Il 25 gennaio la Commissione Europea ha finalmente pubblicato il Libro Verde sulle pratiche commerciali sleali nelle relazioni Business to Business (B2B ). Tutte le parti sociali interessate, tra cui molti lettori de Il Fatto Alimentare adesso possono compilare un questionario online e spiegare come vanno le cose in Italia, esprimendo opinioni e consigli sui rimedi.
Il Fatto Alimentare ha dedicato ampio spazio a questo serio problema all’interno della filiera agro-alimentare, raccogliendo esempi concreti di tali pratiche, grazie anche all’aiuto dei lettori. Abbiamo mostrato l’impegno del Parlamento europeo, per far luce sulle angherie di pochi grandi distributori nei confronti di una miriade di imprese produttive, in maggioranza piccole e microscopiche. Abbiamo seguito il lento procedere del “Forum di Alto Livello per un Migliore Funzionamento della Filiera Alimentare”, sorto sulle ceneri del precedente “Gruppo di Alto Livello per la Competitività dell’Industria Agro-alimentare Europea”, presso la Commissione. E continuiamo a occuparci della normativa italiana che ha introdotto specifiche regole, sui contratti relativi alla cessione di prodotti agricoli e alimentari. La legge 24.3.12 n. 27 appunto, cui abbiamo dedicato l’ebook “Articolo 62, una rivoluzione”.
Il Libro Verde della Commissione europea costituisce il primo atto di una procedura che – come è d’uso a Bruxelles – non sarà rapida ma è inesorabile, destinata cioè ad andare avanti sino a quando non sarà completata. Si inizia con una consultazione pubblica da parte degli stakeholders (i portatori di interesse), aperta fino al prossimo 30 aprile.
Partecipare alla consultazione è facile, basta rispondere a un questionario online, 25 domande in tutto. Per aiutare la Commissione a comprendere cosa succede in Italia facendo chiarezza su alcuni aspetti in particolare:
– cosa si intende per pratiche commerciali sleali, in quali fasi esse intervengono (negoziato, stipula, esecuzione del contratto)
– esempi di pratiche commerciali sleali, loro conseguenze e impatto su innovazione e capacità di investimento delle imprese che le subiscono,
– quali rimedi sono stati adottati a livello nazionale (in Italia, ad esempio, l’articolo 62). Si tratta di rimedi efficaci, in concreto? Efficaci anche nei rapporti commerciali europei o internazionali?
– si ritiene necessario trovare una soluzione a livello europeo? Una normativa obbligatoria per tutti, o un accordo informale tra le due parti che ciascuno potrebbe decidere di applicare a sua autonoma discrezione? In altre parole, serve un regolamento europeo (o una direttiva), o possono bastare sistemi di autoregolamentazione (1) per porre fine alle pratiche commerciali manifestamente inique?
– si reputa opportuno stabilire un sistema di controlli e sanzioni a livello UE?
La Commissione europea dovrà tener conto degli esiti della consultazione ai fini della sua successiva valutazione d’impatto sul fenomeno delle pratiche commerciali sleali. Seguirà l’adozione di un Libro bianco – nel quale l’esecutivo comunitario presenterà al Parlamento e al Consiglio il proprio progetto su come affrontare i problemi identificati, possibilmente attraverso nuovi atti legislativi.
Dario Dongo
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(1) I membri del Gruppo di dialogo presso lo “High Level Forum for a Better Food Supply Chain Functioning” ancora provano a lavorare su un accordo – le buone prassi nelle relazioni commerciali di filiera – da applicare su base volontaria. Una sorta di “Manuale delle Giovani Marmotte” per gli acquirenti della GDO. Ma è come se il Lupo sottoscrivesse un programma dietetico strettamente vegetariano, senza tuttavia impegnarsi a rispettarlo. Si può ben comprendere che Capuccetto Rosso – in questo caso, le rappresentanze europee dei comparti agricoli (Copa-Cogeca) e della lavorazione delle carni (Clitravi) – non si sia fidato, dissociandosi da questa iniziativa e insistendo affinché il problema venga affrontato mediante regole obbligatorie.
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Avvocato, giornalista. Twitter: @ItalyFoodTrade
La GDO faccia il suo mestiere ! e venda ciò che il mondo produttivo offre nelle dinamiche imprenditoriali. La GDO ,per legge, non dovrebbe vendere prodotti a marchio. La dinamica distorsiva attuale è: GDO ,che ha i volumi di vendita, individua i prodotti industriali più appetibili conoscendone profittabilità e analisi di costo netti. Su tali basi impone prezzi stracciati a piccoli produttori, o anche ai grandi sotto rischio contrattuale o di dumping, prodotti similari,che vende a prezzo leggermente + vantaggioso, con grosso utile x GDO, eliminando pian piano il prodotto di marca dallo scaffale.Risultato: 1)mette in crisi le marche che garantiscono meglio la qualità togliendo loro ossigeno per ricerca e sviluppo. 2) Tira il collo ai copakers sottoponendoli continuamente a rischio chiusura e fallimento senza possibilità di sviluppo. E’SCORRETTO !!!