Il tè cinese contiene troppi residui chimici. È questa la sintesi di un recente studio intitolato “Pesticidi: ingredienti nascosti in cinese del tè”, condotto da Greenpeace analizzando la presenza di sostanze chimiche in foglie di tè acquistato direttamente in loco.
La Cina, oltre a essere tra i Paesi che consumano maggiormente tè, è anche il maggiore produttore mondiale con oltre otto milioni di coltivatori.
Nel periodo compreso tra il mese dicembre 2011 e gennaio 2012, Greenpeace ha prelevato 18 campioni di tè di nove aziende molto note sul mercato cinese, di differenti varietà (verde, oolong, al gelsomino) e inviato i prodotti in laboratorio perché fossero esaminati.
I risultati hanno mostrato che la totalità dei campioni conteneva in qualche misura pesticidi (ne sono stati rilevati ben 29 tipologie differenti). Il problema è che nel 60% dei casi si trattava di pesticidi vietati. Se si considera la normativa europea la percentuale di tè irregolare supera il 70%.
Il rapporto di Greenpeace, oltre ad accusare le aziende produttrici, evidenza la mancanza di responsabilità da parte delle stesse aziende che coltivando in questo modo danneggiano l’ambiente. C’è poi un problema di immagine, visto che il problema dei pesticidi sta minaccia seriamente la reputazione dei produttori di tè cinesi e quindi le esportazioni.
Greenpeace invita i coltivatori a ridurre l’impiego di pesticidi e le autorità a rispettare le esigenze dei consumatori per quanto riguarda la sicurezza alimentare.
Luca Foltran
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