I sostituti vegetali della carne stanno conoscendo un vero e proprio boom, soprattutto in alcuni paesi. Per restare all’esempio più noto, Impossible burger ha già fatto guadagnare all’azienda produttrice statunitense, Impossible Food, oltre 240 milioni di dollari dal momento del lancio, in maggio.
Il loro successo è dovuto al fatto che sempre più consumatori sono disposti a dare meno spazio alla carne, consapevoli dell’impatto degli allevamenti sul pianeta, e cercano quindi succedanei altrettanto saporiti e gustosi.
Forse però non c’è sufficiente consapevolezza su cosa realmente contengano i sostituti vegetali. Molti consumatori li associano a generici benefici per la salute, anche se gli studi e le informazioni, da questo punto di vista, sono molto meno dettagliati e incisivi rispetto a quelli relativi agli effetti ambientali. Un’indagine condotta dal George Institute for Global Health di Melbourne, in Australia, cerca di colmare almeno in parte le lacune Nel farlo illustra anche alcuni aspetti critici e indica possibili soluzioni.
I ricercatori hanno analizzato, dal 2010 al 2019, 560 prodotti, verificando la crescita esponenziale del settore: +153% in meno di dieci anni, con un vero e proprio picco nel 2019. Lo scopo dello studio era controllare la concentrazione di sale, e la variazione nel tempo. Da questo punto di vista i risultati sono stati tutt’altro che rassicuranti. Nel 2019 il quantitativo medio di sale risulta pari a circa 1 grammo ogni 100 di prodotto (ovvero 379 milligrammi di sodio), cioè un terzo del sale da consumare giornalmente.
La categoria peggiore è risultata essere quella del finto bacon o “facon” con 2 grammi di sale (pari a 818 mg di sodio) ogni 100 grammi, seguita da quella dei falafel e quella dei condimenti, entrambe con una media di con 1,3 grammi di sale (e 519 mg di sodio) ogni 100 g. È andata meglio con il tofu, la media è risultata è di 161 mg di sodio ogni 100 g.
In generale, comunque, solo il 68% di tutti i sostituti della carne di analizzati era al di sotto dei limiti massimi indicati in Gran Bretagna (l’Australia non ne ha di propri), e cioè tra 250 e 750 mg di sodio ogni 100 g di prodotto, a seconda dei casi.
Ma ciò che più sconcerta è l’andamento nel tempo: nessuna variazione positiva per tutto il periodo, né in generale né nelle diverse sottocategorie di prodotti. Anche in questo caso è evidente che l’autoregolamentazione delle aziende non ha funzionato, nonostante in questi anni siano state lanciate molte campagne pubbliche anche in Gran Bretagna e in Australia per la riduzione del consumo di sale, e siano stati presi impegni da parte di molti produttori.
Gli autori invitano i consumatori a prestare attenzione a ciò che comprano, a leggere sempre le etichette e, se possibile, farlo attraverso il sistema FoodSwitch, che con una app consente di visualizzare immediatamente la composizione. Sarebbe poi meglio preferire vegetali freschi e non lavorati (orientandosi per esempio sui legumi per le proteine e le vitamine) e tofu. La cosa migliore è scegliere quelli che hanno al massimo 120 mg di sodio ogni 100 g. La ricerca invita la comunità scientifica e le autorità sanitarie ad approfondire lo studio delle altre classi di ingredienti presenti, tra i quali spiccano gli zuccheri e i grassi, non di rado in eccesso, e gli additivi.
Nella maggior parte dei casi queste “carni” (che decine di stati Usa hanno vietato di chiamare così) sono a base di farine vegetali (piselli, soia e altre) per lo più provenienti da piante Ogm, e sono quasi del tutto insapori. Per riuscire a rendere appetitosi questi prodotti, le aziende aggiungono: aromatizzanti, grasso (soprattutto di cocco e di palma), zucchero e sale. Nel caso dei prodotti di Impossible Food, anche di leghemoglobina, prodotta inserendo il Dna delle piante di soia in un lievito geneticamente modificato, poi fatto fermentare.
Anche se le ricette dei burger vegetali si possono sempre migliorare, facendo un confronto fra il contenuto medio di sodio nella carne e nei sostituti, quelli vegetali ne contengono comunque meno. Pur rappresentando un indubbio passo in avanti rispetto alla carne da allevamento, è bene sapere che cosa contengono i nuovi prodotti e incentivare le aziende a migliorare la composizione.
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Giornalista scientifica