Gli esseri umani vivono quotidianamente un paradosso: se da una parte sanno che nutrirsi di animali significa ucciderli, dall’altra continuano a farlo. Se da un lato ritengono che gli animali possano soffrire e che la loro compagnia sia talvolta da preferire a quella di altri esseri umani, dall’altra continuano a mettere carni di ogni tipo nel piatto. Questa dissonanza cognitiva, chiamata il “paradosso della carne”, negli ultimi anni è stata oggetto di diversi studi, ora riassunti in un’analisi realizzata dai dipartimenti di psicologia dell’Anglia Ruskin University di Cambridge e della Nottingham Trent University e pubblicata su Social Psychological Bulletin.
Innanzitutto i ricercatori hanno sottolineato quali sono i processi psicologici principali che si attivano in relazione a questo tema: lo scatenarsi di una risposta psicologica (trigger) e le relative strategie di compensazione. Al primo è associato il disagio che si può provare in relazione al consumo di carne, in particolare quando per esempio viene ricordata la provenienza del cibo ottenuto da animali macellati. Questo disagio può essere disinnescato da specifiche strategie compensative. Tra ciò che più spesso le persone pensano per “essere autorizzate” a mangiare carne vi è l’idea che gli animali abbiano diritti in qualche modo inferiori rispetto agli esseri umani e non abbiano pensieri coscienti. In alternativa, alcune persone si giustificano con la cosiddetta teoria delle quattro N, in base alla quale il consumo di carne è definito come: “Naturale”, “Necessario”, “Simpatico, carino” (Nice in inglese) e “Normale”. Un altro approccio comune è quello di dissociare la carne dall’animale, usando per esempio termini quali “pollame” o “bovini”. Vi è poi chi presenta il vegetarianesimo come una scelta innaturale o illogica.
Queste strategie sono comuni a tutte le latitudini, ma contribuiscono alla loro adozione anche fattori di tipo culturale e religioso. La ricerca fa l’esempio di americani del nord e dei francesi, sottolineando come queste popolazioni siano meno propense ad associare la carne a uno specifico animale rispetto, per esempio, a ecuadoregni o cinesi. Questo si deve principalmente al fatto che in molti piatti tradizionali di questi due ultimi Paesi l’animale è cucinato con la testa e presentato così a tavola. Anche le religioni, poi, hanno un ruolo importante, mentre alcuni testi sacri descrivono il cibo a base di carne come dono di Dio, altri prescrivono specifiche modalità di macellazione o regole e limiti di consumo.
La ricerca evidenzia poi l’esistenza di diversi atteggiamenti anche in base al genere: il disaccoppiamento tra cibo e animale è più evidente nei maschi e, secondo gli autori, ciò dipende da culture ataviche nelle quali l’uomo era incaricato di cacciare. Si tratta cioè del risultato di stereotipi che identificano il maschio con la forza muscolare e la femmina con il suo ruolo di generatrice e madre. Non a caso, alcuni studi mostrano che le persone che non condividono l’idea del maschio cacciatore sono molto più sensibili alle condizioni degli animali, a prescindere dal sesso.
La posizione su questo tema risulta inoltre legata anche all’orientamento politico. I soggetti che si collocano genericamente tra i progressisti, interessati alla difesa dei diritti umani e alle istanze di uguaglianza sociale, sono più sensibili alla situazione degli animali e hanno un’opinione positiva o di comprensione nei confronti di vegetariani e vegani. Lo stesso vale per molti, solitamente più giovani, che non si riconoscono nei preconcetti che equiparano la mascolinità alla forza. Al contrario, chi si colloca tra i conservatori è spesso sostenitore delle quattro N e giudica più degli altri il veganesimo o il vegetarianesimo come pratiche illogiche e innaturali.
Nel suo insieme, questo studio può essere utile per comprendere meglio quali tipologie di persone potrebbero essere sensibili agli interventi di riduzione del consumo di carne, come per esempio le donne e gli uomini meno legati a stereotipi di genere o a una visione più tradizionale della mascolinità. Secondo l’autrice principale della ricerca, questo lavoro può essere interessante sia per organizzazioni ed esperti che cercano di convincere le persone a mangiare meno carne, sia per coloro che desiderano analizzare la questione sotto il profilo più squisitamente psicologico, ma è importante soprattutto per sostenere lo sforzo di chi si impegna nella riduzione del consumo di carne a salvaguardia dell’ambiente.
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Giornalista scientifica
Strano che in tutto l’articolo non si faccia cenno a quella che è in assoluto la più naturale motivazione di coloro che mangiano carne: L’UOMO NON E’ UN ERBIVORO.
Siamo onnivori, mangiare proteine non è un vezzo, ma una necessità.
E vitamine come la B12 si possono assumere quasi unicamente attraverso il consumo di carne o pesce.
Inoltre, l’uomo non è “cattivo” perché mangia carne. Esiste una intera categoria di animali che si nutre nello stesso modo: i carnivori, appunto.
E se un leone non è cattivo, quando mangia una gazzella, allora non lo è nemmeno un essere umano.
Anzi, a volerla dire tutta, noi umani uccidiamo l’animale, prima di mangiarlo.
Nel regno animale, invece, esistono predatori che non riservano questa cautela alle loro prede, che vengono divorate mentre sono ancora vive.
Concordo perfettamente, invece, sulla necessità degli allevamenti ETICI. Gli animali DEVONO essere allevati con cura, non in gabbie o al chiuso. La loro vita deve essere dignitosa, fino a quando non vengono macellati.
E questo sia per rispetto dell’animale, sia per garantire un prodotto finale di migliore qualità.
Ma, ripeto, se un leone o uno squalo mangiano carne e lo fanno perché è la loro natura, non vedo perché un uomo debba vergognarsi se fa altrettanto.
A livello nutritivo il consumo di carne è totalmente superato, oggi sono disponibili prodotti che riescono a integrare tutto.
P.s. La vitamina B12 viene data agli animali, non la producono normalmente perchè in natura si trova sui vegetali che gli animali mangiano, ma se sono allevati devono integrarla nei mangimi, quando tu quindi assumi la B12 dai prodotti animali la assumi come qualsiasi vegano, tramite integratori dati agli animali insieme e tutto il resto, farine animali, antibiotici, ormoni.
Concordo con Egidio e condivido la sua analisi.
Come dice giustamente Oetzi, nella vita contadina di un tempo era normale macellare gli animali e quindi io, come limite personale, mi nutro solo degli animali che sarei in grado di uccidere con le mie mani, se mi fossero posti davanti vivi.
Questo ovviamente limita moltissimo i tipi di carne che consumo, riducendosi solo a pesce, molluschi e crostacei.
Max tutto è superato, basterebbe il beverone di non ricordo che marca. Vegano e dietetico. COme mai non usi quello ogni giorno tutti i giorni?
Il leone o lo squalo si procurano il cibo da soli. Provi ad entrare in un mattatoio e a “procurarsi” la carne da solo come facevano migliaia di anni fa i nostri avi e poi mi dice cosa oggi è naturale e cosa no.
Per quanto riguarda la B12, la carenza esiste anche negli onnivori perché la carne deriva da allevamenti dove gli animali non hanno mai visto erba in vita loro e quindi, i loro mangimi, vengono integrati con la vitamina esattamente come quella che devo assumere io da vegetariana/vegana. Semplicemente io bypasso l’uccisione di un essere vivente per procurarmela.
Saluti.
Condivido l’analisi di Max. Inoltre non riesco a capire come mai ogni volta che il discorso verte sul consumo di carne si evochino condizioni e attitudini “naturali” dell’uomo. In una società come la nostra non facciamo praticamente più niente di quello che facevano i nostri progenitori. Stiamo seduti davanti a un pc 8/9 ore al giorno (e spesso passiamo molte più ore in compagnia di uno schermo), ci muoviamo in macchina, in treno, in aereo. Ci vestiamo non solo perché abbiamo freddo, ma tenendo conto della moda, con tutto ciò che questo comporta in termini di sostenibilità e non solo per l’ambiente, ma anche per nostri simili che semplicemente hanno avuto la sfortuna di vivere in paesi più poveri. Il mondo è terribilmente inquinato e ingiusto. Semplicemente il consumo di carne non è più sostenibile. E “ai piani alti” l’hanno capito. In tutti i laboratori fervono ricerche per sostituire la carne in modo più sostenibile. La dissonanza cognitiva non è solo quella (terribile) di gente che porta il cane alla spa ma accetta di vedere i pulcini triturati, ma anche quella di chi, con in mano uno smartphone di ultima generazione, pretende di nutrirsi come un neanderthal.
Però molti studi indicherebbero che l’uomo è si, onnivoro, ma molto più orientato verso il consumo di vegetali che di carne. Non sono un medico, quindi non ho certezze, ma sembrerebbe che le proteine di origine animale andrebbero assunte di rado ed il fabbisogno di proteine dovrebbe essere soddisfatto regolarmente da proteine vegetali come i legumi e la frutta secca. Insomma la carne della domenica non dovrebbe essere solo un’usanza dei nostri nonni
Che paradosso sarebbe? Io essendo cresciuto in campagna ho sempre saputo che c’è una macellazione, e non mi ha mai creato problemi saperlo.
Al massimo è un problema per certi cittadini, chi non ha mai visto il lavoro agricolo ed è cresciuto in case dove i genitori non sapevano nulla del cibo che mettevano in tavola.
Forse accettare, senza minimamente vergognarsene, che gli animali si debbano uccidere per permetterci di seguire una dieta consona alla nostra natura significa essere più consapevoli di chi vive nel fatato mondo Disney.
Di contor mi chiedo come si faccia a trattare un animale come un peloche vivente ignorando la sua natura di essere da branco con la necessità di riprodursi. Questa è pura ipocrisia dagli autoproclamati amanti degli animali
Questo suo candore nel parlare di “natura” fa pensare che lei sia vittima di una malattia che si potrebbe chiamare “platonismo ingenuo”. Le cose, dal punto di vista scientifico e filosofico, sono enormemente più complicate.
Più concretamente: non è curioso che qualcosa che rientra nella nostra “natura” non solo abbassi l’aspettativa di vita, ma abbia richiesto una innovazione culturale (non naturale) quale la scoperta del fuoco per diventare realmente praticabile?
Forse in tempo di guerra poteva essere giustificato il cacciare gli animali per il diritto alla sopravvivenza ma ai tempi attuali vai al supermercato e ai la libera scelta di comprare quello che vuoi in natura c,e tanto di quel cibo alternativo prodotti della terra e se poi manca qualche vitamina esistono gli integratori alimentari quindi perche non si lasciano vivere in pace gli animali il mio motto vivi e lascia vivere e con la coscienza a posto.
L’uomo non è un erbivoro, ma soprattutto non è un carnivoro.
Da onnivoro può scegliere liberamente e serenamente di non mangiare carne o qualunque altro tipo di derivato animale e vivere in prosperità e salute.
Una copiosa letteratura scientifica ha chiarito questa questione.
Non ci sono rischi di carenze proteiche e di micronutrienti, la vitamina b12 viene integrata allo stesso modo nel quale viene integrata al mangime animale.
Gli animali umani e non umani non sono buoni o cattivi in base a ciò che mangiano, la possibilità di scegliere ci rende responsabili delle nostre azioni.
Gli allevamenti etici non esistono, poichè non esiste un modo compassionevole di uccidere un essere senziente che non desidera morire. Una vita dignitosa va rispettata nella sua interezza, e non interrotta per logiche di profitto e palatabilità.
I leoni e gli squali non hanno alternative, la natura a volte testimonia pratiche esecrabili, crudeli e violente, non prendiamole come esempio di vita.
Certo che possiamo scegliere.
Come possiamo scegliere di non bere più acqua a favore del solo vino.
Ma non è una scelta salutare. 🙂
Esempio estremo a parte, l’uomo può scegliere, si, ma non è detto che tutte le scelte siano salutari allo stesso modo.
Salute è consumare il giusto.
L’errore non sta nel consumare carne o meno, ma nel consumarne TROPPA e MALE.
Mangiare una bistecca da 2Kg al giorno fa più male che non consumarne affatto, ma entrambi gli estremi non sono esattamente qualcosa di auspicabile.
Il primo crea sovraccarico, il secondo carenza.
Invece, fare un uso di carne MODERATO, e scegliere carne BUONA, da animali allevati BENE, giova a tutto il meccanismo.
Apporta all’organismo le proteine e gli altri nutrienti indispensabili alla vita, ma senza causare i danni tipici dell’abuso (problemi al fegato, all’intestino, colesterolo, obesità ecc).
Inoltre, consumare meno ma bene significa ridurre gli allevamenti intensivi a favore di quelli biologici, molto più rispettosi dell’ambiente, dell’animale e di tutto il ciclo produttivo.
Poco ma buono, insomma.
Finalmente qualcuno che dice le cose come stanno, con buona pace di tutti gli “animalisti” radical-chic! La natura ha delle regole che, ahimè, vanno rispettate e che neanche la Brembilla riuscirà a cambiare!
Meccanismi psicologici? Mangiamo carne o pesce perché sono alimenti gustosi .
Qual è il meccanismo psicologico che ci induce a mangiare vegetali?Il fatto che non siamo in grado di percepirne la sofferenza, non significa che un povero cespo di insalata non soffra se viene strappato dalla terra e fatto a pezzi. I vegetali ,vi ricordo, sono esseri viventi.: è possibile che soffrano, anche se,per ora ,non abbiamo i mezzi per valutare la loro sofferenza.
Se la mettiamo così, cara maria assunta m., non mangiamo più nulla!
Tolti animali e piante, rimangono i semi: grano, avena, noci, mandorle, nocciole ecc.
Ma anche questi sono VIVI: hanno tutti un germe quiesciente ma che in opportune condizioni riprende a vivere!
Tutti avremo fatto l’esperimento, da bambini, di far germogliare del grano e lo stesso accade con noci, mandorle ecc. ecc.
Ci riamane allora solo, se non vogliamo uccidere nessuno, la polpa dei frutti come mela. pera, arancia, ciliegia ecc., salvandone i semi, ma dubito possa essere un’alimentazione sufficiente per mantenerci in buona salute.
Ha perfettamente ragione, ci sono troppe elucubrazioni pseudo-filosofiche e ideologismi intorno a quello che dovrebbe essere il gesto più naturale per un essere vivente: nutrirsi di quello che può essere utilizzato come cibo. Proprio per questo trovo una ingerenza particolarmente invasiva cercare di imporre le abitudini alimentari ad altri.
Sono d’accordo con lei maria assunta.m, i legami che collegano tutte le piante e i funghi di una foresta trasportano allarmi e altre informazioni che non siamo per ora in grado di intercettare, esaminare e comprendere.
qualcuno qui cita la possibilità di mangiare semi, evidentemente non conoscendo i semi che contengono l’embrione della pianticina che nelle giuste condizioni si affaccerà alla vita da cotal seme. Non resterebbe altro che mangiare quei frutti che la pianta stessa produce affinché siano mangiati ,onde contribuire alla diffusione dei semi che contengono.
Lo spazio per il cibo x animali da compagnia nei supermercati evidenzia bene una enorme contraddizione della nostra società.
Il povero cespo di insalata nn ha un “sistema nervoso centrale” quindi la sua sofferenza nell essere strappato dalla terra nn è paragonabile alla mega sofferenza di un animale nell essere ucciso. Gli animali infatti proprio come gli esseri umani sono provvisti di un “sistema nervoso centrale”..Ci si provi a mettere nei loro panni..
Gent. sig. Sabrina,
le Sue considerazioni riguardo ad una “scala della sofferenza” potrebbero lasciare una speranza agli irriducibili carnivori : potremmo mangiare carne di animali dopo che questi sono stati ridotti (in modo indolore) allo stato vegetativo?
L’articolo è molto interessante, ma sembra che lo studio sia stato fatto in modo non neutrale, l’impressione che si ha leggendo l’articolo è che sia stato impostato dando per scontato che mangiare animali non sia corretto e che si sia partiti con la certezza che chi mangia carne abbia qualcosa che non va nel modo di pensare.
Il mio, gent. sig. Roberto,era un commento leggermente ironico nei riguardi dell’estensore dell’articolo,il quale parrebbe affermare che chi si nutre di carne deve essere psicologicamente disturbato, a differenza di chi si nutre di vegetali, dimenticando che sono sono ,pure loro, esseri viventi.
Invece di scomodare gli psicologi basterebbe portare rispetto per il cibo, soprattutto per le proteine animali (a tal proposito una gita scolastica in un macello sarebbe più istruttiva di tanti discorsi da salotto). Ciò comporterebbe enormi risparmi sia per la salute che per l’ambiente. Con buona pace per l’economia del profitto.
Solo con la consapevolezza delle nostre azioni possiamo vivere meglio.
Concordo che il “toccare con mano” è il miglior insegnamento, Resta il problema se i macelli sono disposti a suicidarsi permettendo queste gite!!!
Spesso – non mi riferisco a lei in particolare ma a tutto quello che si vede e si è visto – nelle “soluzioni” si fa i conti senza l’oste.
Sarebbe davvero interessante poter fare gite nei macelli, potrebbe essere anche un buon incentivo a lavorare seguendo alcune norme…
poco importa se non fossero d’accordo, basterebbe renderli accessibili per legge.
La rappresentabilità psichica di una situazione è indipendente dal farne un’esperienza diretta (reale). E il turbamento emotivo può produrre un allontanamento dalla comprensione del fenomeno.
Esiste sempre una scala di valori, e quindi anche una scala di sofferenza a cui fare riferimento. .La carne coltivata in laboratorio prenderà presto il posto degli allevamenti intensivi di animali.
Le tendenze impositive o fortemente critiche portano ad una società conformista che tende a rimuovere le diversità, a prezzo della perdita di inclusione.
Per gli ideologismi violenti che caratterizzano le posizioni di alcuni gruppi di persone o spero di non vedere mai nella vita l’imposizione o la privazione per legge del consumo di alimenti, e non mi riferisco a specie o alimenti a rischio di estinzione.
Cibarsi come uno sceglie di farlo è espressione di democrazia e libertà, così si dovrebbero rispettare le scelte individuali senza criticarle.
Trovo l’articolo inutile, e spiego il perché. Il discorso sull’uso della carne come alimento è diventato, con il tempo, più ideologico che razionale, prova ne siano i commenti sopra esposti. Non c’è più scambio di opinioni, ma solo contrapposizioni esasperate, dove ognuno pensa do aver ragione, a prescindere. Sulle questioni ideologiche ci si accapiglia, si litiga, si fanno le guerre: e anche chi sta a sentire la controparte, il più delle volte lo fa per sembrare democratico e tollerante, ma in realtà per decidere, sempre ideologicamente, che solo le sue tesi sono veritiere, quelle dell’altro sono stupide; e motivi per pensare così se ne possono trovare a iosa.
Il Fatto Alimentare, a mio parere, dovrebbe astenersi dal pubblicare articoli di tal genere, che, come ha evidenziato qualcuno, non sono e non possono essere neutrali. Per lo più scatenano risse (per fortuna qui solo verbali) che difficilmente portano ad una miglior comprensione “dell’altro”.
Non mi piacciono le opinioni sbilanciate e quella dell’articolo lo è sicuramente
Giusto dare la consapevolezza di dove arriva ciò che si mangia ma ingiusto demonizzare il consumo di carne
Non amo gli estremismi quindi no solo carnivori e no solo vegani e vegetariani
Giusto un equilibrio fra ogni tipo di alimento
E poi ricordiamo che l’uomo non è carnivoro ma ONNIVORO
Mi sono sempre chiesto come si potesse uccidere un animale, dove si potesse trovare il coraggio di togliere una vita. Quando ero poco più che un bambino mia nonna mi fece vedere come si uccidevano i conigli, vivendo in un piccolo paese di provincia era/è normale credo…
ho continuato a mangiare carne perché mi raccontavano essere giusto e naturale, fino a quando, ormai 10 anni fa, ho scoperto che non fosse vero per niente.
evoluzione?
compassione?
Amo il Fatto Alimentare perché lo ritengo un mezzo informativo di buon livello sul mondo del cibo. Questo articolo però tradisce questa linea editoriale ed è un articolo mal scritto. Parte dal presupposto che il consumatore di carne abbia dei disturbi e quindi ne elenca le cause. Non si tratta dunque di un articolo informativo e neanche educativo ma solo un articolo che in qualche modo cerca di convincere dell’esistenza di questo “disturbo” e delle sue cause. Si poteva dare conto dello stesso studio (e rimanere quindi informativi) partendo però da presupposti più laici circa la contrapposizione carnivori/vegani.
Analisi a senso unico che parte dal pregiudizio che mangiare carne debba essere “giustificato con delle scusanti”.
Questo è totalmente falso perché gli esseri umani sono onnivori, e sarebbe demenziale che ci si dovesse giustificare di questa condizione naturale come sarebbe demenziale di doversi giustificare di essere bipedi parlanti, e con buona pace di chi si illude di poterli trasformare in erbivori la loro dieta ha sempre compreso, e sempre comprenderà, sia prodotti di origine animale che di origine vegetale.
Del tutto specioso poi voler etichettare quelli che sentono disagio (in genere sapientemente indotto) verso il consumo di carne come “progressisti” (qualunque cosa voglia dire) in quanto le tendenze politiche sono del tutto indipendenti dalle abitudini alimentari, e sono molto più legate alle disponibilità economiche, chi nei tempi passati aveva scarsa capacità di acquisto si faceva bastare il pentolone che bolliva sul camino con dentro le verdure dell’orto e la polenta ma, non appena possibile, ci metteva almeno un po’ di lardo o di pollame.
Viene il sospetto che anche questa “analisi” faccia parte del marketing ossessivo (palese e occulto) dei prodotti vegetariani o vegani che rappresentano un enorme business, in crescita continua, sul quale le multinazionali si sono buttate a corpo morto e cercano, loro sì, giustificazioni le più varie per incentivare il consumo dei loro prodotti, ovviamente proponendo quelli trasformati ed elaborati, non certo dell’insalatina del contadino, devono vendere il vegetoburger e la similsalsiccia di soia con 72 ingredienti in etichetta e non si sa quanti non dichiarati… ma come si dice, a pensar male si fa peccato.
Analisi a senso unico che parte dal pregiudizio che mangiare carne debba essere “giustificato con delle scusanti”.
Questo è totalmente falso perché gli esseri umani sono onnivori, e sarebbe demenziale che ci si dovesse giustificare di questa condizione naturale come sarebbe demenziale di doversi giustificare di essere bipedi parlanti, e con buona pace di chi si illude di poterli trasformare in erbivori la loro dieta ha sempre compreso, e sempre comprenderà, sia prodotti di origine animale che di origine vegetale.
Del tutto specioso poi voler etichettare quelli che sentono disagio (in genere sapientemente indotto) verso il consumo di carne come “progressisti” (qualunque cosa voglia dire) in quanto le tendenze politiche sono del tutto indipendenti dalle abitudini alimentari, e sono molto più legate alle disponibilità economiche, chi nei tempi passati aveva scarsa capacità di acquisto si faceva bastare il pentolone che bolliva sul camino con dentro le verdure dell’orto e la polenta ma, non appena possibile, ci metteva almeno un po’ di lardo o di pollame.
Viene il sospetto che anche questa “analisi” faccia parte del marketing ossessivo (palese e occulto) dei prodotti vegetariani o vegani che rappresentano un enorme business, in crescita continua, sul quale le multinazionali si sono buttate a corpo morto e cercano, loro sì, giustificazioni le più varie per incentivare il consumo dei loro prodotti, ovviamente proponendo quelli trasformati ed elaborati, non certo dell’insalatina del contadino, devono vendere il vegetoburger e la similsalsiccia di soia con dozzine di ingredienti in etichetta (e non si sa quanti non dichiarati “ausiliari tecnici”)… ma come si dice, a pensar male si fa peccato.
Concordo in toto, si parte dal falso presupposto che chi mangia carne debba giustificarsi così come dovrebbe farlo chi pratica il cannibalismo.
Eppure è evidente che essendo noi onnivori non possiamo avere complessi nei confronti di alcun cibo, meno che mai della carne che è stato il cibo principale delle tribù cacciatrici/raccoglitrici e in seguito delle tribù di pastori nomadi, l’animale vivente è l’unico “cibo” che puoi portare con te per giorni e giorni senza che si deteriori, a parte le granaglie secche, che però basta un acquazzone per rovinare.
E a parte i deliri di chi crede che non ci sia la B12 nella carne, nessuno può seriamente pensare che si debbano giustificare abitudini alimentari plurimillenarie ricorrendo a Freud se non mosso da motivazioni che si guarda bene dal palesare.
La nostra sensibilità nei confronti degli animali è certamente cambiata, non so se attualmente mi sentirei di uccidere e spellare un coniglio come facevo in campagna da bambino, ma questo perché mio malgrado sono condizionato almeno in parte dalla corrente visione disneiana e ipocrita della natura, tutti pronti a umanizzare l’agnellino e contemporaneamente a dire che se il gommone con duecento migranti affonda, eh, se se ne stavano a casa loro…