Lo spreco alimentare e l’emergenza collegata ai rifiuti di plastica negli oceani sono due problemi spinosi su cui è puntata l’attenzione mondiale, e anche Il Fatto Alimentare ha trattato il tema più volte. Quello che si tende a sottovalutare, però, è il legame nascosto tra le due questioni. A parlarne è un articolo di Valori, a firma di Rosy Battaglia, che riproponiamo volentieri.
Attenzione: è ufficialmente vietato scuotere la testa e indignarsi per i rifiuti che infestano i mari se contemporaneamente si spreca cibo con scelte miopi di acquisto e consumo. Tra i due fenomeni infatti c’è un legame ben preciso. Testimoniato da due numeri. Ogni cittadino europeo spreca 30 kg di cibo ogni anno e insieme a esso finiscono 173 kg di plastica nell’ambiente. Ben il 37% di tutto il cibo venduto nell’Ue è infatti avvolto in plastica. In assoluto il materiale di imballaggio più utilizzato, ma anche il più difficile da smaltire e con il maggior impatto ambientale. Tanto che la stessa Ue ha varato, lo scorso gennaio, la cosidetta “Plastic Strategy” per fare in modo che tutti gli imballaggi di plastica siano interamente riciclabili e progettati in tal modo, entro il 2030.
Eppure, per molto tempo si è pensato che gli imballaggi di plastica garantissero una migliore conservazione dei cibi e quindi agevolassero una diminuzione degli sprechi. Oggi sappiamo che non è così. Una certezza messa nero su bianco da Unwrapped, l’ultimo report di Friend of Earth Europe e Zero Waste Europe riuniti nell’alleanza Rethink Plastic. Gli imballi di plastica sono aumentati parallelamente allo spreco alimentare. La domanda totale di plastica in Europa supera i 49 milioni di tonnellate all’anno, di cui il 40% è utilizzato proprio per confezionare cibo.
Il risultato? Tra il 2004 e il 2014, i rifiuti alimentari domestici nell’UE sono raddoppiati a circa 30 milioni di tonnellate all’anno. E solo i rifiuti di imballaggio in plastica sono aumentati del 50% nello stesso periodo, raggiungendo oltre 15 milioni di tonnellate, evidenziano i ricercatori.
La situazione è chiaramente fuori controllo. Tanto più che, mediamente, meno del 30% dei rifiuti plastici viene raccolto per il riciclo. Ancora oggi va in discarica il 31% e a recupero energetico, cioè a incenerimento, il 39%. Una vera emergenza ambientale, considerato che le plastiche non si decompongono e la loro produzione, secondo Eurostat, è ormai costante e pure in aumento negli ultimi dieci anni. “L’industria dell’imballaggio e la Commissione europea non esercitano un vero processo decisionale quando si tratta di imballaggi alimentari. La loro metodologia spesso ignora gli impatti dei rifiuti di plastica. E, così, porta a conclusioni che favoriscono confezioni alimentari complesse impossibili da riutilizzare o riciclare. Il risultato è la promozione di imballaggi in plastica progettati per discariche e inceneritori” denuncia Ariadna Rodrigo, Sustainable Products Campaigner di Zero Waste Europe.
Il legame tra cibo sprecato, eccesso di packaging e abuso di plastiche è un elemento cruciale da tenere presente per tentare di cambiare le cose. Altrimenti rischia di rimanere fine a sé stesso lo sdegno suscitato dalle videotestimonianze che mostrano come l’inquinamento da macroplastiche stia soffocando mari e oceani in ogni continente. Come lo scioccante video realizzato dal subacqueo inglese Rich Horner, nei fondali al largo dell’isola indonesiana di Bali.
Ma il nostro Mediterraneo non è messo meglio. Secondo il CNR di Pozzuoli, ogni giorno riceve almeno 700 tonnellate di plastiche di diversa natura. 255.500 tonnellate in un anno. Sulla sua superficie fluttuano dalle 100 mila alle 400 mila particelle per km quadrato, pari all’1% della plastica finita nei mari di tutto il mondo. Nelle spiagge, comprese quelle della nostra penisola, si possono ritrovare fino a mille frammenti di plastica per metro quadro.
Ma oltre l’emergenza ambientale, ormai visibile ad occhio nudo, rimane sul tappeto la questione salute, spesso sottovalutata e ignorata. In realtà, come ribadiscono Friend of Earth Europe e Zero Waste Europe, “vi è una crescente evidenza che molti alimenti imballati in materiali monouso a contatto, inclusa la plastica, possano presentare problemi e rischi per la salute per i consumatori, a causa della migrazione di sostanze chimiche, come gli interferenti endocrini. C’è un bisogno pressante di maggiore comprensione degli impatti sulla salute di queste sostanze chimiche e lo sviluppo di politiche conseguenti”.
Sospetti confermati dallo scoop apparso su Le Monde lo scorso febbraio. In Francia già dall’aprile 2014 è stata istituita una strategia nazionale per affrontare le sfide scientifiche e normative relative agli interferenti endocrini. Quella di Parigi è una delle sole tre iniziative di questo tipo in Europa, con Svezia e Danimarca. Stando alle anticipazioni del quotidiano, nella relazione, consegnata alle autorità di sanità pubblica francesi a gennaio 2018, si legge che “si sospetta che una serie di condizioni di salute umana siano conseguenza dell’esposizione agli interferenti endocrini: diminuzione della qualità dello sperma, aumento della frequenza di sviluppo o funzione anormale degli organi la riproduzione, abbassando l’età della pubertà”. E il ruolo degli interferenti è anche sospettato nel caso di alcuni tumori ormono-dipendenti, così come nei casi di diabete di tipo 2, obesità o autismo”.
Sono quindi fondati i timori dei cittadini europei che, secondo Eurobarometer, temono l’invasione delle plastica nelle nostre vite: il 74% del campione dichiara di essere preoccupato per la propria salute e l’87% per l’impatto sull’ambiente. Cittadini che dimostrano di essere più avanti di governi e imprese: il 72% ha eliminato l’uso di sacchetti di plastica, il 65% separa la plastica nella raccolta differenziata e il 24% evita di comprare beni con troppi imballaggi.
Rosy Battaglia – Valori
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Per contribuire alla discussione, riporto un mio commento pertinente ad un articolo precedente de Il Fatto sullo stesso argomento:
Una mattina ci siamo svegliati ed abbiamo scoperto che per ogni cosa che facciamo ne distruggiamo almeno due del nostro ambiente!
Non ho le risposte per le soluzioni globali in balia delle super produzioni ed il consumismo spinto, che sembra l’unico motore per mantenere il PIL in costante crescita, pena recessioni e fallimenti.
Ma nel mio piccolo mondo sociale posso, ho fatto e continuo a fare scelte contro corrente, come alimenti e prodotti biologici ed ecologici a basso impatto, raccolta differenziata per favorire il riciclo degli scarti, alimenti locali poco conservati e trasportati, prodotti ed oggetti della nostra comunità per favorire un’economia circolare, pochi materiali plastici scelti tra quelli riciclabili e la preferenza per il legno, il vetro, la ceramica, ecc.. per favorire una lunga durata degli oggetti domestici, largo uso della bicicletta e dei mezzi pubblici condivisi soprattutto per i lunghi spostamenti ed un uso molto limitato dell’auto personale.
Scelte di vita condivise e difese che non risolvono il grande impatto sociale della comunità mondiale, ma che se proiettate idealmente ai 7 miliardi di persone con le quali condividiamo la Terra, potrebbero invertire la tendenza distruttiva in atto.
Complimenti Ezio.