Gli interferenti endocrini sono sostanze capaci di avere effetti sul metabolismo ormonale e negli equilibri degli ormoni sessuali con conseguenze dannose sul sistema riproduttivo. Se ne è parlato a Roma il 25 ottobre all’Università La Sapienza Sapienza, in occasione del convegno “Ambiente è salute”, dove sono stati presentati ufficialmente i risultati dello studio Previeni.
Lo studio è stato realizzato in alcune aree pilota e ha valutato i riflessi ambientali e sanitari dei contaminanti chimici classificati come interferenti endocrini (IE), sempre più diffusi nell’ambiente. Il progetto ha una durata triennale ed è stato finanziato dal Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare. L’attenzione dei ricercatori si è concentrata sui livelli di esposizione di questi composti in aree rappresentative di diverse realtà: un territorio prevalentemente agricolo come nel basso Lazio, una grande città come Roma e un centro urbano più piccolo come Ferrara.
Lo studio Previeni ha evidenziato a Roma la più elevata concentrazione di bisfenolo A (Bpa), sia nella popolazione femminile che in quella maschile. Al contrario, i residenti nel basso Lazio presentano una concentrazione di acido perfluoroctanoico (Pfoa) superiore rispetto alle altre due aree. Nel liquido seminale la sostanza maggiormente presente è lo Pfoa, con picchi maggiori negli uomini residenti nel basso Lazio. La più alta concentrazione di ftalati (Mehp e Dehp) si osserva a Roma per quanto riguarda la popolazione femminile, e a Ferrara per gli uomini.
La questione è molto delicata per gli effetti sul sistema riproduttivo. Le molecole in grado di influenzare il sistema endocrino possono agire in tanti modi e riuscire a mimare, bloccare o scatenare una risposta cellulare, interferendo con la funzione di numerosi recettori ormonali.
Questo meccanismo è in grado di favorire una risposta errata dell’organismo in termini di quantità, qualità e tempistica. Per esempio, durante la gravidanza l’attività ormonale programma lo sviluppo di organi e tessuti del feto che, però, non è ancora dotato di un adeguato meccanismo di detossificazione dei composti che possono essere trasmessi dalla madre attraverso la placenta. Un’eventuale interferenza endocrina può provocare uno sviluppo inadeguato, e causare un’alterazione che si manifesterà più avanti nel corso della vita del nascituro sul sistema riproduttivo, neuroendocrino e immunitario.
L’attenzione crescente della comunità scientifica internazionale sugli interferenti endocrini ha prodotto anche studi su modelli animali, per cercare di comprendere i meccanismi molecolari collegati a patologie del metabolismo, come diabete e obesità.
Questo nuovo campo di ricerca si chiama Developmental Origins of Health and disease (Dohad) ed è stato ampiamente dibattuto in occasione del workshop internazionale “The Obese Species”, dal 23-26 ottobre 2011 all’Ettore Majorana Foundation and International Centre for Scientific Culture di Erice.
In particolare Jerry Heindel (US) con il suo intervento “Developmental basis of disease: Obesogen hypothesis” ha illustrato perché le molecole elencate sopra sono definite obesogene. Il Frederick Vom Saal (US) con l’intervento “Bisphenol A, obesity and metabolic syndrome” ha portato altre evidenze sperimentali e dati di studi condotti sull’uomo in cui si è confermato che l’esposizione agli IE durante lo sviluppo può influenzare l’incremento ponderale durante l’età pediatrica.
Gianna Ferretti
foto: Photos.com
Per saperne di più
Articoli: Istituto Superiore di Sanità. Nature. Efsa
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