Il gruppo di lavoro intergovernativo sui cambiamenti climatici IPPC segnala che c’è uno stretto legame tra i cambiamenti climatici e la sicurezza alimentare. Già oggi i livelli di produzione agricola sono a rischio e il potere nutritivo delle colture risulta diminuito in molte zone del mondo. A parlarne in modo approfondito la rivista Valori con un articolo a firma Andrea Calori che vi proponiamo.
C’è un aspetto del rapporto SR15 presentato dall’IPCC l’8 ottobre scorso in Corea del Sud che è stato trascurato più di altri dalle cronache giornalistiche. È il legame tra cambiamenti climatici e sicurezza alimentare.
Uno dei cinque capitoli del rapporto IPCC è infatti dedicato interamente al rapporto tra sviluppo sostenibile, lotta alla povertà e riduzione delle diseguaglianze sociali, per evidenziare chiaramente lo stretto legame che c’è tra qualità dell’ambiente e qualità dello sviluppo umano. In questo legame un ruolo fondamentale è assegnato ai sistemi alimentari: infatti, è la qualità della relazione tra cicli naturali e organizzazione umana che rende possibile la coltivazione, l’allevamento e la pesca e, quindi, un’economia e di una società in cui i bisogni e i diritti primari vengono soddisfatti.
Il rapporto dell’IPCC mostra con evidenza quanto i cambiamenti climatici stiano incidendo da anni sull’equilibrio dei cicli naturali di molte aree del mondo, al punto da mettere a rischio le economie di molti sistemi alimentari, con conseguenze non solo locali ma anche planetarie che sono già misurabili.
Tra l’altro, già la condizione generale di partenza del 2016, anno in cui dopo la Conferenza di Parigi sul clima venne chiesto all’IPCC di redigere il rapporto, non è esaltante: più di 800 milioni di persone, pari all’11% della popolazione mondiale, risultano denutrite, con percentuali più elevate di popolazione in Africa (20%), Asia meridionale (14,4%) e Caraibi (17,7%).
Nel 2017 la stessa FAO ha indicato un peggioramento delle condizioni di base che garantiscono la sicurezza alimentare in diverse aree del mondo e che hanno trend differenziati nelle diverse regioni, con strette correlazioni con i diversi impatti del cambiamento climatico a scala regionale.
Non si tratta solo di zone notoriamente critiche e nelle quali mancano da sempre le condizioni di base per sicurezza alimentare, come quella del Sahel, ma anche l’area mediterranea in cui si trovano varietà locali coltivate in specifiche condizioni climatiche (ad esempio l’olivo, il pomodoro e la vite) a cui sono connesse economie complesse e avanzate.
A fronte di queste condizioni di partenza, le stime degli effetti dei rischi legati al clima entro il 2050 partono da un aumento delle condizioni di povertà e insicurezza alimentare di base per centinaia di milioni di persone; cifra destinata a variare in modo sensibile a seconda che l’aumento della temperatura sia contenuto a 1,5 °C (che avrà comunque conseguenze pesanti sulla sicurezza alimentare) o se invece arriverà a 2 °C o più.
A livello mondiale, la variabilità del clima spiega oltre il 60% dei casi di diminuzione di rendimento di mais, riso, grano e soia, con variazioni di questa percentuale in base al tipo di coltura e alla scala.
Alcuni studi condotti in laboratorio hanno rilevato che l’aumento delle concentrazioni di CO2 nell’atmosfera aumenta alcune rese colturali, migliorando anche l’efficienza dell’uso di acqua. Tuttavia, le osservazioni sull’andamento dei raccolti effettivi su larga scala indicano che le riduzioni dovute ai cambiamenti climatici rimangono decisamente maggiori.
All’aumento della CO2, tra l’altro, alcuni micronutrienti come ferro e zinco vengono meno accumulati nelle piante e, di conseguenza, diventano meno disponibili per l’alimentazione umana e animale.
L’IPCC certifica un consenso crescente anche sugli effetti diretti dell’aumento dell’ozono troposferico sulle rese di grano, riso, mais e soia: solo per questo tipo di ozono, la diminuzione dei raccolti su scala mondiale viene valutata dal 3% al 16%.
Ci sono poi aree del mondo in cui le criticità esistenti nei sistemi alimentari si sommano con quelle degli effetti combinati dei cambiamenti climatici. È il caso, ad esempio, del bacino del Mekong nel Sud-Est asiatico in cui, oltre all’aumento della temperatura, stanno aumentando in misura più consistente che in altre zone del pianeta sia le precipitazioni, sia le inondazioni, sia il livello del mare; con la conseguente salinizzazione delle terre inondate o infiltrate dal mare.
Nel Sud-Est asiatico nel prossimo decennio ci si aspetta una diminuzione del 15% della produzione di riso. Questa regione è uno dei principali bacini di produzione a livello mondiale, e questo calo produttivo altererà in modo significativo il commercio internazionale ma, soprattutto, gli equilibri regionali. Il bacino del Mekong, infatti, è una vera bomba demografica con una dieta largamente dipendente dal riso e con un’organizzazione del sistema alimentare (organizzazione, logistica, stile di consumo) che difficilmente può essere riconvertita per compensare la perdita di disponibilità di riso locale.
Gli impatti dei cambiamenti climatici sulla produzione zootecnica sono molto meno studiati di quelli sull’agricoltura. È comunque chiaro che una diminuzione delle colture foraggere ha un’influenza diretta sulla qualità dei mangimi e, quindi, sulle diete animali e sulla diffusione di parassiti e malattie. Lo stesso dicasi per la riduzione della disponibilità di acqua per i fabbisogni di del bestiame.
Per quanto riguarda il foraggio si considerano anche i vantaggi dell’allungamento delle stagioni di raccolta alle latitudini più alte ma, al contempo, anche in Europa diverse ricerche hanno certificato la diminuzione della qualità del foraggio nei pascoli naturali dovute a cambiamenti delle precipitazioni.
Gli impatti dei cambiamenti climatici nei mari e negli oceani stanno aumentando i rischi per la pesca e l’acquacoltura sia a livello singolo (fisiologia, resistenza alle malattie, capacità riproduttiva, ecc.) sia in termini generali di habitat (migrazioni, estinzioni, rischio di specie invasive, ecc.). Questi cambiamenti sono dovuti all’aumento dell’acidità delle acque e alla diminuzione dei livelli di ossigeno.
Su scala mondiale si stima una diminuzione della cattura annuale di pesci di circa 1,5 milioni di tonnellate per la soglia di 1,5 °C di riscaldamento globale e una perdita di oltre 3 milioni di tonnellate per la soglia di 2 °C.
Le barriere coralline potrebbero diminuire del 70-90% a 1,5 °C fino ad arrivare alla quasi totale sparizione a 2 °C. Con danni difficili da calcolare data la complessità di questi ecosistemi, ma con effetti certamente devastanti sul piano sistemico in quanto le barriere coralline sono tra le maggiori riserve di biodiversità del pianeta.
Quanto detto sopra riguarda soprattutto gli effetti più evidenti del cambiamento climatico sulle produzioni agricole, l’allevamento e la pesca. A queste correlazioni di tipo diretto vanno però sommati anche gli effetti diretti che vanno al di là della produzione strettamente intesa e che incidono sulle altre componenti dei sistemi alimentari, primi tra tutti l’accesso al cibo e gli aspetti nutrizionali.
Infine vanno considerati anche gli effetti indiretti, cioè quelli più propriamente sistemici, che si generano, ad esempio, dall’interazione tra tutti gli elementi del sistema e che hanno numerose implicazioni sulle socioeconomie quali i valori delle materie prime e le relative speculazioni finanziarie, i prezzi della terra, le migrazioni, i cambiamenti politici e organizzativi delle economie del cibo, i riequilibri dei poteri.
Tutti fattori che incidono sulle condizioni materiali di accesso al cibo e che vanno considerati con massima attenzione sia nelle analisi, sia nelle risposte da dare, anche là dove questi effetti indiretti non sono facilmente quantificabili.
Ci sono poi aree del mondo in cui le criticità esistenti nei sistemi alimentari si sommano con quelle degli effetti combinati dei cambiamenti climatici. È il caso, ad esempio, del bacino del Mekong nel Sud-Est asiatico in cui, oltre all’aumento della temperatura, stanno aumentando in misura più consistente che in altre zone del pianeta sia le precipitazioni, sia le inondazioni, sia il livello del mare; con la conseguente salinizzazione delle terre inondate o infiltrate dal mare.
Nel Sud-Est asiatico nel prossimo decennio ci si aspetta una diminuzione del 15% della produzione di riso. Questa regione è uno dei principali bacini di produzione a livello mondiale, e questo calo produttivo altererà in modo significativo il commercio internazionale ma, soprattutto, gli equilibri regionali. Il bacino del Mekong, infatti, è una vera bomba demografica con una dieta largamente dipendente dal riso e con un’organizzazione del sistema alimentare (organizzazione, logistica, stile di consumo) che difficilmente può essere riconvertita per compensare la perdita di disponibilità di riso locale.
Gli impatti dei cambiamenti climatici sulla produzione zootecnica sono molto meno studiati di quelli sull’agricoltura. È comunque chiaro che una diminuzione delle colture foraggere ha un’influenza diretta sulla qualità dei mangimi e, quindi, sulle diete animali e sulla diffusione di parassiti e malattie. Lo stesso dicasi per la riduzione della disponibilità di acqua per i fabbisogni del bestiame.
Per quanto riguarda il foraggio si considerano anche i vantaggi dell’allungamento delle stagioni di raccolta alle latitudini più alte ma, al contempo, anche in Europa diverse ricerche hanno certificato la diminuzione della qualità del foraggio nei pascoli naturali dovute a cambiamenti delle precipitazioni.
Gli impatti dei cambiamenti climatici nei mari e negli oceani stanno aumentando i rischi per la pesca e l’acquacoltura sia a livello singolo (fisiologia, resistenza alle malattie, capacità riproduttiva, ecc.) sia in termini generali di habitat (migrazioni, estinzioni, rischio di specie invasive, ecc.). Questi cambiamenti sono dovuti all’aumento dell’acidità delle acque e alla diminuzione dei livelli di ossigeno.
Le barriere coralline potrebbero diminuire del 70-90% a 1,5 °C fino ad arrivare alla quasi totale sparizione a 2 °C. Con danni difficili da calcolare data la complessità di questi ecosistemi, ma con effetti certamente devastanti sul piano sistemico in quanto le barriere coralline sono tra le maggiori riserve di biodiversità del pianeta.
Quanto detto sopra riguarda soprattutto gli effetti più evidenti del cambiamento climatico sulle produzioni agricole, l’allevamento e la pesca. A queste correlazioni di tipo diretto vanno però sommati anche gli effetti diretti che vanno al di là della produzione strettamente intesa e che incidono sulle altre componenti dei sistemi alimentari, primi tra tutti l’accesso al cibo e gli aspetti nutrizionali.
Infine vanno considerati anche gli effetti indiretti, cioè quelli più propriamente sistemici, che si generano, ad esempio, dall’interazione tra tutti gli elementi del sistema e che hanno numerose implicazioni sulle socioeconomie quali i valori delle materie prime e le relative speculazioni finanziarie, i prezzi della terra, le migrazioni, i cambiamenti politici e organizzativi delle economie del cibo, i riequilibri dei poteri.
Tutti fattori che incidono sulle condizioni materiali di accesso al cibo e che vanno considerati con massima attenzione sia nelle analisi, sia nelle risposte da dare, anche là dove questi effetti indiretti non sono facilmente quantificabili.
Andrea Calori* – Valori
*L’autore è esperto di politiche di sviluppo locale partecipato e autosostenibile. Ha svolto per dieci anni attività di insegnamento presso il Politecnico di Milano e ha lavorato con enti locali, regioni, governi nazionali, OCSE, Commissione Europea, Consiglio d’Europa, FAO, UNDP. È stato presidente della rete internazionale URGENCI, la coalizione mondiale delle reti di agricoltura supportata dalle comunità. Tra le sue pubblicazioni si segnalano Coltivare la città (Altreconomia, Milano 2009) e Food and the Cities. Politiche del cibo per città sostenibili (Edizioni Ambiente, Milano 2015).
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