“Quanta foresta avete mangiato oggi?” È una domanda scomoda quella che pone il WWF nel suo ultimo report. Molti alimenti tipicamente italiani sono infatti legati a doppio filo con la deforestazione: carne, soia, olio di palma, caffè e cacao, sono solo alcuni dei prodotti che l’Italia importa in grandi quantità e la cui produzione spesso e volentieri causa il disboscamento di terreni, soprattutto nelle zone tropicali.
Ogni anno, infatti, per la riconversione in terreni agricoli spariscono 10 milioni di ettari di foreste e, dal 1990 ad oggi, ne sono stati abbattuti 420 milioni, un’area paragonabile a quella dell’Unione europea. E sono proprio i consumi dei cittadini europei a causare il 10% della deforestazione globale. Si tratta di una forte minaccia per la biodiversità, dato che l’80% delle specie animali e vegetali terrestri vive proprio in questi ambienti, ma anche per il clima: le foreste assorbono e custodiscono elevate quantità di carbonio che può essere rilasciato dopo l’abbattimento e fungono da meccanismo di regolazione del sistema climatico globale.
Tra i prodotti “a più alto contenuto di deforestazione”, come li ha definiti il WWF, c’è sicuramente il caffè, di cui se ne bevono 2,5 miliardi di tazze ogni giorno, un terzo delle quali in Europa. In Italia, per esempio, se ne consumano in media 6 kg a testa. E si prevede che entro il 2050 la produzione mondiale dovrà triplicare per soddisfare la domanda globale, quasi certamente disboscando nuovi terreni, dato che il 60% delle aree adatte è ricoperto da foreste. Come se non bastasse, le zone oggi occupate dalle piantagioni nei prossimi decenni non saranno più idonee alla produzione del caffè a causa del cambiamento climatico, che spingerà le coltivazioni più in alto, producendo ulteriore deforestazione. Una minaccia per specie come la tigre di Sumatra, che vive nelle foreste dell’Indonesia, uno dei maggiori produttori di caffè.
Poi c’è la soia, seconda causa di deforestazione dopo l’allevamento bovino, la cui produzione è aumentata in modo esponenziale insieme al consumo di carne e derivati (la quasi totalità delle farine di soia, infatti, è utilizzata per la produzione di mangimi animali). L’Europa importa ogni anno il 95% del fabbisogno, con l’Italia al terzo posto tra i Paesi UE. Tuttavia si stima che un quinto della soia importata in Unione Europea dal Brasile, il più grande produttore mondiale, sia legata alla deforestazione illegale in Amazzonia e Cerrado, alcuni degli ecosistemi più preziosi del pianeta, che insieme a Gran Chaco e Pantanal ospitano il 10% di tutte le specie animali. Solo le importazioni di soia in Italia sarebbero responsabili dell’abbattimento di circa 16 mila ettari di foresta l’anno.
L’allevamento di bestiame, quindi, è tra le prime cause di deforestazione al mondo, la prima in Sud America e Brasile. Circa 75 milioni di ettari di foresta sono stati distrutti nell’Amazzonia brasiliana, dove oggi si trova quasi il 40% dei bovini del paese. Il Brasile fornisce tra il 25 e il 40% della carne bovina importata in Europa, il 17% della quale legato a deforestazione illegale. E tra i Paesi dell’Unione è l’Italia il maggiore importatore di carne bovina, con il Brasile in testa tra i Paesi di origine. Il nostro Paese, ad esempio, importa grandi quantità di cosce di zebù per la produzione della bresaola, anche di quella Igp, come consente il disciplinare di produzione.
Caffè, soia e carne bovina non sono gli unici prodotti legati alla deforestazione che consumiamo ogni giorno, direttamente o indirettamente. L’Unione europea è il più grande mercato di import/export agroalimentare, a cui è destinato il 36% delle colture e dei prodotti di origine animale legati a deforestazione. Cosa fare dunque? È indispensabile diventare consumatori consapevoli preferendo, per esempio, caffè e altri prodotti provenienti da aziende certificate e riducendo il consumo di carne e derivati animali.
A livello istituzionale la Commissione europea ha proposto una nuova normativa sui prodotti legati alla deforestazione, per questo è in corso una consultazione pubblica a cui possono partecipare tutti i cittadini europei e oltre un milione di persone ha già partecipato alla campagna #Together4Forests per chiedere una legge europea contro la deforestazione.
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Giornalista professionista, redattrice de Il Fatto Alimentare. Biologa, con un master in Alimentazione e dietetica applicata. Scrive principalmente di alimentazione, etichette, sostenibilità e sicurezza alimentare. Gestisce i richiami alimentari e il ‘servizio alert’.
Grazie per l’articolo, è un argomento su cui tenere accesa l’attenzione.
Non avendo però giurisdizione su paesi in via di sviluppo sovrani nel proprio territorio i paesi che riconoscono l’importanza delle estensioni arboricole potrebbero, anzi dovrebbero ripristinare territori glabri trasformandoli in boschi dove possibile.
Sulla enorme diffusione dei prodotti il cui valore di mercato invoglia i coltivatori e le autorità dei paesi a disboscare …… beh il mondo civilizzato dovrebbe riflettere sulla evidenza che una grossa fetta di patologie, sofferenze e decessi derivano da eccessivo consumo di alimenti insalubri e insostenibili.
…riflettere e soprattutto agire, criticando e anche bloccando le risorse atte a sostenere certe involuzioni ambientali in fase di svolgimento o in progetto nelle varie parti del mondo.
A volte le migliori intenzioni sono quelle che producono i peggiori risultati, ad esempio la feroce campagna contro l’olio di palma, che ha trovato l’immediato appoggio degli ambientalisti nonostante sia nata come guerra commerciale francese contro la nutella, ha dato un forte impulso alla coltivazione della soia… che abbatte otto volte più foresta per produrre lo stesso quantitativo di olio.
E continuo a pensare che non sia un caso se un microsecondo dopo la comparsa inattesa e improvvisa del “fenomeno Greta” tutte, ma proprio tutte, le case automobilistiche avevano pronta in produzione e in vendita un’intera gamma di auto elettriche che fino al giorno prima erano correttamente considerate solo un giocattolo per ricchi che potevano permettersi una seconda auto che richiede ore sotto carica per essere nuovamente utilizzabile, invece di cinque minuti dal benzinaio.
Dovremmo imparare a essere un po’ più critici nei confronti di chi ci prospetta soluzioni immediate, facili, logiche, mirabolanti, e che alla fine creano più problemi di quanti ne risolvano.