Anche in Italia arriva carne brasiliana proveniente da aziende legate, direttamente e indirettamente, all’accaparramento delle terre e agli incendi in Pantanal – la zona umida più grande del mondo – che l’anno scorso si è ridotta di circa il 30 per cento proprio a causa degli incendi. Lo svela la nuova indagine “Foreste al Macello III – Il caso Pantanal” firmata da Greenpeace che aggiunge un nuovo tassello al lavoro dell’associazione sugli impatti legati alla produzione e al consumo di carne e soia (destinata principalmente alla mangimistica) sulle foreste del Sudamerica.

Il rapporto di Greenpeace

Dopo “Foreste al Macello, che svela il legame nascosto tra la deforestazione del Gran Chaco e la produzione di carne esportata in Europa e “Foreste al Macello II”, che denuncia la deforestazione dell’Amazzonia brasiliana legata alla creazione di grandi allevamenti per il bestiame, “Foreste al Macello III” analizza il legame fra la perdita di biodiversità nel Pantanal e il business delle principali aziende brasiliane di lavorazione carne: JBS, Marfin e Mireva. Secondo il documento l’Italia ha più responsabilità di quelle che crediamo.

Il Pantanal è la più grande zona umida del mondo, un’immensa pianura alluvionale soggetta a inondazioni periodiche, ricchissima di biodiversità e casa di specie in pericolo di estinzione. Si trova in Sudamerica, per gran parte in Brasile (negli Stati del Mato Grosso e del Mato Grosso do Sul), ma anche in Bolivia e in Paraguay. ​Nel 2020, dopo due anni consecutivi di grave siccità,​ circa il 30% del Pantanal brasiliano è stato consumato dalle fiamme: fonti ufficiali affermano che la stragrande maggioranza degli incendi è stata causata dall’attività umana.​ In molti casi le aziende agricole sono le principali sospettate di aver deliberatamente appiccato gli incendi. Greenpeace International ha identificato 15 aziende agricole che sono fornitori attuali o recenti (2018 – 2019) delle principali aziende brasiliane di lavorazione delle carne JBS, Marfrig e Minerva, e che sono legate agli incendi nel Pantanal dello scorso anno.

Le aziende che operano nel Pantanal

Nello specifico, nel 2018 e nel 2019, le 15 aziende agricole sono state collegate, direttamente o indirettamente, ad almeno 14 stabilimenti di lavorazione della carne di proprietà di JBS, Marfrig e Minerva che, a loro volta, commercializzano carne a livello globale. Sono stati quindi identificati collegamenti commerciali diretti tra una o più di questi 14 stabilimenti e multinazionali quali Nestlé; fast food quali Burger King e McDonald’s; e catene della grande distribuzione quali Pão de Açúcar (catena brasiliana appartenente alla francese Groupe Casino) e Walmart Cile.​ Secondo i dati sulle esportazioni reperibili sulla piattaforma online Panjiva, tra il 1 gennaio 2019 e il 31 ottobre 2020, i 14 impianti hanno esportato collettivamente oltre mezzo milione di tonnellate di carne e prodotti a base di carne, per un valore di quasi 3 miliardi di dollari, verso: Hong Kong (22%); Cina (21%); Unione europea e Regno Unito (8%); e USA (1%).

Tra il 1 gennaio 2019 e il 31 ottobre 2020, l’Italia si è affermata ​come il principale importatore di carne brasiliana dell’Ue

Tra il 1 gennaio 2019 e il 31 ottobre 2020, l’Italia si è affermata ​come il principale importatore di carne brasiliana dell’Ue e il sesto a livello mondiale. Nel nostro Paese, infatti, sono state importate 17.338 tonnellate di carne e prodotti a base di carne per un valore di circa 96 milioni di dollari, da dodici di questi stabilimenti appartenenti a JBS, MarfrigeMinerva.

La denuncia di Greenpeace

La scarsa volontà politica, così come la mancanza di trasparenza e tracciabilità fanno della produzione industriale di carne uno dei principali motori globali della deforestazione, della perdita di biodiversità e dell’ingiustizia sociale. ​Ma i cittadini europei sono stanchi di essere complici inconsapevoli della distruzione di foreste fondamentali per il Pianeta. Infatti, sono state oltre un milione le persone in Europa – tra cui più di 75 mila italiane e italiani – che l’anno scorso hanno partecipato alla consultazione europea “Deforestazione e degrado forestale – riduzione dell’impatto dei prodotti immessi sul mercato dell’Ue​” per chiedere una normativa comunitaria rigorosa che ponga fine alla circolazione sul mercato europeo di materie prime e prodotti la cui estrazione, raccolta o produzione ha o rischia di avere un impatto negativo su foreste, altri ecosistemi e diritti uman​i.

La Commissione europea – continua Greenpeace – sta finalmente lavorando a una nuova normativa per affrontare l’impatto dei consumi dell’Ue sulle foreste del mondo ma, al momento, importanti ecosistemi come le zone umide, le praterie e le torbiere resterebbero escluse e quindi esposte allo sfruttamento e alla distruzione. Greenpeace chiede all’Ue di fare in modo che le filiere dei prodotti venduti in Europa siano libere non solo dalla distruzione delle foreste, ma anche dalle violazioni dei diritti umani e dalla distruzione di altri ecosistemi come il Pantanal.

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