Il cibo è salute. Ci sono dunque delle cose che non possiamo più permetterci di fare. Non possiamo più permetterci di sprecare cibo, di buttarlo via, perché ormai un terzo di quello prodotto in tutto il mondo viene sprecato – come dicono i dati della Fao. E fra le cause dello spreco alimentare da parte dei consumatori ci sono scarsa consapevolezza ma anche grande abbondanza di cibo. Bisogna dunque ridargli valore, per contenere lo spreco con l’obiettivo di azzerarlo.
Non possiamo più permetterci di riempire le nostre case di imballaggi di ogni tipo, spesso monouso, spesso fonti di pericolo per la sicurezza alimentare. Perché le alternative ci sono: contenitori riutilizzabili per la spesa sfusa, retine e barattoli da riutilizzare, prodotti alternativi che permettono di superare il ricorso alla plastica. Packaging e spreco alimentare sono stati i due grandi temi approfonditi dal webinar “Scarti alimentari, come ridurli e come gestirli”, organizzato da MDC Perugia sabato 6 marzo nell’ambito del progetto “Il cibo è salute”, realizzato all’interno del programma generale di intervento della Regione Umbria con l’uso dei fondi Mise.
Il focus sullo spreco alimentare mette bene in luce quali siano le dimensioni planetarie del fenomeno. Che ha tante cause e rimanda al rapporto della società intera e degli individui col cibo, in un contesto fatto di paradossi. Nel cibo si riproducono infatti disuguaglianze e uso non ottimale delle risorse alimentari. Per non parlare del fatto che, oltre alla malnutrizione e alla cattiva nutrizione, una delle pandemie mondiali più diffuse è quella dell’obesità.
A fare il punto sullo spreco alimentare è stato, nell’ambito del webinar organizzato da MDC Perugia, il professor Luca Falasconi, Dipartimento di Scienze e tecnologie agroalimentari dell’Alma Mater Studiorum, Università di Bologna. La valorizzazione del cibo come salute si porta dietro il grande tema dello spreco alimentare. “È un fenomeno che non ha una definizione univoca al mondo – ha detto il professor Falasconi – e chiama in causa il rapporto della società e delle persone col cibo”.
Nonché i paradossi in cui si muove il cibo. Uno è fondato sulla disuguaglianza: il 5% della popolazione mondiale usa un terzo delle risorse alimentari dell’intero pianeta. Un altro riguarda il contrasto fra denutrizione e obesità, problema particolarmente sentito non solo in Italia ma anche in Paesi come Nigeria, Uganda, Messico, Egitto. Un altro ancora riguarda l’impiego non ottimale delle risorse alimentari. “Un terzo della produzione alimentare vegetale del pianeta viene destinata all’allevamento animale”, sottolinea Falasconi. Questo però porta a degli squilibri.
Un ettaro di terreno coltivato a patate, racconta l’esperto, può sfamare 22 persone in un anno; un ettaro di terreno a riso può sfamare 19 persone l’anno; un ettaro coltivato a foraggio per allevare bovini oppure ovini può sfamare una o due persone l’anno. E dal 1967 a oggi la produzione animale è esplosa: l’allevamento del pollame è aumentato del 700%, quello dei suini del 300%, quello di ovini e bovini del 200%. Altra distorsione deriva dalla produzione di biocarburanti: un ettaro di terreno coltivato a mais può sfamare una persona per un anno o fare un “pieno” al serbatoio, per una volta sola.
Il cibo non è distribuito in modo equo. La Fao stima che un terzo di quanto prodotto al mondo venga sprecato. Lo spreco alimentare rimanda dunque, spiega Falasconi, all’insieme dei prodotti scartati o perduti lungo tutta la filiera agroalimentare. È tuto il cibo che ha perso valore commerciale ma non caratteristica di cibo. Sono i prodotti utilizzabili ma non più vendibili, che perdono la caratteristica di merce, ma non quella di alimento. A quanto ammonta dunque questo spreco?
A livello planetario sono sprecati o persi il 30% del pesce, il 20% della carne, il 45% di frutta e verdura, il 30% dei cereali. Solo alla voce pesce, è l’equivalente di 3 miliardi di salmoni. In Europa gli sprechi alimentari si concentrano per il 43% nel consumo domestico. In Italia si spreca qualcosa come 2 milioni e mezzo di tonnellate di cibo a livello domestico.
Le cause dello spreco alimentare sono molteplici, ma alcune colpiscono in modo particolare – anche per la loro diffusione a livello casalingo e domestico. C’è ad esempio l’assenza di consapevolezza dei consumatori che, quando fanno la spesa, evitano di comprare i prodotti con imballaggio rovinato. Sono prodotti che verranno buttati via dai punti vendita per il solo fatto di avere, ad esempio, il cartone di un rivestimento strappato.
Altre cause, spiega Falasconi, sono “la straordinaria abbondanza di cibo, la straordinaria accessibilità, la straordinaria economicità”. Brutalmente: “possiamo permetterci di buttare via cibo”. Allo stesso tempo, possiamo anche invertire la rotta, almeno a livello di consumo domestico.
“È vero che il consumatore è la pecora nera dello spreco alimentare lungo la filiera, ma se tutti noi consumatori decidessimo di essere più attenti e ridurre a zero lo spreco, il 40% dello spreco alimentare verrebbe risolto”. E questo dà un grande ruolo ai consumatori nella lotta allo spreco di cibo. L’imperativo è dunque uno: “Ridare valore al cibo”.
Le pratiche virtuose nella riduzione dello spreco non mancano, anche via app e con le nuove tecnologie. Due su tutte. Una è quella dell’app Too Good To Go, che mette in contatto gli esercizi al dettaglio con gli utenti quando ci sono prodotti invenduti a fine giornata, specialmente cibo fresco. I consumatori ritirano una magic box a sorpresa e hanno cibo “troppo buono per essere gettato via”, venduto a un terzo del suo prezzo. A livello globale, è un’esperienza che ha permesso di salvare 50 milioni di pasti, 2 milioni in Italia.
L’altra esperienza virtuosa è quella di Regusto, piattaforma blockchain per la gestione delle eccedenze e degli stock. Attraverso Regusto le aziende possono vendere o donare i propri prodotti a enti non profit e associazioni convenzionate. La piattaforma traccia le transazioni in blockchain e calcola la riduzione di impatto ambientale generata, nonché le persone raggiunte dai beni donati o venduti. In media all’interno di Regusto vengono donate e vendute più di 25 tonnellate di beni al mese.
Sabrina Bergamini – HelpConsumatori
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Buongiorno
sono d’accordo su tutto però mi permetta di dire che il packaging non contribuisce allo spreco alimentare ma va nell’altra direzione. Il packaging allunga la vita del prodotto e lo preserva da contaminazioni esterne, ben più pericolose e fuori controllo. Certo, bisogna anche qui farne buon uso e ridurlo al minimo e su questo si lavora giornalmente, anche le aziende alimentari hanno interesse a ridurlo per spendere meno.
Poi bisogna educare tanto fin da piccoli a non sprecare e a rispettare ciò che si mangia, ho visto qualche tentativo nelle scuole ma è ancora troppo poco.
grazie