Il 19 novembre 2013 il Ministero della salute insieme alla Nutrition Foundation of Italy (NFI) ha promosso un convegno su questo tema, dove ha parlato anche il procuratore di Torino, Raffaele Guariniello, ben noto alla cronache nazionali anche per le inchieste di carattere alimentare.
Il suo intervento ha destato una certa effervescenza in sala, quando è stato posto l’accento sull’obbligo del funzionario ASL di comunicare all’autorità giudiziaria il nome delle aziende che si comportano in modo virtuoso (ossia quando un’azienda di fronte a un problema, invece di tacere informa immediatamente l’ASL e si accorda per il ritiro e il richiamo del prodotto). L’invio dell’informativa all’autorità giudiziaria comporta il serio rischio di fare scattare una denuncia contro l’azienda. Si crea così il paradosso di un’impresa che comportandosi in modo corretto finisce per firmare la propria autodenuncia.
Abbiamo chiesto dall’inizio di ottobre al dottor Raffaele Guariniello un’intervista su questi temi. Siamo tornati alla carica per ben tre volte dopo il convegno di Roma, ma i due appuntamenti fissati sono saltati. Le domande focalizzavano l’attenzione sul funzionamento delle Procure in materia di reati alimentari, sul richiamo dei prodotti e sull’allerta. Ecco i quesiti che attendono una risposta. Sarebbe interessante ricevere delucidazioni anche dal Ministero della salute, coinvolto in prima linea su questo fronte, al quale abbiamo inviato le domande all’inizio di gennaio.
Le domande a Raffaele Guariniello
1. Poniamo il caso di un’azienda che si comporta in modo virtuoso e, sulla base del programma interno di HACCP, appena si accorge di un problema invece di tacere comunica immediatamente all’ASL l’allerta e procede al richiamo e al ritiro del prodotto, dando avviso ai consumatori. Secondo l’ordinamento penale vigente (legge 283/62 e Codice penale) anche solo detenere un prodotto pericoloso per la salute umana in un’azienda alimentare configura un’ipotesi di reato. Per questo motivo i pubblici ufficiali delle ASL e di altri enti, di fronte ad un problema alimentare di carattere sanitario, sono obbligati ad inviare una comunicazione all’autorità giudiziaria (Procura della Rep. competente), per non essere a loro volta incriminati di omessa denuncia (che prevede fino ad un anno di carcere). Questo vuol dire che spetta poi all’autorità giudiziaria valutare se perseguire l’azienda. Secondo lei questo percorso è ancora valido?
2. I dati provenienti da tutto il mondo dimostrano che, anche quando sono adottati accorgimenti molto accurati, a volte i prodotti risultano contenere corpi estranei, contaminati o con altri problemi. Per questo le aziende fanno controlli anche sui prodotti finiti, senza per questo poter garantire l’assoluta certezza ai consumatori. In tutte le aziende alimentari, anche se si seguono le procedure dell’HACCP, è abbastanza probabile, prima o poi, incappare in un problema. In USA, nel Regno Unito, In Francia e in altri paesi simili al nostro, i richiami dei prodotti sono molto frequenti. La priorità è informare rapidamente i consumatori in modo che possano eliminare i prodotti contaminati. Difficile credere che tutte queste aziende siano distratte o agiscano in malafede. In Italia questo non accade spesso, perché comunicare un ritiro o un richiamo espone l’azienda, anche la più seria, oltre al danno economico e di immagine, anche a un eventuale processo penale. Non sarebbe opportuno premiare, e non punire, le aziende che si attivano per proteggere i consumatori, sanzionando invece chi non lo fa?
3. C’è un altro aspetto poco chiaro che necessita di una risposta. Se fare un richiamo del prodotto e comunicarlo ai consumatori è un obbligo di legge, come può essere al contempo un reato?
4. Non ritiene necessario uno sforzo giuridico della magistratura sui dati e sulle conoscenze nel campo della sicurezza alimentare, visto che il quadro attuale risulta profondamente diverso rispetto a quello da cui ha avuto origine il nostro quadro legislativo (anni ’60)?
5. La sicurezza alimentare è una materia di estrema complessità. Percorsi formativi rilevanti, esperienza diretta delle industrie e aggiornamento continuo sono necessari per comprendere i rischi, le norme, le procedure, i macchinari, i processi. È credibile che magistrati abitualmente deputati ad altri settori possano analizzare e comprendere – aldilà di episodici risultati sanzionatori – i problemi nel settore alimentare e portare un miglioramento?
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Giornalista professionista, direttore de Il Fatto Alimentare. Laureato in Scienze delle preparazioni alimentari ha diretto il mensile Altroconsumo e maturato una lunga esperienza come free lance con diverse testate (Corriere della sera, la Stampa, Espresso, Panorama, Focus…). Ha collaborato con il programma Mi manda Lubrano di Rai 3 e Consumi & consumi di RaiNews 24
Ritengo sia arrivato il momento di fare una discussione seria anche sulla liceità dei metodi INQUISITORI sino ad oggi utilizzati dai nostri organismi di controllo, contabilizzando non solo le denunie ma anche i danni economici ,patrimoniali e di immagine che tali metodi causano.
Sul piano della sicurezza alimentare le aziende devono fare la loro parte senza se e senza ma, a condizione però di trovare un organismo di controllo capace e competente sul piano tecnico e pratico.
Cambiamo le regole di ingaggio, assumendo chi ha saputo collezionare responsabilità anziché incarichi a raffica.
Stefano Cogliati
Stefano Cogliati
Buonasera,
io credo che non sia del tutto sbagliato questo sistema, è giusto che chi denuncia un ritiro venga in ogni caso controllato. Poniamo il caso di una volontarietà fraudolenta nell’aggiunta di sostanze illecite, se il produttore pensa di essere scoperto potrebbe ritirare il prodotto e non essere incriminato.
Certamente chi giudica le aziende deve aver le competenze per poter discriminare i casi volontari da quelli che non lo sono.
però ritengo giusto che venga comunque aperta un indagine anche legale.
Chiaramente non è giusto che la denuncia venga fatta immediatamente senza nemmeno aver ancora i dati analitici sui prodotti, questo lo trovo sbagliato.
Inoltre esistono contaminazioni involontarie ma che sono frutto di una negligenza rispetto a punti fondamentali per aziende che producono alimenti (manutenzione, controlli analitici ecc)perchè è semplice non pagare le manutenzioni o le analisi aggiuntive e poi non prenderne le conseguenze.
questa è la mia modesta opinione, sentitevi liberi di dissentire.
Giovanni , Forse lei non si rende conto della complessità e dei costi di un’operazione di ritiro del prodotto.
Roberto non capisco cosa centri precisamente con quello che ho scritto. Se intende che aziende che addizzionano inlegalmente i loro prodotto perdono molti soldi nel ritirarli allora le posso dire che, secondo me è molto peggio essere chiusi o prendere salatissime multe che pagare un ritiro, non crede?
Chiusura dello stabilimento? Salatissime multe? Credo che questi provvedimenti siano sconosciuti alla stragrande maggioranza dei produttori che incappano in qualche problema. Spesso costa più l’avvocato della sanzione.
Lodevole iniziativa del Fatto Alimentare: attendiamo le risposte degli interpellati.
Da cittadino comune pongo un quesito complementare: quando leggamo notizie di ritiri di prodotti alimentari da parte degli organi di controllo, il nome dell’azienda colpita non e’ mai citata (o sbaglio? mi fate esempi contrari?).
Se cosi’ e’, abbiamo il paradosso di:
– aziende che si autodenunciano e che vengono percio’ perseguite (come denuncia il Fatto Alimentare), oltre al possibile danno di immagine
– aziende che vengono colte in fallo che non subiscono alcun danno di immagine perche’ non pubblicizzate; quindi per salvaguardare il profitto dell’azienda disonesta si passa sopra al popolo bove.
Grazie di un chiarimento
Andrea , diciamo che quanto lei dice è abbastanza vero.
Le ASL conoscono il nome delle ditte interessate indipendentemente dalla “gravità” del problema. I flussi delle informazioni sono stabiliti da specifiche norme Tecniche in cui è previsto si renda informato il cittadino solo in caso di “Pericolo per la salute del consumatore” per creare l’allerta solo quando serve (evitare effetto al lupo al lupo come direbbe una fiaba).
Poi io credo che il Dr. Guariniello sia la persona meno idicata per discutere di problemi legati alla sicurezza alimentare, ma che dovrebbe, come giudice, fare un’eventuale indagine solo dopo una motivata denuncia da parte degli organi di P.G.
Ritengo inoltre che sia ora di dare un pò di spazio ai giovani anche nella scelta dei relatori dei convegni che si svolgono, in ottica di apertura europea (EFSA, etc…).
Poi se serve un relatore che faccia qualche dichiarazione da “prima pagina….”….
Diciamo che la situazione è un po’ più complessa: non è vero che il nome dell’azienda non viene mai citato. Un caso per tutti, quello del pesto col botulino che poi si è addirittura scoperto essere conforme. Per carità, lì il ptenziale rischio era grave, ma il danno subito dall’azienda chi lo paga? Altre volte il nome non circola ma questo non significa non avere un danno di immagine perchè comunque l’impatto c’è, se non direttamente sul consumatore, sulla GDO che blocca gli acquisti ad esempio. Senza contare quando vengono attuate procedure di richiamo e ritiro pur mancando i presupposti di pericolo per la salute umana (e anche in questo caso i nomi erano circolati)…
Ad essere buoni possiamo dire che c’è molta confusione…
Il problema non è la mancanza di regolamentazione…ma la sua applicazione con diversi pesi e misure a seconda dei casi.
Un grande plauso al Dott. La Pira per questa iniziativa. Come legale delle aziende mi batto perchè esse lavorino in piena compliance con la normativa, ma il problema della sussistenza, di fatto, di un “obbligo di autodenuncia” a carico degli OSA è più che reale ed è fonte di molti problemi e incomprensioni.
E’ umano che certi operatori, per evitare centinaia di migliaia di euro di danni e, in sovrappiù, l’aprirsi di un procedimento penale a loro carico, non denuncino alcuni ritiri/richiami. Produrre alimenti non è un procedimento a rischio zero e la non conformità (ogni tanto) è inevitabile.
Un conto è che chi ha un problema venga controllato. Per questo esiste il RASFF, ed esistono le Autorità Sanitarie, che tramite di esso conoscono i nomi degli operatori che hanno un problema, ed è giusto che intervengano.
Un altro discorso è che un’azienda seria, ogni volta che riscontra un problema, debba sostanzialmente autodenunciarsi ed esporsi a sanzioni penali per aver adempiuto ad obblighi normativi. Ho sentito Procure molto rigorose parlare addirittura di un obbligo di segnalazione a carico dell’OSA anche in caso di riscontri problematici esclusivamente in autocontrollo, quando il prodotto è ancora nei magazzini degli OSA e non raggiungerà il consumatore….!
Il consumatore potrà anche linciarmi per queste affermazioni, ma la Costituzione pone un divieto di autoincriminazione che, nel caso di specie, e nel volere di molte Procure, è assolutamente calpestato.
Il nocciolo del problema per altro paragonabile anche “all’ambientale” deriva dalla nostra legislazione o diritto che ” non preveda la forma dell’autodenuncia”.
Nel Diritto anglosassone è previsto! Tra l’altro queste norme a tutela dei rischi sono nate in queste nazioni.
Non mi dilungo per non essere prolisso.
Grazie
Dario
Poca informazione ai consumatori, mancanza di conoscenze delle norme penali, applicazioni non corrette, possiamo riassumere in questo modo il problema in Italia sulla sicurezza alimentare.
In altre nazioni ad esempio negli Stati Uniti i ristoranti a New York hanno l’obbligo di esporre un cartello con il giudizio sull’igiene al consumatore.
Qui in Italia tranquillamente si possono pubblicare le intercettazioni telefoniche, ma è vietatissimo comunicare ai consumatori il nome di una ditta alimentare chiusa per gravi problemi sanitari.
Al personale ispettivo delle ASL è fatto DIVIETO comunicare i nomi, in caso contrario sanzioni disciplinari e licenziamento.!
Quando la complessità dei problemi è gestita da produttori incompetenti e da funzionari non all’altezza del compito, il risultato finale è la realtà di cui si discute.
La soluzione non esiste intervistando un magistrato, se non si parte dalle cause che producono i problemi.
Dividere gli eventi, in fatti occasionali imprevedibili, anche con tutte le azioni di prevenzione messe in opera dal produttore, è un’incidente da rimediare ma non sanzionare; omettere controlli sui rischi prevedibili o peggio volontariamente, per averne un vantaggio economico illecito e pericoloso per la salute, è un atto criminoso da perseguire in tutti i modi, fino al ritiro dell’autorizzazione sanitaria per produrre alimenti.
Penso che sia un dibattito benvenuto e necessario. Si possono indubbiamente commettere reati, anche gravi, in ambito alimentare, che vanno perseguiti penalmente con la necessaria durezza; ma l’eccessivo ricorso al diritto penale danneggia i consumatori, disincentivando i richiami pubblici, non è efficace come deterrente, almeno per molte imprese, e, anche ove non ci sia dolo, sposta l’attenzione di imprese ed autorità dalla tutela della salute alla preparazione di un processo penale. E’vero che le sanzioni amministrative sono purtroppo spesso inefficaci, per volontà del legislatore che ha fissato importi risibili per le imprese medio-grandi e meccanismi incongrui, ma il diritto penale, nella mia esperienza, è a volte peggiore del male. Inoltre, come rileva l’articolo, anche la magistratura dovrebbe aggiornarsi sull’evoluzione del settore: i richiami sono spesso prova di serietà e di un sistema che funziona, non l’evidenza di procedure inadeguate.
Capisco che questo sia un tema sensibile, ma, per una migliore tutela della salute, prima di tutto, va affrontato senza timori reverenziali.
Credo che se un’azienda alimentare si comporti in modo virtuoso, significa che i controlli funzionano e quindi, maggior garanzia per il consumatore. Capisco anche il ruolo delle autorità competenti che, dovendo svolgere il loro ruolo di tutela del consumatore, avviano procedure di prescrizioni per l’azienda, controlli mirati e quant’altro previsto dalla legge.
Credo anche però (in un mondo perfetto), che fatta la segnalzione alle autorità giudiziarie come atto dovuto, è compito comunque da parte dell’ASL, verificare le responsabilità e capire cosa è successo lungo la filiera. Quindi successivamente aggiornare le autorità giudiziarie, la quale scagionarà o punirà l’azienda giudicando i fatti e secondo le norme vigenti.
Credo sia molto più costruttivo per tutti incentivare i richiami dei prodotti alimentari, piuttosto che un’azione refressiva a prescindere.
Francesco Gianluca Pepe
La campagna promossa da Fatto alimentare sul discorso “rintracciabilità” mi piace parecchio. E’ un aspetto della sicurazza alimentare molto delicato e complesso. Bisogna che ci sia chiarezza.
Il fatto è che poi le aziende, in caso di problemi, al posto che trasmettere le informazioni agli enti preposti, in caso di ritiro del prodotto dal commercio cerchino di risolvere il tutto in modo poco trasperente (cosa che probabilmente già avviene).
Il problema,da Noi denunciato ormai da anni ed anni in innumerevoli occasioni , oralmente e per iscritto, recepito dagli organi ministeriali solo a parole, con la promessa di un testo unico mai arrivato, riguarda il mancati adeguamento della legislazione nazionale , per sua natura punitiva e senza principi preventivi, ai nuovi , più moderni principi preventivi dei Regolamenti UE: per cui l’art. 5 della legge 283, mai abolito e modificato con aggancio alla legislazione europea, e sempre applicato alla lettera dall’ottusaggine della magistratura, porta , per chi si comporta onestamente, ad una autodenuncia perseguibile penalmente da parte della obsoleta legislazione Italiana, che viene proclamata fra “le migliori del mondo” . E’ ora che i cosiddetti magistrati illuminati agiscano propositivamente in tal senso.
Il regolamento 882/2004 CE prevede che l’Autorità Sanitaria Competente, in presenza di non conformità da parte dell’OSA rilevate nel corso dei controlli ufficiali, intraprenda una serie di azioni, commisurate alla gravità della non conformità, molto più rapide ed incisive dell’azione penale a garanzia della sicurezza del consumatore.
Maria Rosaria Ferone