Solo il 2,5% dell’acqua presente sulla Terra è potabile. Una percentuale piccola, e in molti Paesi insufficiente. Da tempo esistono impianti di desalinizzazione, ma la loro efficienza e il loro impatto ambientale sono ben lontani dall’essere ottimali, e per questo non vengono utilizzati quanto ci si aspetterebbe, o quanto sarebbe davvero utile. Ora però un nuovo metodo, basato su materiali estremamente comuni, che non richiede alcuna alimentazione elettrica perché sfrutta l’energia del sole, potrebbe fare la differenza. A metterlo a punto sono stati i ricercatori dell’Università cinese di Dalian, che hanno poi spiegato su AIP Advances, rivista dei fisici americani, in che cosa consiste.
L’idea alla base è quella di trovare le condizioni migliori per far evaporare l’acqua salata, in modo da separare la parte salina dall’acqua pura, utilizzando appunto l’energia del sole. A tal fine, gli autori hanno pensato di far arrivare i raggi solari su uno strato ricoperto da una molecola già usatissima nei pannelli solari, il TiNO (nitrossido o ossido nitrico di titanio), che amplifica l’energia. Al di sotto di questo strato i ricercatori hanno impiegato un tipo particolare di cellulosa, anch’essa molto utilizzata (per esempio per i pannolini monouso) e dotata di un elevatissimo potere assorbente e filtrante, per convogliare l’acqua salata verso lo strato di titanio. Un terzo strato di schiuma polietilenica è stato impiegato come isolante e per permettere al dispositivo di galleggiare.
Inserendo il dispositivo in un contenitore trasparente con l’acqua da trattare e una parete di quarzo inclinata, l’acqua evaporata può essere condensata e convogliata separatamente, per raccoglierla. L’energia solare interagisce con il TiNO, generando calore e facendo evaporare l’acqua salata incanalata dalla cellulosa, che trattiene i sali. Ciò che esce è quindi acqua pura, in forma di vapore, convogliata nel raccoglitore dalle pareti inclinate del contenitore.
Questo desalinizzatore, quindi, non richiede energia elettrica, ma solo materiali poco costosi e facili da trovare, e il sole. La sua efficienza è elevatissima. L’acqua salata ha una concentrazione di sali che è pari, in media, a 75 mila milligrammi per litro; quella dell’acqua potabile si aggira attorno ai 200 mg/l. Quella che esce dall’impianto è pari, in media, a 2 mg/l. Oltre a questo, la cellulosa può essere riutilizzata più volte, in media per 30 cicli.
Se uno strumento basato su questo semplicissimo principio fosse realizzato a livello industriale, potrebbe fornire grandi quantità di acqua potabile a costi bassissimi, e con un impatto ambientale minimo: una soluzione quasi ideale per i Paesi che hanno molto sole, molta acqua non potabile e poche possibilità di ottenerne in altro modo.
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Giornalista scientifica
Quanto costa la produzione del nitrossido di titanio? Che danni ambientali fa? Dove si trova il titanio? Alla fine dei 30 cicli di uso, come si può smaltire o (preferibilmente) riciclare questo materiale? E l’intera apparecchiatura?
Queste dovrebbero cominciare ad essere le domande da farsi prima di mettere in produzione una nuova tecnologia, non solo cosa fa e quanto è efficiente nel farlo…