L’arrivo sul mercato della plastica vegetale è probabilmente più vicina, grazie agli studi condotti per dieci anni dai chimici dell’Università del Wisconsin di Madison. Ne dà notizia Science riportando in un lavoro scientifico e in un articolo che riassume le caratteristiche di un prodotto che nasce dalle pannocchie di mais e in generale dalle fonti di fruttosio.
Oggi la sostanza più utilizzata per bottiglie e imballaggi è il PET (polietilene tereftalato), ricavato dalla lavorazione di oli minerali. Si tratta di una sostanza con un’elevata impronta ambientale e secondo alcune stime la produzione mondiale è associata all’emissione di 100 milioni di tonnellate di CO2 ogni anno, per non parlare dello smaltimento e dei problemi associati.
Per questo motivo da molti anni si cercano alternative, e una delle più promettenti è una plastica chiamata PEF, o polietilene furandicarbossilato, sintetizzata a partire da un elemento base chiamato FDCA o acido furandicarbossilico, sintetizzato da fonti rinnovabili, a costi elevati.
I chimici di Madison sono riusciti a mettere a punto una processo produttivo che si avvale di un solvente inodore e trasparente chiamato GVL (gamma-valerolattone) ricavato da fonti rinnovabili come le pannocchie. Il GVL permette di ottenere grandi quantità di FDCA partendo da minime quantità di fruttosio, e ha quindi un alto rendimento, al punto che tutto il processo porta a una plastica che costa poco meno di 1.500 dollari a tonnellata (circa 50 dollari in più rispetto al PET). Inoltre, secondo i responsabili della ricerca, il prezzo potrebbe scendere di ulteriori 200 dollari a tonnellata , via via che la produzione assume le dimensioni industriali, diventando realmente competitivo rispetto al PET.
Tre i vantaggi messi evidenziati da Science: ricordiamo il ricorso a fonti rinnovabili, l’eliminazione dalla reazione di acidi corrosivi (necessari nelle reazioni usate finora) e quindi di costosi processi di lavaggio e di macchinari altrettanto costosi. Un aspetto importante è la possibilità di riciclare una parte di FDCA e di GVL rendendo il ciclo ancora più sostenibile. In più questa plastica sarebbe capace di mantenere bene la sigillatura e di non far passare i gas, caratteristica fondamentale se si pensa di usarla per le bottiglie.
Naturalmente nessuna sostanza o processo è a costo zero, e anche l’FDCA presenta un lato oscuro o, se si preferisce, un prezzo aggiuntivo da pagare. Per quanto riguarda la materia prima, anche se il mais è migliore degli oli minerali, la produzione su scala mondiale ha già causato la perdita di biodiversità in vaste zone a tutte le latitudini, ed è responsabile dell’esaurimento di terreni e falde. Aggiungere una produzione così significativa come quella necessaria per sostenere la richiesta di plastiche avrebbe a sua volta un’impronta non da poco.
Inoltre la nuova reazione comporta l’impiego, come catalizzatore, del platino, al posto del cobalto usato finora, ma il platino è raro e a sua volta costoso. Se la produzione dovesse decollare, ciò potrebbe influire sul prezzo. Insomma, conclude Science, il passo in avanti è significativo, anche perché l’impronta ambientale di questa plastica è certamente inferiore rispetto a quella del PET, ma forse occorrerà ancora qualche aggiustamento tecnico, prima di poter arrivare alla sostituzione.
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Giornalista scientifica