Due anni fa è entrata pienamente e definitivamente in vigore una legge europea del 2013 che aveva lo scopo di porre fine a un fenomeno inaccettabile: lo scarico in mare di tonnellate di pesce pescato e non commercializzabile. Purtroppo, uno studio condotto da Lisa Borges, una biologa che lavora come consulente indipendente in Portogallo, appena pubblicato su ICES Journal of Marine Science sembra indicare che essa abbia avuto un effetto paradossale: potrebbe aver peggiorato la situazione. Ne dà conto anche Science, che ricostruisce quanto avvenuto e spiega perché la normativa, così com’è, non riesce a funzionare.

Nel 2013, a seguito anche della mobilitazione di chef e gruppi ambientalisti, è stata approvata appunto una legge che vieta di scaricare in mare le specie non commerciabili, obbligando i pescherecci a riportare tutto in porto. La norma impone invece di ributtare in acqua i pesci più piccoli, in modo da non depauperare eccessivamente i banchi, anche se non è certa la loro sopravvivenza.

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Nel 2013 l’Unione Europea ha approvato una normative per vietare di gettare in mare il pesce indesiderato

Per evitare di pescare troppo pesce indesiderato, l’Europa suggerisce di cambiare tipo di rete, ma le grandi aziende, così come i singoli pescatori, non hanno recepito questa indicazione, e hanno continuato a buttare via il pescato (come denunciato anche in due rapporti, uno della Commissione Europea e uno della European Fisheries Control Agency). Non solo: hanno anche fatto pressione sulle autorità statali competenti affinché agissero in un altro modo, ovvero ampliando a volte in modo davvero significativo la quantità di pesce che era permesso catturare, in modo da non modificare quella di pescato commerciabile. Siccome le specie indesiderate non si gettano più, la quota di pesce che si vende meglio sul mercato diminuisce, per questioni di spazio. Se però, per compensare la perdita, si permette ai pescatori di catturarne molto di più, si genera un effetto contrario allo spirito della legge europea.

Per capire come stava andando, Borges non poteva fare affidamento sulle quote annuali perché la dimensione delle popolazioni è soggetta anche a variabili indipendenti dalla pesca. Ha quindi avuto un’idea: ha controllato quanto pesce i comitati scientifici avevano consigliato di pescare, per essere sostenibili, e ha incrociato questi valori con ciò che i governi avevano deciso. Negli ultimi anni, le quote stabilite sono sempre state maggiori rispetto a quanto suggerito, di circa il 30%. Ma dopo l’introduzione della legge lo scarto è aumentato in media del 36%, perché i governi hanno deciso di permettere di pescare molto più pesce. Nel 2019 e nel 2020, in coincidenza con l’estensione del divieto alla pesca a strascico (per proteggere le specie che vivono sui fondali), le variazioni sono state anche più alte, pari rispettivamente al 43% e al 50%.

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In seguito all’entrata in vigore del bando, i governi nazionali hanno aumentato le quote di pesce che può essere catturato

E non è tutto: Borges ha dimostrato anche che è stato introdotto via via un numero crescente di deroghe, minando alla radice lo spirito della normativa, e che le flotte riescono a ributtare in mare il pesce legalmente piuttosto spesso. Per esempio, è possibile gettare via il 5% del pescato, se la situazione lo richiede o se, per tipo di pesca, è impossibile ridurre la quantità di pesce indesiderato, così come è possibile rigettare in mare alcune specie che, si pensa, possono sopravvivere alla pesca e alla successiva reimmersione, come gli squali. Infine, anche i controlli non sortiscono gli effetti sperati, se è vero che solo il 5% di essi rileva qualche infrazione che è possibile sanzionare: secondo Borges va rivisto anche questo aspetto, per esempio introducendo telecamere sui pescherecci.

Ci sono, per fortuna, anche segnali positivi come quelli relativi ad alcuni dei grandi protagonisti della pesca. Nel caso delle aringhe e degli sgombri, per esempio, i governi rispettano le quote suggerite nel 99% dei casi, e anche i tonni sembrano essere pescati in modo abbastanza sostenibile. Va peggio per i merluzzi del mare d’Irlanda, che oltretutto sono molto importanti per l’equilibrio dell’ecosistema. 

L’obiettivo dell’Unione Europea era quello di porre fine alla pesca in eccesso (overfishing) entro il 2020: è evidente che non è stato raggiunto, e che bisogna correre ai ripari modificando la legge, introducendo se necessario altri strumenti normativi che possano aiutare a ridurre il fenomeno.

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