Sugli scaffali del supermercato, reparto snack e patatine, da qualche tempo hanno cominciato a spuntare chips insolite: patate dolci, carote, barbabietole, pastinache e, cercando bene, si riescono a trovare anche le alghe. Ma chi avrebbe mai pensato che un giorno sarebbero arrivate anche le chips di pelle di salmone fritta? Come riferisce Wired Italia, l’idea arriva dagli Stati Uniti, dove due imprenditori, già attivi nel settore degli alimenti “alternativi”, hanno fondato l’azienda Goodfish per metterla in pratica.
Le chips sono realizzate con pelle di salmone Sockeye selvaggio pescato in Alaska utilizzando metodi sostenibili e proveniente da stock gestiti in maniera responsabile e tracciabile, recuperando così uno scarto della lavorazione destinato ad essere sprecato. La pelle viene quindi essiccata, condita con vari ingredienti certificati biologici (come lime, zenzero o mirtilli rossi), fritta e confezionata in buste monoporzione.
Ogni sacchetto contiene appena 15 grammi di chips, di cui quasi la metà di proteine (7 grammi), e apporta 90 kcal e 800 mg di omega 3, il triplo dell’assunzione giornaliera adeguata raccomandata per un adulto. I carboidrati, invece, sono totalmente assenti e infatti l’azienda ci tiene a far sapere che sono adatte a chi segue una dieta paleo o chetogenica.
Veniamo alla nota dolente: il prezzo. Negli Stati Uniti sono presenti in 35 punti vendita a 2,99 dollari al sacchetto da 15 grammi. Oppure si può acquistare online il pacco da otto buste per 25 dollari, spedizione inclusa. Facendo due calcoli si scopre che le chips di pelle di salmone costano ben 200 dollari/kg (pari a circa 180 €/kg). Quasi 20 volte il prezzo al chilo della patatine fritte classiche, che si piazzano intorno ai 10-12 euro/kg. Non c’è che dire, saranno anche buone e sostenibili, ma sono decisamente care…
Fonte immagini: Goodfish
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Giornalista professionista, redattrice de Il Fatto Alimentare. Biologa, con un master in Alimentazione e dietetica applicata. Scrive principalmente di alimentazione, etichette, sostenibilità e sicurezza alimentare. Gestisce i richiami alimentari e il ‘servizio alert’.
Al di là del prezzo, di per sé notevole, non viene però sottolineato che se ci sono 7 g di proteine, ci saranno anche alcuni grammi di grassi. Infatti, il valore nutrizionale complessivo per 100 g è di circa 540 kcal, se facciamo un momento il conto. Non direi che è un alimento del tutto adatto per una dieta a ridotto apporto calorico, se di queste chips ne volessimo consumare più di un sacchetto al giorno.
Non contiamo poi la quantità di sale contenuta, probabilmente consistente, e il fatto che con la frittura potrebbe esserci accumulata nel prodotto dell’acrilamide sui cui effetti potenzialmente dannosi non abbiamo ancora valutazioni certe e che si sommerebbe a quella di altri prodotti fritti.
Un alimento curioso, ma che i consumatori dovrebbero focalizzare bene in tutti i sensi.
beh, la pelle di pesce non mi piace proprio, quindi…. PASSO!
Condivido sia le perplessità di Valerio che i gusti di jogger, nonché ovviamente l’insopportabilità del prezzo, però l’idea in se e per se non la boccerei: forse se al posto del salmone si prendesse in considerazione l’aringa, egualmente ricca di omega 3, potrebbe venirne fuori un prodotto abbordabile.
Un terzo del mondo non ha abbastanza alimenti da superare la soglia minima della sopravvivenza, e i restanti due terzi si danno da fare per sprecare quante più risorse possibile in modi sempre più ingegnosi.
Da una parte i modaioli che vogliono cancellare anche solo l’idea dei prodotti di orgine animale, dall’altra modaioli quasi peggiori disposti a pagare a prezzi di tartufo gli scarti di lavorazione del pesce.
Viene fatto di domandarsi se veramente ci meritiamo di essere la specie dominante del pianeta, e quanto ancora ci vorrà perché le blatte rivendichino la primogenitura.