Nel passato tre erano i grassi presenti nelle cucine tradizionali italiane: l’olio, il burro e il lardo con lo strutto. In auge ed osannato è oggi il primo, a volte criminalizzato il secondo, dimenticati il lardo e lo strutto che nel passato erano alla base della cucina popolare tanto da meritare il detto “tanto va la gatta al lardo che ci lascia lo zampino”. Un proverbio che significa: chiunque compia un’azione proibita, alla fine rischia di subire conseguenze pericolose.
La più accreditata interpretazione del proverbio lo riconduce al frequente uso del lardo nella cucina popolare dove è l’ingrediente principe per fare il battuto alla base del sugo finto, del brodo finto e soprattutto di diversi ragù. Il lardo, con cipolla, prezzemolo e altre erbe odorifere sono tritati su un tagliere denominato battilardo, un nome che la dice lunga, usando un pesante coltello. Può anche essere tagliato in pezzi con la mezzaluna, una lama ricurva che si tiene con entrambe le mani. In ogni modo non era acquistato sotto forma di comode fette o dadini, in vaschette sottovuoto al supermercato, come accade oggi. Il lardo trasformato in un impasto morbido è soffritto fino a diventare biondo per ottenere il già citato brodo finto, i sughi e i ragù.
Quando è battuto o tagliato con la mezzaluna può accadere che l’onnipresente gatta domestica tenti furtivamente di sottrarne un pezzetto e allungando la sua zampina rischia di vedersela tagliata. Non è da scartare l’altra, meno probabile supposizione dell’uso di un pezzetto di lardo come esca per i topi al posto del formaggio e se la gatta tenta d’assaggiarla fa scattare la trappola. In entrambi i casi la gatta del proverbio, che troppo vuole tentare e rischiare, ci lascia lo zampino. Un’altra interpretazione del proverbio si riferisce all’impronta che la gatta lascerebbe quando ruba un pezzetto di lardo.
È nel Medioevo che il lardo assume la maggiore valorizzazione nella cucina. Antimo, medico greco alla corte dell’imperatore romano d’Oriente Zenone di Bisanzio e approdato a Ravenna durante la dominazione di Teodorico, dopo il 511 compone il manuale di dietetica De observatione ciborum ad Theodoricum regem Francorum epistola dove scrive che il lardo serve da condimento per verdure e per ogni altro cibo. L’affermazione politica e sociale dei popoli germanici medievali promuove d’immagine del grasso animale, facendo divenire il lardo il grasso per eccellenza della cucina aristocratica e perfino dell’alimentazione monastica. A questo fanno eccezione gli obblighi imposti dal calendario liturgico che costringe i cristiani a sostituire il lardo animale con l’olio vegetale, generando così per la prima volta un’inedita alternanza tra i due grassi.
Nel Medioevo oltre al lardo e al suo derivato, lo strutto, vi è anche l’oleum lardinum ottenuto dalla spremitura a freddo delle parti più tenere dei tessuti grassi del maiale e, in quanto liquido, ritenuto simile all’olio, quindi cibo magro, del quale è permesso l’uso in Quaresima e in altri giorni di astinenza dalle carni. Per questo nell’anno 818 il Concilio di Aix decide di sostituire l’olio d’oliva con il grasso estratto dal lardo e retoricamente denominato oleum lardinum. Più tardi, a metà del 1300, Gregorio XI fa un’analoga concessione al Re di Francia. Nel XIV secolo gli oli della cucina di magro e il lardo della cucina di grasso sono venduti dalla corporazione dei Lardaroli, il cui nome indica l’importanza assunta del lardo.
Che il lardo, ora spesso criminalizzato, fosse molto importante per l’alimentazione e avesse un fondamentale ruolo nelle cucine del passato lo sappiamo anche dal suo prezzo, non di rado superiore a quello del prosciutto, ma anche dagli interventi delle autorità sul suo uso. È esemplare quando nell’anno 1824 alla popolazione della grassa e dotta Bologna e del suo territorio è concesso l’uso del lardo e dello strutto anche nei giorni di magro, salvo diciannove prefestività l’anno, perché in quel periodo vi è una gravissima carestia agricola e il grasso ottenuto dai maiali e dai cinghiali che pascolano nei boschi è ancora un cibo disponibile.
Adesso lardo e strutto hanno una composizione che si avvicina a quella di molti oli vegetali, principalmente soia e mais, perché i maiali sono alimentati con queste granaglie e i loro oli. Inoltre oggi abbiamo cambiato le idee sul ruolo che il colesterolo contenuto negli alimenti ha nel determinare i suoi livelli nel sangue del consumatore, che sono prevalentemente influenzati dal metabolismo e dalla genetica. Un ritorno a un corretto uso del lardo e dello strutto in un’alimentazione equilibrata è auspicabile, anche per i loro valori gastronomici, con la riscoperta di antiche tradizioni, con le invenzioni dei grandi cuochi e con l’offerta che vi è di lardi di grande qualità Dop, Igp e Pat.
Tra questi vi è il Lardo di Colonnata Igp che ha una grande notorietà per il suo gusto unico e la sua delicatezza che dipende dalla scelta delle materie prime (suino pesante, aromi usati ecc.) e dalla stagionatura compiuta in vasche di marmo (conche). Altrettanto noto è il Lardo di Arnad Dop stagionato in vasche di legno e insaporito con ginepro, alloro, noce moscata, salvia e rosmarino. Numerosi sono infine i lardi Pat (Prodotto Alimentare Tipico) sempre più usati nelle cucine tradizionali e tra questi sono da ricordare il Lardo Cuneo, di Basilicata, Piemontese, di Faeto, del Montefeltro, Piacentino, Friulano, Lucano, Molisano, di Leonessa, e il Lardo stagionato di maiale nero laziale.
Giovanni Ballarini
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Professore Emerito dell’Università degli Studi di Parma e docente nella Facoltà di Medicina Veterinaria dal 1953 al 2002
Un ritorno nostalgico ai bei tempi che furono, dai popoli germanici fino al medioevo, per un ritorno corretto ed equilibrato all’uso dei grassi animali, per esaltare le invenzioni di grandi chef, per riscoprire antiche sensazioni bucoliche, per soddisfare la propria golosità.
Mi auguro non si avveri.
Io invece mi auguro il contrario, perché – sia pure con la giusta moderazione – il consumo di questi alimenti permette di riscoprire le nostre tradizioni gastronomiche e gli antichi sapori.