Sfruttamento dei migranti nell’industria del pomodoro in Italia: un rapporto dell’Ethical Trading Initiative sollecita i rivenditori britannici a intervenire
Sfruttamento dei migranti nell’industria del pomodoro in Italia: un rapporto dell’Ethical Trading Initiative sollecita i rivenditori britannici a intervenire
Beniamino Bonardi 21 Dicembre 2015Il 18 dicembre, in occasione della Giornata dei migranti, l’Ethical Trading Initiative (ETI) – un’alleanza britannica formata da imprese, sindacati e ong, impegnata per il rispetto dei diritti dei lavoratori nel mondo – ha invitato i rivenditori inglesi di generi alimentari a controllare la filiera produttiva. La raccomandazione è contenuta in un rapporto che denuncia il massiccio sfruttamento degli immigrati nell’industria del pomodoro nelle regioni meridionali del sud-Italia e alcune infiltrazioni di tipo mafioso.
I pomodori italiani rappresentano il 60% del prodotto venduto in Gran Bretagna (il 16% circa delle nostre esportazioni) e l’ETI sottolinea come più del 25% dei beni confiscati alle organizzazioni mafiose siano aziende agricole e imprese legate al settore agroalimentare. L’ETI afferma che le aziende italiane trasformatrici di pomodori devono controllare con maggiore attenzione la filiera di approvvigionamento. Secondo l’associazione il governo dovrebbe colmare alcune lacune legislative, i caporali che gestiscono il lavoro nero dovrebbero essere perseguiti ed è necessario intensificare le ispezioni e verificare il rispetto dei contratti collettivi di lavoro.
Secondo il rapporto, nell’agricoltura italiana la forza lavoro irregolare è cresciuta negli ultimi anni, sino a raggiungere un terzo del totale, e le previsioni indicano un’ulteriore aumento delle irregolarità. Per l’Istat, nel 2014 i lavoratori stranieri erano 116.000, pari al 16% del totale. Il rapporto dell’ETI osserva che le stime non comprendono gli immigrati irregolari e questa è una realtà importantissima tanto che l’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione indica come cifra realistica quasi mezzo milione di persone, tra immigrati regolari e irregolari. L’ETI invita i rivenditori britannici, e in generale quelli europei, ad agire perché loro hanno la possibilità di modificare i comportamenti scorretti
io non ho numeri a conforto di quanto posso testimoniare, ma, almeno nel foggiano, lo sfruttamento di lavoratori irregolari è molto diffuso ed i caporali prosperano perché di controlli ispettivi non ce ne sono, o comunque sono inadeguati. questo è, tuttavia, un argomento molto delicato, perché la questione non si risolverebbe solo con una maggiore assiduità dei controlli, ma soprattutto con una maggiore forza di rappresentatività dei produttori agricoli nei confronti delle industrie di trasformazione, che impongono i prezzi sul mercato. senza dei migliori accordi per chi produce, non si metteranno mai delle buone premesse per la soluzione del grave problema.
Hai scoperto l’acqua calda.Come accorgersi che esiste lo sfruttamento dei bambini nei paesi cosiddetti terzo mondo.Il problema e’ risaputo in tutti gli ambienti , ma la volonta’ politica di risolverlo e’ praticamente inesistente , perche’ vorrebbe dire colpire chi ha il potere, quello economico.
Siamo al ridicolo se ci vogliono gli inglesi per scoprire che da noi esiste lo schiavismo.
Nessuna delle nostre istituzioni di controllo, associazioni di categoria, sindacati, se ne era ancora accorto.
E’ sufficiente che le catene della grande distribuzione, fissino dei prezzi da fame per le materie prime, per rendere il sistema dipendente dal lavoro degli schiavi più o meno clandestini.
Tutto accettabile, tollerabile perché non c’è rimedio?
La Commissione Europea, se ha un senso di esistere, dovrebbe fissare prezzi minimi per le materie prime prodotte all’interno della comunità, valide per tutti gli stati e dazi d’ingresso per le importazioni da paesi terzi troppo competitivi.
Va bene la libertà, ma se genera schiavismo e miseria, ha un altro nome ed effetto.