inutili, perché crescono meno e non sono idonei all’ingrasso né, ovviamente, alla produzione di uova. Allevarli per avviarli al macello ha costi insostenibili, o quantomeno non competitivi per il mercato. Pertanto, molte delle aziende che operano in questo settore, hanno finora trattato questi esemplari come “scarti di produzione”, dando vita alle pratiche crudeli, più volte trattate anche dal Fatto Alimentare. Attualmente, in Italia, sono abbattuti nelle prime 24-48 ore dopo la nascita tra i 25 e i 40 milioni di pulcini maschi ogni anno (il 50% circa degli esemplari nati dalle uova contenute negli incubatoi).
Lo scorso 16 dicembre la Camera dei deputati ha però finalmente approvato un emendamento che prevede la messa al bando di questa pratica sul territorio nazionale entro il 2026. «Allineandosi alla recente normativa emanata dal Parlamento europeo per vietare questa prassi a partire dal 2027, il nostro Paese è la quarta nazione, dopo Svizzera, Germania e Francia, a prevedere l’adozione di un approccio più sostenibile e cruelty free e sono già molte le aziende impegnate nella ricerca di soluzioni alternative – spiega Filippo Cerulli, di Gruppo Eurovo –. Le strade praticabili sono due e consistono o nel sostenere il maggiore costo di produzione necessario per avviare all’allevamento anche esemplari maschi di linee genetiche poco adatte per la produzione di carne, oppure nel ridurre al minimo la schiusa di uova in cui si siano sviluppati questi esemplari».
In altre nazioni, prima fra tutte la Germania, in cui c’è da tempo una maggiore sensibilità dell’opinione pubblica per le tematiche animaliste, alcune aziende produttrici si stanno orientando verso le linee genetiche cosiddette “a duplice attitudine”, ovvero capaci di produrre uova ma anche di generare esemplari maschi idonei a diventare capponi, galletti o polli. Il tutto a scapito dei volumi di produzione, che in entrambe le linee risulta inevitabilmente meno significativo di quello a cui punta l’industria tradizionale. Per quanto riguarda la seconda opzione, ovvero quella di evitare la nascita di esemplari di sesso maschile appartenenti a razze ovaiole, si guarda con crescente interesse alle tecniche di “ovosessaggio” (in-ovo sexing) che consentono di riconoscere il sesso del pulcino durante la fase di sviluppo embrionale, in modo da scartare prima della schiusa le uova da cui sarebbero destinati a uscire i maschi.
Anche in questo caso si aprono diverse possibilità. «Esistono già metodi di ovosessaggio idonei all’applicazione su vasta scala – spiega Cerulli – e quindi adatti a sostenere i ritmi di produzione industriale. Tra questi, quello finora più utilizzato è stato il metodo AAT (Agri Advanced Technologies) non invasivo, che sfrutta la tecnologia a infrarossi per riconoscere le differenze di colore delle piume tra maschi e femmine durante la fase di sviluppo e di scartare le uova contenenti embrioni maschi. Può essere utilizzato per la selezione delle uova da razze a piumaggio rosso (una buona percentuale del totale, insieme a quelle dalla livrea bianca), ma è efficace solo dal 12°-13° giorno di incubazione, quando l’embrione è già formato e questo pone un ulteriore problema etico, risolto mediante un metodo di stordimento anche per i pulcini in fase embrionale».
Un altro metodo, più invasivo ma efficace già entro il 7° giorno di incubazione, prevede la perforazione delle uova, il prelievo di un campione di liquido amniotico e la sua analisi per verificare il sesso del futuro pulcino. «Ci sono già delle aziende che lo utilizzano per produrre uova di razza ovaiola esclusivamente con pulcini femmina – riferisce l’esperto –, che vengono vendute agli avicoltori a fronte di un sovrapprezzo, nell’ambito di quello che potrebbe trasformarsi in un vero e proprio mercato parallelo». In un futuro prossimo, insomma, le aziende in grado di applicare le tecnologie di selezione delle uova in incubatoio e di fornire agli allevatori solo pulcini femmina trasformeranno le loro uova in ‘uova selezionate’ e applicheranno un aumento dei prezzi. Per avere queste uova, gli allevatori pagheranno di più (fino a 5 centesimi a uovo) e i costi di produzione ricadranno sul consumatore finale.
Una nuova soluzione all’esigenza di coniugare questioni etiche e sostenibilità economica potrebbe essere la modifica del sesso del pulcino durante lo sviluppo embrionale. Per quanto possa apparire avveniristica, questa tecnologia è già attualmente in fase di sperimentazione, grazie alla tecnica ideata dalla start-up israeliana Soos. Presentata durante l’ultima edizione di Fieravicola Poultry Forum tenutasi a Rimini dal 4 al 6 maggio, il metodo consiste nel bombardamento delle uova fecondate in incubatoio con onde sonore a determinate frequenze, capaci di convertire l’anatomia degli embrioni maschi in modo da far sviluppare loro un apparato riproduttivo femminile.
«A oggi – conclude Cerulli – questo metodo si è rivelato efficace al 50%, cioè ha permesso di convertire il sesso di circa metà degli embrioni maschi, aumentando del 20-25% il numero di pulcini nati femmina». Anche se i risultati ottenuti sono incoraggianti, serviranno ulteriori studi per raggiungere una percentuale economicamente sostenibile di pulcini femmine (superiore al 95%) e verificare che tutti gli esemplari nati dopo questo “sviluppo tecnologicamente orientato” abbiano le caratteristiche biologiche, genetiche e anatomiche necessarie per crescere correttamente e deporre a loro volta una quantità di uova sufficiente a sostenere la produzione del settore, ammortizzando i costi di applicazione della tecnologia.
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