Il tentativo di ridurre i consumi eccessivi di bevande alcoliche puntando sul prezzo minimo imposto è una delle politiche di sanità pubblica più studiate. La scelta riguarda soprattutto i superalcolici e in misura minore birra e vino per ridurre i casi di abuso e dipendenza e, quindi, i danni sulla salute (con i relativi costi per il sistema assistenziale pubblico), gli incidenti stradali e tutte le altre conseguenze negative che comporta l’abitudine a esagerare con l’alcol.
Finora tale politica non è mai stata applicata in maniera sistematica, ma le cose potrebbero cambiare presto. In questa direzione consigliano di muoversi enti come i Centers for Diseases Control statunitensi, che hanno pubblicato le ultime statistiche secondo le quali è da considerarsi alcolista un americano adulto su sei (perché beve in modo eccessivo almeno quattro volte al mese), e il comitato della camera dei Comuni britannica, incaricato di elaborare nuove linee guida per contrastare l’abuso di alcolici.
Quest’ultimo, in particolare, propone una revisione delle dosi giornaliere massime consigliate, l’introduzione obbligatoria della quantità di unità alcoliche nelle etichette e, appunto, quella di un prezzo minimo controllato, nella convinzione che si debba evitare che le bevande alcoliche siano accessibili a prezzi troppo bassi e quindi a un pubblico sempre più vasto.
In questi giorni è stato pubblicato su Addiction, uno dei primi studi di lunga durata mai condotti sull’argomento. I ricercatori del UVic’s Centre for Addictions Research della British Columbia canadese di Victoria (CARBC) sono andati a verificare che cosa è successo tra il 1989 e il 2010, mettendo in relazione l’andamento dei prezzi con i consumi.
Hanno così scoperto che per ogni 10% di aumento del prezzo minimo si verifica un calo dei consumi di liquori e alcolici ad alta gradazione del 6,8%, per il vino il ribasso è dell’8,9%, mentre per bevande gassate alcoliche e sidri del 13,9%, per la birra solo dell’1,5%. Questi dati – hanno precisato gli autori – derivano dalle statistiche ufficiali, e ovviamente non tengono conto del consumo illegale e di quello che sfugge alla registrazione, sempre presenti nonostante la vendita, in Canada, sia affidata a spacci pubblici e a esercizi privati sottoposti al controllo di un’agenzia governativa.
Inoltre, dal momento che il calo dei consumi e l’aumento dei prezzi si sono verificati in un arco di tempo piuttosto lungo, non è possibile affermare con certezza che il primo sia stato causato dal secondo. Per esempio, un ruolo non secondario nella modifica dei comportamenti dei consumatori potrebbe averlo giocato l’aumento di consapevolezza e di informazione dell’opinione pubblica sui possibili danni dell’alcol.
Tuttavia – sempre secondo i ricercatori canadesi, così come per gli esperti dei CDC e per quelli britannici – l’esistenza di un nesso è altamente probabile, e per questo è importante continuare a utilizzare la leva economica per tentare di scoraggiare il consumo eccessivo di alcol e limitare l’accesso da parte dei più giovani.
Agnese Codignola
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