La protesta dei pastori sardi: il prezzo del latte è sceso del 30% ma c’è chi guadagna lo stesso. Ecco la vera storia del pecorino sardo Dop
La protesta dei pastori sardi: il prezzo del latte è sceso del 30% ma c’è chi guadagna lo stesso. Ecco la vera storia del pecorino sardo Dop
Roberto La Pira 12 Febbraio 2019AGGIORNAMENTO DEL 14 MARZO 2019
Lo scorso 8 marzo è stato raggiunto, in prefettura a Sassari, un accordo tra i pastori e i trasformatori del latte di pecora. A partire dal mese di marzo, il latte sarà pagato 74 centesimi al litro, una via di mezzo tra la richiesta dei pastori (77) e quella dei caseifici (72). L’accordo prevede anche l’impegno di un conguaglio a novembre in base al prezzo di mercato del Pecorino Romano Dop.
AGGIORNAMENTO DEL 13 FEBBRAIO 2019
COOP si schiera a fianco dei pastori sardi e decide di riconoscere un valore all’acquisto del pecorino sardo, in grado di assicurare agli allevatori il prezzo di 1 euro al litro. Si tratta di un gesto importante.
Basta fare un rapido sondaggio tra amici e parenti per scoprire che tutti sono schierati con i pastori sardi, alle prese con manifestazioni in cui denunciano la riduzione del prezzo del latte di pecora, pagato 60 centesimi al litro. Si tratta del 30% in meno rispetto a sei mesi fa, quando il listino segnava 85 centesimi. È giusto indignarsi, anche perché quando andiamo al supermercato a comprare il Pecorino Romano Dop oppure il Pecorino Sardo Dop o il Fior Fiore Sardo, i prezzi oscillano da 14 ai 16 €/kg e i listini non sono certo scesi. La questione purtroppo è complicata e anche la soluzione è tutt’altro che semplice. Per capire come stanno le cose, bisogna fare un passo indietro e vedere cosa succede nelle 35 cooperative che gestiscono i caseifici e nelle aziende private dove il latte di pecora viene trasformato in formaggio Dop.
Per fare un chilo di pecorino servono sei litri di latte di pecora, che nei momenti migliori veniva pagato ai pastori anche 1 €/l. L’anno scorso però il prezzo è sceso a 85 centesimi e adesso si è arrivati a 60, facendo scattare la protesta in tutta l’isola. Se nell’estate scorsa la materia prima per un chilo di formaggio Dop veniva a costare 5 €, adesso siamo scesi a 3,6. A questo importo bisogna aggiungere 1 €/kg per le spese di lavorazione e stagionatura. Alla fine il formaggio che veniva acquistato a 6 €/kg oggi costa 4,6. Un disastro per i pastori e per l’economia dell’isola dove, è bene ricordarlo, si producono 500 mila quintali l’anno di formaggio pecorino (anche non Dop) e ci sono 15 mila aziende agricole che allevano circa tre milioni di pecore.
La crisi ha preso il via l’anno scorso, a causa di una sovrapproduzione di latte del 30% circa, che ha portato a un incremento notevole della quantità di formaggio Pecorino Dop. Questo eccesso si è scontrato con un calo delle esportazioni negli Usa, che assorbono una grossa fetta della produzione. In questa situazione gli americani hanno giocato al ribasso con offerte di acquisto a prezzi stracciati e ci sono produttori che per motivi di cassa hanno accettato di vendere il formaggio sottocosto, incrementando così la spirale verso il basso del prezzo e la discesa dei listini del latte di pecora. La sovrapproduzione di pecorino è un motivo della crisi causato dai caseifici, che hanno preferito inondare il mercato di formaggio e pagare multe irrisorie pari a 0,016 centesimi al chilo.
Alla fine il mercato è crollato per eccesso di offerta. In questi casi si cerca di redistribuire la riduzione dei prezzi all’interno della filiera (confezionatori, distributori, catene di supermercati…), salvaguardando il sistema in attesa di tempi migliori. Per il pecorino sardo il sistema è però saltato, e gli unici ad essere penalizzati sono stati i pastori che hanno visto ribassare il prezzo del latte a livelli insostenibili. Forse il carico dovrebbe pesare anche sulla filiera dove ci sono più margini di manovra. Stiamo parlando infatti di 9-10 €/kg, ovvero della differenza a tra il prezzo pagato al caseificio e quello di vendita nei supermercati.
Ma adesso cosa si può fare per superare la crisi? A brevissmo termine il ministero delle Politiche agricole deve intervenire rilevando almeno 30-40 mila quintali di formaggio da destinare a collettività di indigenti e onlus, con una spesa di 30-40 milioni di euro. L’altra cosa da fare è ristabilire le quote di produzione dell’anno scorso, fissando una penalità di 1 € per ogni chilo di formaggio prodotto in eccedenza, per scoraggiare i caseifici troppo furbi. Un’altra operazione necessaria consiste nel rivalutare il ruolo del Pecorino Dop attraverso una promozione del prodotto basata sulla valorizzazione di tutti i formaggi Dop della Sardegna. Diventa fondamentale quindi stipulare un accordo fra i pastori e i caseifici (privati o di cooperative) che lo trasformano in pecorino sul prezzo minimo del latte. Occorre soprattutto creare una struttura unica tra le 35 cooperative dei caseifici in grado di fissare un prezzo al chilo minimo per il Pecorino Romano Dop, il Pecorino Sardo Dop e il Fior Fiore Sardo Dop di circa 7 €/kg, al di sotto del quale nessuno può vendere. Solo così si può garantire i pastori e salvaguardare l’economia dell’isola.
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[sostieni]
Giornalista professionista, direttore de Il Fatto Alimentare. Laureato in Scienze delle preparazioni alimentari ha diretto il mensile Altroconsumo e maturato una lunga esperienza come free lance con diverse testate (Corriere della sera, la Stampa, Espresso, Panorama, Focus…). Ha collaborato con il programma Mi manda Lubrano di Rai 3 e Consumi & consumi di RaiNews 24
Articolo molto interessante e chiaro, che spiega dinamiche che a molti sono sconosciute.
Io produco, non nell’alimentare, ed alla fine dei giochi la storia è sempre quella… si tira il collo al produttore, ma poi il consumatore (o utente finale) continua a pagare un prezzo più caro.
E la prevaricazione del più forte continua, in barba a norme e direttive (sui pagamenti), ma purtroppo non c’è una tutela reale.
Dìvide et ìmpera=dividi e domina il mercato fino a distruggerlo.
C’è un’unica soluzione a questi come ad altri soprusi commerciali e contrattuali ed è l’unione che fa la forza contrattuale.
Cosa e chi impedisce ai pastori sardi, tutti, di unirsi in confederazione unitaria di allevatori?
Forse la politica che riesce a dividere anche i pastori sardi, o qualche infiltrato dei vari caseifici in libera e strategica associazione, per lucrare meglio con la grande distribuzione?
Forse perché i vari caseifici pretendono di fare pecorino sardo con latte importato a basso prezzo?
Non lo sapremo mai, ma ci restano i legittimi dubbi, stante questa situazione paradossale, dove non viene riconosciuto il giusto compenso agli allevatori per un prodotto tipico, il cui prezzo finale non è scritto da nessuna parte, ma liberamente fissato tra le componenti della filiera produttiva e commerciale.
Complimenti!! articolo equilibrato che chiarisce le idee a noi consumatori, per aumentare la ns consapevolezza
Articolo incompleto perché non fa menzione del Consorzio Pecorino romano dop che gestisce il 90% del latte sardo
UNA SOLUZIONE SAREBBE QUELLA DI ALLEVARE CAPRE O ASINE IL CUI LATTE è MOLTO PREGIATO.
O ALMENO DIVERSIFICARE
1)corretta l’analisi del lettore sulla mancanza di una organizzazione unitaria di allevatori sardi, ma vanno scontate caratteristiche culturali ataviche che non la rendono sempre praticabile
2)Diversificare le produzioni lattiero-casearie ovine sarde(con marchio territoriale pubblico, DA ORA…come qualità-Sudtirolo e simili)…ma con capacità di marketing, anche a ricaduta territoriale che non possono essere improvvisate
3)FIORE SARDO DOP è più che sufficiente…FIOR fiore sardo dop sa piú di linea di prodotti…no?
…e aggiungerei che puntare sul pecorino romano dop, notoriamente poco in linea con le attuali esigenze nutrizionali (sale) ,in specie sul mercato usa e anglosassone , non sia stata la più felice delle scelte…
Il mercato alimentare come ogni altro è dominato dall’offerta e dalla domanda, ma occorre chiedersi se un Consorzio DOP possa creare un cartello e stabilire un prezzo per tutti pur rispettando le norme antitrust. Infatti, i caseifici dei formaggio DOP sono aziende diverse e concorrenti tra loro anche se vendono con lo stesso nome e marchio i loro prodotti. Questa è una vecchia questione che ha già coinvolto i Consorzi italiani e che è parzialmente superata da vari accorgimenti che però non ledano le norme anti trust. Evidentemente il Consorzio del Pecorino sardo DOP non ha ancora preso in considerazione un metodo per regolamentare la produzione. Dalla Sardegna arrivano sul mercato altri pecorini fatti con latte non sardo, legittimi e similari, di qualità probabilmente inferiore ai DOP, ma a prezzi più bassi. Credo che il problema degli allevatori sia da risolvere all’interno del Consorzio, lo stato può fare ben poco. Regolamentazione possibile e marketing efficace possono risolvere il problema, altri in Italia lo fanno già da anni.
Ecco la riposta del Consorzio del Pecorino Romano alla questione del formaggio fatto con latte non locale.
Innanzitutto precisiamo che il crollo del latte ovino in Sardegna è dipeso dalla sovra produzione di PECORINO ROMANO ( CHE PER IL 98% VIENE PRODOTTO IN SARDEGNA) e NON di PECORINO SARDO.
In secondo luogo facciamo presente che come per tutti i formaggi DOP anche la filiera del Pecorino Sardo – a partire dalla materia prima latte che deve essere rigorosamente ovino e sardo – è controllata e certificata da un Ente terzo e indipendente incaricato dal Ministero delle politiche agricole alimentari, forestali e del turismo. L’Ente di certificazione della DOP è l’IFCQ Certificazioni SRL di San Daniele del Friuli che non ha interessi né commistioni in Sardegna e che può essere direttamente contattato con le evidenze documentali circa la provenienza non sarda del latte destinato alla DOP perché agisca a norma di legge…Gli strumenti di tutela a salvaguardia della filiera sarda ci sono…bisogna solo usarli…
Scusi, ma il problema del mercato, quantità, concorrenza, non ha niente a che fare con il lavoro dell’ente di controllo, che deve far rispettare il disciplinare non le quantità. Il disciplinare del pecorino Romano DOP prevede che sia prodotto anche in Sardegna, quindi il problema delle quantità di latte che fa produrre più formaggio e abbassa il prezzo, rimane, sia che sia pecorino sardo o romano DOP. Chi deve agire per regolamentare la quantità prodotta? C’è una specie di “guerra” tra i due Consorzi? Per calmierare il prezzo in Francia si è pensato di mettere un limite alle promozioni (anche vostro articolo) questo potrebbe fare il governo, ma occorre comprendere che se si vuole mantenere il prezzo del latte occorre o produrne meno, o rifiutarsi di sottostare alle regole del consorzio, o vendere il pecorino più caro. La Coop ha annunciato che pagherà un prezzo che consente ai produttori di pecorino sardo DOP a marchio Coop di pagare il latte 1 € al litro; quindi è possibile, cioè i produttori ci stanno dentro perché il cliente paga di più. Mi pare un cane che si morde la coda.
Non sapevo che il pecorino romano è sardo! Chi mi può spiegare il perché ? Grazie mille
Il 90% del Pecorino Sardo Dop è prodotto in Sardegna il resto nel Lazio e in Toscana
Si sta facendo confusione tra pecorino romano dop è pecorino sardo dop, sono due prodotti diversi.
La produzione del romano è stata introdotta in Sardegna alla fine del 1800 proprio da produttori caseari provenienti dal Lazio, Toscana ,Campania e altri,
Era un prodotto di tipo industriale che veniva, e tuttora viene esportato fuori dalla Sardegna
Il pecorino sardo è una tipologia tradizionale e specifica della Sardegna.
La denominazione dop dei vari prodotti è un fatto recente.
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Il problema alla base da affrontare è la sovrapproduzione di latte di pecora. La soluzione – non più rinviabile – è ridurre e valorizzare la produzione per diminuire l’offerta e far salire il prezzo. Il vino, attraverso l’esperienza di molti consorzi di tutela, insegna…
Come consumatrice cercherò di comprare più spesso il pecorino, non saprei come altro fare per aiutare i pastori, buona giornata.
Il vero problema è la sovrapproduzione di latte ovino, problema che solo i pastori possono risolvere, essendo loro a produrlo. Le crisi sono “cicliche” perchè quando il prezzo del latte è buono intensificano la produzione e la sovrapproduzione finisce tutta in Pecorino Romano per 2 ragioni: 1) perchè è conservabile nel tempo 2) perchè le cooperative producono principalmente questo formaggio (e non possono certo rifiutare il conferimento del latte dei soci). La soluzione è in mano ai pastori: accontentarsi di un prezzo decente e mantenerlo stabile non forzando la produzione. Potrebbero anche destagionalizzare la produzione per avere disponibile latte anche in estate, quando lo si vende bene perchè il turismo assorbe facilmente formaggi freschi e ricotta. Solo che non lo faranno mai perchè sono incapaci di organizzarsi tra loro.
CaroMarco C. , probabilmente vorresti sapere perché il Pecorino “Romano” si può tranquillamente fare in Sardegna in barba alla filosofia di base della normativa sulle denominazioni di “origine”.
La risposta tecnica che in più occasioni in passato fu data dal Ministero dell’Agricoltura (responsabile della cosa) è che tra Lazio e Sardegna c’è una sorta di contiguità territoriale, perchè le separa solo il mare e una volta (quando certamente non si faceva Pecorino Romano) le 2 aree geografiche erano unite. La ragione vera è che all’epoca in cui questa denominazione d’origine andava approvata alla presidenza della repubblica c’era un grande sardo. D’altronde che vuoi che sia: la bresaola della Valtellina si fa con lo zebù!
Così caseifici e pastori sardi, tenendo bassi i prezzi, hanno fatto pian piano scomparire l’industria casearia ovina e i relativi pastori nel Lazio e in Toscana. Finita la battaglia contro la concorrenza continentale oggi se la fanno tra di loro e ne pagano le conseguenze: chi la fa …. l’aspetti.
Marina, mi suona strano questa storia dello zebu’, come strano il fatto che le 2 aree geografiche erano unite.
Senza andare a scomodare la storia geologica della Sardegna e del Lazio, e nemmeno quella dell’ Antica Roma, “visto che già a quei tempi i Romani producevano il loro buon Romano anche in Sardegna “. I pastori Laziali e Toscani hanno, nel tempo, cambiato mestiere per i fatti loro e gli industriali caseari si erano trasferiti in Sardegna senza ingaggiare nessuna battaglia.
La denominazione d’origine torna utile a tutti, produttori e consumatori, a meno ché ,tu non mi spieghi il segreto dello Zebu’.
Sicuramente il mio sarà un commento oggetto di critica ma la sola cosa a cui riesco a pensare è che qui si parla sempre e solo di sterile economia,e non di milioni di esseri viventi trasformati in macchine da produzione,privati di ogni minima dignità e diritto alla vita,madri a cui viene strappato il cucciolo appena nato… Gettare al vento migliaia di litri di latte potrà non sembrare un gesto così epocale in un era di sperpero e consumismo selvaggio come la nostra ma io ci vedo soltanto l’ennesima vergogna di appartenere alla specie umana!!
Ho sentito che ci sono caseifici che producono pecorino romano con latte proveniente dalla Romania ad un prezzo stracciato e che questo ha contribuito ad abbassare i prezzi. E’ vero o è una bufala?
Bufala
Ho letto qualcosa ma ho solo capito che ce qualcuno nella filiera che mangia di piu visto i prezzi del dop che arriva alle stelle e una vergogna che non si può assicurare almeno 1 euro al litro a chi produce la materia prima e ci deve vivere vergogna a chi guadagna troppo sui vari passaggi senza neanhe sporcarsi le mani.