I consumi di prodotti ittici sono in costante crescita ma, di fronte alle limitate risorse dell’ambiente, il fabbisogno mondiale può essere sostenuto solamente dallo sviluppo dell’acquacoltura. Lo dimostrano i dati, che vedono i volumi di pescato restare pressoché invariati, mentre l’allevamento è passato da 12 milioni di tonnellate nel 1998 a 82 milioni nel 2018. A livello globale è previsto già quest’anno un sorpasso della produzione di pesce di allevamento rispetto a quello catturato in mare, con la previsione di coprire il 60% del mercato entro il 2030. In Europa attualmente l’acquacoltura rappresenta circa un quarto del totale pescato. Si tratta di quote ancora piuttosto contenute, ma destinate a crescere.
Per questo motivo la Commissione europea ha commissionato al Gruppo di lavoro per la valutazione del rischio ambientale del Comitato per i medicinali per uso veterinario dell’Ema (l’Agenzia europea per i medicinali) l’analisi della situazione sull’uso dei farmaci in acquacoltura, su come i regolamenti siano armonizzati e sull’efficacia delle linee guida. Il risultato, confluito nel documento Environmental risk assessment of veterinary medicinal products intended for use in aquaculture in Europe: the need for developing a harmonised approach, pubblicato sulla rivista Environmental Sciences Europe, evidenzia la necessità di aggiornare regolamenti e linee guida.
“La normativa europea sull’impiego di farmaci veterinari è tra le migliori al mondo – dichiara Sara Villa, ricercatrice del dipartimento di Scienze dell’ambiente e della terra dell’Università di Milano-Bicocca e unica rappresentante italiana nel gruppo di lavoro dell’Ema –, perché vantiamo due livelli di controllo, che prevedono una valutazione del rischio a priori e a posteriori, analizzando i residui dei farmaci che vengono rilasciati nell’ambiente. C’è quindi una grande attenzione, capace di mettere insieme la salute umana e la salvaguardia dell’ecosistema. Ciononostante, le linee guida per l’allevamento ittico sono ancora lacunose. I medicinali specifici per acquacoltura approvati dall’Ema sono infatti pochi e si sopperisce spesso a questa mancanza con farmaci veterinari approvati per le specie terrestri. Questi ultimi, però, non sono stati valutati per l’impiego nei pesci, che presenta rischi differenti rispetto all’allevamento a terra”.
Tra le principali problematiche legate all’uso di medicinali nell’allevamento ittico spicca la possibilità di dispersione nell’ambiente acquatico. La dispersione può raggiungere i tre quarti del prodotto utilizzato, con il pericolo di coinvolgimento di specie alle quali i farmaci non erano destinati. Uno dei rischi più noti è la possibilità dello sviluppo di fenomeni di antibiotico-resistenza, ma non è il solo. Particolarmente problematico è anche l’uso degli insetticidi impiegati per contrastare i parassiti, che possono finire per uccidere o danneggiare organismi diversi da quelli a cui erano destinati. “Tra i vari aspetti da considerare – aggiunge Villa – è importante la valutazione delle differenze ambientali, che non riguardano solo l’acqua dolce e salata, ma variano in maniera significativa su più fattori. Il salmone allevato in Norvegia, per esempio, richiederà un trattamento diverso dalle spigole allevate in Grecia o dalle trote in Italia”.
La commissione europea ha ora incaricato il gruppo di lavoro dell’Ema di procedere nel lungo iter per proporre le modifiche necessarie a migliorare le linee guida. La prossima fase da affrontare sarà quella di una consultazione pubblica, che non prevede solo il coinvolgimento di aziende e istituzioni, ma anche di cittadini e associazioni, chiamati a portare il loro contributo all’elaborazione dei migliori criteri possibili. Nel frattempo, risulta tuttora molto difficile trovare sulle etichette dei prodotti ittici indicazioni riguardo all’impiego di farmaci, come invece avviene sempre più frequentemente per gli allevamenti a terra. Tra le eccezioni spicca il pesce a marchio Coop che, come si può leggere nei segnalatori a scaffale: “è allevato senza uso di antibiotici negli ultimi sei mesi”.
© Riproduzione riservata, Foto: AdobeStock, Fotolia
Siamo un sito di giornalisti indipendenti senza un editore e senza conflitti di interesse. Da 13 anni ci occupiamo di alimenti, etichette, nutrizione, prezzi, allerte e sicurezza. L'accesso al sito è gratuito. Non accettiamo pubblicità di junk food, acqua minerale, bibite zuccherate, integratori, diete. Sostienici anche tu, basta un minuto.
Dona ora
Va tutto bene però ……..lo studio che citate nell’articolo organizza e sintetizza un centinaio abbondante di documenti e ricerche dei decenni scorsi giusto per capire la complessità dell’argomento e il motivo per cui è difficile essere ottimisti su un futuro compromesso che senz’altro uscirà dalle stanze dei regolatori.
Le differenze ambientali dei vari sistemi di allevamento, le nuove sostanze di trattamento utilizzate che imporrebbero aggiornamenti continui delle regole, il quadro deprimente sulle frammentarie regolamentazioni attuali come descritte in un recente articolo sul vostro portale dalla stessa ricercatrice, la parte ( leonina ) economica dei processi che pretende giustamente una remunerazione nonostante tutto, sono i complicati fattori di un unico calcolo.
Il nuovo ordine dovrà fare i conti con il forte rischio di alimentare l’imponderabile ma pesante antibiotico-resistenza, mitigare i danni all’ambiente e alla fauna selvatica da sostanze medicali dandogli un peso importante, molto maggiore rispetto a quanto applicato ancora oggi e fino al regolamento futuro.
L’attuale dirigenza europea sarà in grado di dare una risposta chiara, bilanciata e in tempi ragionevoli? perchè da una parte c’è l’approvvigionamento alimentare e interessi consolidati ma dall’altra c’è la salute dell’ambiente e degli esseri viventi compresi gli umani…………da veri sostenitori dell’approccio scientifico mi aspetto che tutte le informazioni abbiano peso equilibrato ma forse sbaglio, sarei comunque curioso di sapere chi è che determina l’algoritmo decisivo.