Packaging alimentare, materiale da pesca e rifiuti generici: tutti in plastica, e tutti capaci di navigare fino all’Antartide. La conferma di osservazioni già segnalate in modo sporadico negli ultimi anni arriva da due studi appena pubblicati su Environment International da un gruppo di ricercatori del British Antarctic Survey (missione che da molto tempo tiene sotto controllo la situazione con campionamenti regolari sul campo). La plastica ha dunque raggiunto anche le estreme terre del Sud, e anche se c’è qualche buona notizia, il panorama è preoccupante.
Gli studi affrontano aspetti diversi rispetto a quanto osservato in due punti di rilevazione attivi da oltre trent’anni. La Bird Island, nella Georgia del Sud (territorio britannico d’oltremare a circa mille km a est delle Falkland), e la Signy Island, nelle Orcadi del Sud (ancora più a Sud, a circa 1.300 km dalle Falkland, con temperature che, in inverno, raggiungono i 40°C sotto zero).
Nel primo caso sono stati analizzati i rifiuti raccolti nelle spiagge negli ultimi trent’anni. Nella Bird Island, sono stati raccolti oltre 10.100 campioni per un peso complessivo di oltre 100 kg, e si è visto che il 97,5% (pari all’89% del peso totale dei detriti raccolti) era costituito da plastiche, mentre il resto erano metalli, cartoni e altri materiali industriali. Nella seconda isola, la Signy Island, la situazione era simile: i rifiuti – oltre 1.300, per un peso di 268 kg – erano all’84% costituiti da plastiche (pari all’80% in peso).
In entrambi i casi, tutti i rifiuti erano di natura antropogenica e provenienti da imballaggi alimentari, da materiali per la pesca e da altre fonti. Nel tempo, però, dimensioni e quantità sono diminuite in tutti e due i siti: un segnale positivo, che secondo gli autori potrebbe essere un segno del successo, almeno in parte, di misure introdotte per evitare la dispersione di detriti di plastica nell’Oceano Antartico, soprattutto a partire dagli anni Duemila.
Nel secondo studio sono stati monitorati alcuni uccelli marini, come gli albatros e le procellarie. In questo caso il risultato è stato negativo, perché si è visto che il loro stomaco contiene molta più plastica rispetto ad anni fa, e che anche la composizione è cambiata. Oggi negli uccelli più grandi si trovano soprattutto involucri di alimenti consumati in Sud America in concentrazioni e numero di residui per individuo variabile da 6 a 14 volte rispetto a quella di venti anni fa. Gli uccelli di piccola taglia ingoiano più tappi di bottiglie e altri rifiuti di dimensioni inferiori originati nel Sud Est asiatico. La provenienza è quasi sempre chiara: si tratta di rifiuti alimentari scaricati in mare dalle città o dagli agglomerati urbani situati in prossimità delle coste, e anche dalle navi da pesca e da crociera. Gli uccelli sono considerati bioindicatori dell’inquinamento da plastica, e dimostrano che l’attenzione verso ciò che si scarica in mare è peggiorata, soprattutto per quanto riguarda gli alimenti.
La speranza è che le plastiche biodegradabili rimpiazzino sempre di più quelle tradizionali, e che il riciclo continui a fare passi in avanti in tutto il mondo.
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Giornalista scientifica
Buongiorno. A proposito di plastica, mi sposto di lato sulla questione dello smaltimento delle mascherine chirurgiche. Non so se volete considerarlo un commento qui, o un suggerimento se volete da trattare a parte.
Mi sbaglio o le mascherine dicono che dovremmo smaltirle come rifiuti sanitari? Intendo quelle di noi persone comuni, ovvio che quelle di medici infermieri ecc. per forza.
Mi parrebbe una cosa molto complessa. Grazie. Saluti
Salve, aggiungo inoltre che oltre al materiale sanitario da smaltire ( e speriamo che venga fatto nei modi corretti) , a seguito del Covid sono aumentate in maniera abnorme le confezioni di plastica di tutti i tipi per proteggere gli alimenti, anche un singolo limone è confezionato in busta, spesso doppia di plastica.
Davvero serve capire se è davvero necessaria tutta questa ulteriore plastica…
Saluti
Son d’ accordo…questo Covid avrebbe dovuto far sì che ci fossero meno rifiuti in giro e quindi nel mondo invece per le strade tra guanti e mascherine la plastica abbonda più di prima