Il sistema di allerta alimentare italiano dovrebbe essere una struttura efficiente, immediata e precisa, in grado di comunicare velocemente ai consumatori e alle aziende i pericoli rilevati nel corso di controlli e analisi. In realtà spesso l’efficienza e la rapidità lasciano a desiderare, come dimostra la vicenda che racconteremo, resa volutamente anonima, anche se nei nostri archivi c’è tutta la documentazione.
Il caso delle conserve in scatola
La storia inizia a fine ottobre quando un’Asl del Centro Italia nel corso di analisi di laboratorio trova in una conserva in scatola un allergene non dichiarato in etichetta. L’azienda produttrice si difende dicendo che l’allergene non si usa in tutto lo stabilimento. Inoltre il prodotto è in vendita da quasi un anno e in questo periodo non ci sono state segnalazioni da parte dei consumatori. In ogni caso la ditta procede con i controlli analitici sui propri lotti incriminati senza riscontrare tracce dell’allergene individuato dall’Asl.
Come forma di prevenzione l’azienda, in accordo con l’Asl blocca le scatolette rimaste nei magazzini, ma non procede al ritiro delle confezioni ancora presenti sugli scaffali dei supermercati. Si decide anche una revisione di analisi che viene fissata alla fine di gennaio 2014 (tre mesi dopo la contestazione).
Il colpo di scena arriva prima di Natale, quando il Ministero della Salute invia una segnalazione al Sistema di allerta rapido alimentare europeo (Rasff). La fine di questa storia è tragicomica. Le controanalisi condotte a fine gennaio confermano l’assenza di tracce dell’allergene e l’allerta viene chiusa.
I problemi del sistema di allerta
La vicenda merita alcune riflessioni. Come può un sistema di allerta rapido essere così poco tempestivo? Se il problema era serio perché il Ministero ha inviato la segnalazione al Sistema di allerta europeo dopo due mesi? Perché l’Italia non ha avviato una campagna di richiamo per avvisare i consumatori del pericolo? E come mai si aspettano tre mesi per le controanalisi?
Se l’azienda contesta i risultati perché non si effettua immediatamente la revisione di analisi verificando se esiste davvero il problema? Un’ultima domanda sorge spontanea: ci sono criteri e parametri analitici per condurre un’analisi del rischio tale da scegliere tra ritiro del prodotto o richiamo abbinato ad un avviso ai consumatori?
Sarebbe opportuno avere dal Ministero della Salute risposte a questi interrogativi, per evitare inutili allarmismi da un lato e per procedere con la massima urgenza quando esiste un pericolo serio per i consumatori.
Un altro episodio che desta preoccupazione sul funzionamento e l’efficienza del sistema di allerta nazionale si è verificato la mattina del 15 febbraio, quando il Ministero della Salute lancia un’allerta per un lotto di formaggio francese Roquefort di Carrefour contaminato da una tipo di Escherichia coli patogeno. La procedura urgente è attuata correttamente, ma ci sono due particolari che vanificano l’azione tempestiva: l’assenza della foto del prodotto e alcuni errori nell’indicazione del lotto e della scadenza. Il Rasff è un sistema serio da potenziare e affinare, ma in Italia esistono inefficienze che bisogna correggere al più presto.
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Giornalista professionista, direttore de Il Fatto Alimentare. Laureato in Scienze delle preparazioni alimentari ha diretto il mensile Altroconsumo e maturato una lunga esperienza come free lance con diverse testate (Corriere della sera, la Stampa, Espresso, Panorama, Focus…). Ha collaborato con il programma Mi manda Lubrano di Rai 3 e Consumi & consumi di RaiNews 24
Visti i tempi ed i modi di risposta istituzionale, sono forse parzialmente giustificate le resistenze e le inerzie dei produttori a scatenare la prassi distorta della segnalazione e ritiro del prodotto, quando il rischio per la salute è minore ed isolato?
Naturalmente ed in via di principio non lo sono, ma visto che per prime le istituzioni si dimostrano inadeguate, perché i produttori dovrebbero fare gli eroi?
Dal punto di vista del consumatore, non mi sento di assolvere nessuno, ma se esiste un nesso causale, le negligenze hanno pesi diversi, anche in queste situazioni.
E cosa sarebbe capitato all’Azienda produttrice, alla sua economia ( pubblicazione di marchio e foto del prodotto, sfiducia dei consumtori, calo vendite, eventuali riflessi occupazioneli..) se la stampa si fosse scatenata, come spesso avviene, su un fatto inesistente?
Ritiro, richiamo, sistema di allerta, sono cose serie e ben codificate . Tutti gli attori,ASL, Ministeri, NAS, compresi i mezzi di comunicazione e le (17)Associazioni consumeristiche associazioni, devono essere perfettamente consapevoli delle regole da rispettare, perché non solo la salute dei consumatori, ma anche gli Operatori seri che agiscono sul mercato vanno rispettati. E la magistratura se ne deve render conto, a monte e a valle: chi sbaglia , specie per omissione, deve render conto.
Da questa vicenda si evidenziano in particolare 2 problemi:
1-L’affidabilità di laboratori che eseguono solo raramente analisi delicate, e , pur in qualche modo accreditati, prendono cantonate che potrebbero avere serie conseguenze. Serve un laboratorio veramente specializzato di riferimento a livello nazionale o l’individuazione di laboratori ufficiali specializzati abituati ad eseguire e verificare determinati tipi di analisi, dove si possano inviare rapidamente i campioni e da cui avere risposte veloci ed affidabili. E gli altri che fanno tali errori e tanti guai, non pagano mai ?
2- Lo scollamento fra la legislazione nazionale ed i Regolamenti CE, in particolare la legge 283 ed il relativo articolo 5, una volta utile ad una legislazione a carattere prevalentemente fiscale e punitivo, ma ora slegato dai più moderni concetti preventivi della legislazione Europea: è ben oltre un decennio che se ne parla, ma nessuno fa nulla, in particolare il Ministero della Salute, e la magistratura ci sguazza. Serve un TESTO UNICO moderno, promesso da anni e mai realizzato.