Il segreto della pasta italiana? Essiccare gli spaghetti a 115-120°C, miscelando grano duro nazionale con quello tenace e ricco di proteine francese, canadese e australiano. Sulle etichette però non c’è scritto nulla di tutto ciò. I grandi marchi del settore, appellandosi al segreto industriale e ad altri cavilli, non indicano il trattamento ad altissime temperature necessario per ottenere una pasta che non scuoce. Ma questo non è l’unico dettaglio, i produttori dimenticano anche di indicare l’origine della materia prima. Sulle confezioni è però normale trovare riferimenti al “made in Italy”, bandiere italiane e quant’altro anche se la scritta riguarda solo il luogo di produzione e non la materia prima.
L’uso delle alte temperature è iniziato negli anni ’70 quando un’azienda leader di mercato scopre che aumentando il calore nella fase di essiccazione, la pasta tiene bene la cottura anche utilizzando grano duro di qualità non eccelsa. L’abitudine di alzare il termometro è poi continuata e oggi in molti pastifici lavorano a temperature inimmaginabili sino a pochi anni fa, sia che si produca pasta low cost sia le grandi marche. Prima di continuare, occorre spiegare la differenza tra semola e farina di grano duro. La pasta per legge in Italia deve essere preparata con semola di grano duro, ottenuta togliendo la parte esterna del chicco di frumento e macinando l’interno, riconoscibile per l’aspetto granuloso. La norma fissa anche un tenore di ceneri inferiore a 0,90%, per evitare che la parte esterna del chicco di grano ricca di sali minerali finisca nella semola. Dal grano duro si ottiene anche la farina che ha un aspetto più polveroso e non si può usare nell’industria della pasta perché ricca di ceneri. La svolta storica per il settore arriva negli anni ’70 con l’arrivo della “semola tutto corpo”. Si tratta di una miscela composta dalla semola e dalla farina di grano duro, con una granulometria intermedia (non superiore a 450-500 micron) e un valore di ceneri in linea con i parametri di legge.
La “semola tutto corpo” avendo granuli di dimensioni ridotti rappresenta una rivoluzione nella lavorazione della pasta, perché facilita l’impasto e aumenta la resa. Se prima da 100 kg di grano duro si ricavavano 65 kg di semola, adesso con la semola tutto corpo si arriva a 75 kg e oltre. I vantaggi non sono finiti. L’impasto può essere fatto con acqua calda in ambiente sottovuoto, e in questo modo aumenta la capacità di assorbire acqua destinata a formare il reticolo del glutine. L’assorbimento di una maggiore quantità di acqua permette di ottenere un prodotto trafilato che, associato all’innalzamento della temperatura nella fase di essiccazione sino a 115-120°C, conferisce alla pasta una buona tenuta in cottura, anche nel caso la materia prima non sia eccellente.
Per capire cosa vuol dire superare i 100°C nella fase di essiccazione occorre fare un piccolo passo indietro. Quando negli anni ‘60 gli spaghetti venivano essiccati a 60°C, la tenuta in cottura era garantita dall’impiego di una semola ricca di proteine con un glutine tenace ed elastico. Per raggiungere questo obiettivo, già allora si importava grano duro pregiato dall’estero. Adesso la “semola tutto corpo” ottenuta da grano duro italiano ha un tenore di proteine maggiore (i valori oscillano da 12,0 a 14,5% rispetto al 10,5% previsto dalla legge), ma questo incremento è dovuto soprattutto alla maggiore resa durante la macinazione e non al miglioramento qualitativo delle proteine. Le varietà coltivate nel nostro paese sono cambiate poco, per cui il glutine risulta ancora poco tenace e ancor meno elastico.
L’impiego di “semola tutto corpo” sopperisce a queste carenze. La pasta quando viene fatta essiccare nei forni riscaldati a 115-120°C, assume una consistenza tale da garantire la tenuta in cottura. Tutto ciò accade perché nel nuovo processo produttivo la quantità delle proteine ha un ruolo prevalente rispetto alla qualità del glutine( tenacità ed elasticità). Il risultato finale è che quando gli spaghetti finiscono in pentola l’amido non solubilizza nell’acqua bollente, la pasta non risulta collosa e mantiene bene la cottura. A livello produttivo non è più necessario selezionare grano di alta qualità e si riducono in modo sensibile i costi di produzione. Questa storia aiuta a capire il mistero degli spaghetti che costano poco e non scuociono mai. Oggi è normale trovare sugli scaffali degli hard discount e anche di grandi catene di supermercati pasta con il marchio dell’insegna venduta a 0,75 – 1,00 €/kg. Si tratta di prezzi molto convenienti rispetto alle marche leader che costano 2-3 volte di più. L’aspetto vincente degli spaghetti low cost è la tenuta in cottura, come dimostra il test realizzato da Altroconsumo nel maggio del 2016 e il programma della tv svizzera a A bon Entendeur nel settembre 2015. Il segreto è probabilmente l’impiego sempre più diffuso di “semola tutto corpo” di grano duro, e l’essiccazione ad altissime temperature, che permettono di ridurre in modo drastico i costi di produzione. Abbiamo chiesto a molti pastifici di indicare le temperature del processo produttivo ma solo 5 marche hanno risposto (Granoro, Agnesi, Divella, De Cecco, Delverde, vedi sotto*). Gli altri hanno preferito declinare l’invito.
Un altro vantaggio da considerare è la riduzione dei tempi di lavorazione e quindi la minore incidenza dei costi industriali. Un conto è impiegare 12 ore per produrre un lotto di spaghetti, altra cosa è riuscire a ottenere un analogo risultato in 2/4 ore. C’è poi la questione dell’aspetto estetico e del colore che cambia quando la pasta durante la lavorazione industriale arriva a certe temperature. L’impasto soffice e omogeneo della “semola tutto corpo” è vantaggioso perché permette di eliminare i famosi puntini bianchi visibili in controluce, dovuti ai granelli non ben amalgamati. Per contro tanto più la semola risulta soffice e contiene farina di grano duro, tanto più il colore vira verso le tonalità grigie. Questo difetto viene amplificato dalla maggior capacità dell’impasto di assorbire acqua destinata a formare il reticolo del glutine. Durante l’essiccazione ad alte temperature i due fattori contribuiscono a dare alla pasta una colorazione ambrata molto intensa, che i ricercatori attribuiscono alla reazione di Maillard. La questione è stata risolta brillantemente con il marketing e la pubblicità che hanno trasformato il colore giallo scuro in un pregio attribuito al prodotto in grado di tenere la cottura.
Un altro aspetto importante collegato alla temperatura riguarda il sapore abbastanza uniforme. Non era così nelle antiche lavorazioni, quando l’essiccazione a basse temperature durava 24/48 ore, i microrganismi dell’impasto entravano in azione conferendo al prodotto un sapore tipico correlato al tipo di grano. Adesso con le alte temperature non solo manca l’azione dei microrganismi dell’impasto, ma anche il gusto viene penalizzato, perché si perdono diverse sostanze aromatiche.
Come scegliere? Non ci sono metodologie per stabilire parametri universali. L’unico dato rilevabile dalla confezione è la percentuale di proteine che è importante, ma insufficiente per un giudizio assoluto, perché il valore elevato deve essere abbinato a un glutine tenace ed elastico. Poi bisogna considerare: il tempo di cottura, l’aspetto dell’acqua rimasta nella pentola e procedere all’assaggio. Si possono fare altre prove: schiacciare la pasta corta tra due piastrine e verificare se dopo la compressione tende a rilassarsi (questo potrebbe essere un indice di elasticità), oppure fare la stessa cosa con i polpastrelli e notare se vi è collosità. C’è anche la prova forchetta: bisogna prendere gli spaghetti farli ruotare e verificare se tra i denti restano tracce di pasta. L’ultimo suggerimento riguarda la scelta del formato. Gli intenditori preferiscono le paste lunghe: spaghetti, linguine, bucatini, ziti… perché necessitano di una semola di qualità superiore. C’è poi la questione colore, la pasta essiccata a basse temperature si riconosce perché ha una tonalità tendente al giallo (vedi foto).
Un commento merita pure l’uso della parola “tradizionale” riportata su alcune confezioni, utilizzata quasi sempre come elemento di marketing per attirare i consumatori. Nell’immaginario collettivo la parola dovrebbe indicare la pasta ottenuta con un grano tenace, elastico e ricco di proteine. Possibilmente estrusa da una trafila in bronzo e sottoposta a un processo di essiccazione a basse temperature, come si usava fare 50 anni fa. In realtà la parola non attesta nulla di tutto ciò. In Italia non esistono regole e il processo di lavorazione è lasciato alla libera interpretazione dei pastifici come pure certe espressioni riportate sulle etichette. La nota positiva è che la pasta di colore chiaro fatta essiccare a medie temperature prodotta con semola di buona qualità, riscuote sempre un grande successo di assaggio, come dimostrano i risultati di vari test realizzati negli ultimi anni, che assegnano spesso a De Cecco il primo posto.
La legge italiana non regolamenta le temperature di essiccazione. Se nel 1880 per asciugare gli spaghetti ci volevano 8-10 giorni in estate e 20-30 in inverno, nel 1903 con l’avvento dell’essiccazione meccanica i giorni si riducono a 3-5. Nel 1950 la temperatura raggiunge circa 60°C e le operazioni si concludono dopo 24-36 ore. Il tempo dimezza nel 1970 (12-15 ore) quando si superano i 65°C. Nel 1985-90 il termometro arriva a 80-85°C e le ore diventano 4-6. Con i nuovi macchinari che lavorano ad altissime temperature 90-115-120°C dopo 2-3 ore la pasta può essere pronta.
Una temperatura di essiccazione inferiore ai 60°C limita il danno termico, perché non altera la struttura del glutine e mantiene il più possibile intatte le caratteristiche organolettiche e nutrizionali del prodotto. Nella produzione industriale il termometro sale sino a 115-120°C soprattutto nei pastifici che preparano pasta low cost. Il problema è che più sale la temperatura, più cambia il sapore e diminuisce il valore nutrizionale. Per approfondire questo argomento clicca qui.
* Temperature e tempi di essiccazione comunicati a Il Fatto Alimentare da 5 produttori nel mese di ottobre 2016
Granoro – Pasta lunga temperatura essiccazione: da 48°C a 75°C; tempo 7,5 ore. Pasta corta temperatura essiccazione: da 70°C a 75°C; tempo 6 ore. Pasta Artigianale “Le Specialità di Attilio”: da 40°C a 50 C° (con umidificazione) tempo da 8 a 12 ore.
Agnesi – temperatura essiccazione: 72-75°C; tempo 4,5-5 ore per pasta corta 7 ore pasta lunga
Divella – temperatura essiccazione: 78-85°C; tempo 8 ore per pasta corta 20 ore pasta lunga
Delverde – temperatura essiccazione: 40-55°C (inferiore a 70°C per alcuni formati); tempo 8 ore per pasta corta 20 ore pasta lunga (30 ore per alcune linee)
De Cecco – temperatura essiccazione: 60-65°C; tempo 8 -10 ore per pasta corta, 18-36 ore pasta lunga.
Roberto La Pira e Andrea Arcamone (tecnico arte bianca)
© Riproduzione riservata
Le donazioni si possono fare:
* Con Carta di credito (attraverso PayPal). Clicca qui
* Con bonifico bancario: IBAN: IT 77 Q 02008 01622 000110003264
indicando come causale: sostieni Ilfattoalimentare. Clicca qui
Giornalista professionista, direttore de Il Fatto Alimentare. Laureato in Scienze delle preparazioni alimentari ha diretto il mensile Altroconsumo e maturato una lunga esperienza in test comparativi. Come free lance si è sempre occupato di tematiche alimentari.
Sig. La Pira, leggo che è un tecnologo alimentare quindi non dubito in merito alla sostanza dell’articolo, ma avrei due domande:
Perchè questo tono inquisitorio ?
Se l’industria ha ottimizzato i processi ottenendo un prodotto migliore qual’è il problema ?
PS la pasta di semola a basso costo c’è sempre stata, basta che non ci siano alti costi pubblicitari e di intermediazione con la distribuzione
Credo che per un prodotto così importante per la dieta degli italiani certi aspetti vadano evidenziati in etichetta e poi c’è un aspetto nutrizionale importante che abbiamo già trattato in un altro articolo .
Il segreto sta nel comprare sempre pasta di colore tendente al bianco opaco e ruvida, mai ambrata, traslucida e liscia. Diciamo che in questo caso, anche senza indicazioni del produttore, è facile scegliere.
Sig. Filippo, è esattamente l’opposto.
Le semole di grano duro si differenziano dalle farine di grano tenero proprio sul colore e l’effetto traslucido. Ricordo che la pasta dev’essere fatta con solo semola di grano duro, questa, se di buona qualità, ha un colore giallo acceso e mai bianco ed opaco!
La pasta tendente al bianco opaco è proprio quella da scartare!
Per quanto riguarda la pasta liscia o ruvida questo dipende solo da che trafila viene utilizzata, il più moderno teflon o il vecchio bronzo, ma cambia l’aspetto, assolutamente non la qualità!
Sig. Palandri, non è l’opposto, forse mi sono solo espresso male (anche perché in Italia non è consentito fare la pasta col grano tenero, per cui quando acquisto assumo di non dover distinguere tra una pasta di grano duro e una di grano tenero), io scarto la pasta traslucida di colore ambrato, scelgo la pasta di colore giallo acceso (come dice lei, ma che comunque è più chiara dell’altra), non trasparente, proprio perché ha subito una essiccazione lenta a bassa temperatura e preferibilmente trafilata col “vecchio” bronzo.
Non ho elementi di approfondita conoscenza tecnologica della trasformazione per contestare uno scenario così apocalittico. Ma dopo le bufale strumentali e di parte, la populistica e antiscientifica post verità su micotossine, glutine, grani antichi et al.. di sicuro emerge una neanche troppo celata esigenza masochistica di distruggere quanto di importante abbiamo costruito negli ultimi decenni nel settore agroalimentare (che non so per quanto ancora ci riconosce e paga il resto del mondo). Fra breve non rimarrà nulla di positivo nel nostro “Bel Paese”.
Dai continuiamo a farci del male.
Però da agronomo una cosa non posso sottacerla: le varietà di grano duro coltivate negli ultimi anni (diciamo 20-30 tanto ci mette il ricambio varietale) hanno profili qualitativi e glutinici migliori proprio in funzione di una migliore trasformazione. E’ infatti una delle tante bufale attualissime e ormai inarrestabili , vista la sconfitta del metodo scientifico razionale, verte proprio sulla pericolosità del glutine che bisognerebbe contrastare con i grani “antichi” (ma QUALI ? Le risposte sono generalmente deprimenti).
Grani “antichi” (Cappelli???, ma è solo vecchio e già molto “manipolato” dal genetista Strampelli ad inizio ‘900, ahia ahiai) e specie, queste si, antiche e diverse come Farro monococco, dicocco, spelta, turanicum o Khorasan con o senza marchietto furbetto registrato, da sempre conosciute come pastificabili con notevole difficoltà per la scarsa qualità del glutine, ma improvvisamente incensate e pagate profumatamente e offerte, non come apprezzata zuppa o minestra, ma “perfettamente” pastificate.
Allora ‘sta temperatura folle cui prodest?
Sig. Fabrizio,
i problemi su micotossine, glutine e grani antichi non sono “bufale strumentali” ma problemi molto seri.
Questi problemi ci sono eccome e sono anche abbastanza evidenti a chi opera nel settore ma sono d’accordo con lei che non è facile comprenderli da esterni.
Le spiego volentieri un paio di cose.
In America il grano viene “ucciso” tramite Glifosato (un diserbante!) una settimana prima della raccolta, questo sia per esigenze di raccolta che per favorire la maturazione del grano.
Si vada a leggere cos’è il glifosato, poi mi dice se è una bufala strumentale..
Questo grano viene poi immagazzinato in grosse navi merci per essere trasportato in europa, ci vogliono quasi 30 giorni dall’immagazzinamento allo sdoganamento, ha idea di quante muffe nascono in quel tempo nelle varie zone della nave? E crede che queste vengano poi eliminate? No!
Non vengono eliminate, viene macinato tutto insieme, ed ecco le micotossine.. E non mi parli dei controlli da parte delle autorità perché non vengono quasi mai fatti, se vuole le spiego anche come mai..
Inoltre parla di tipologie di grano e mi sembra strano sia proprio un agronomo ad alzare certe perplessità. Innanzitutto parlare di profili qualitativi delle varietà di grano è una cosa e parlare di miglioramento dei processi di trasformazione è completamente un’altra. Il grano è cambiato da quando è stato inventato il Creso e questo è indubbio, ciò che è molto dubbio secondo me è che ci sia stato un effettivo miglioramento ma per affrontare questo grande dilemma voglio chiederle cortesemente prima una cosa, lei, come agronomo, in che modo giudica le caratteristiche di un glutine?
“..problemi ci sono eccome e sono anche abbastanza evidenti (??) a chi opera nel settore…”
Appunto, “opero” nel settore da 39 anni e le bufale strumentali ridicole che ho visto negli ultimi anni, dalla diffusione del sacro web, rivincita delle scorciatoie della cialtroneria contro il faticoso metodo scientifico, mi provocano sentimenti che oscillano tra sganasciamento per scoppiettanti fesserie e paura, in generale per il ritorno di superstizioni medievali che rischiano di interrompere la crescita civile dell’umanità dall’illuminismo in poi e in particolare che venga demonizzato il nostro più conosciuto e salutare prodotto agroalimentare, uccidendo definitivamente agricoltura, lavoro e paesaggio meridionale.
So benissimo cos’è il Glifosato, ma farebbero bene a diffidarne soprattutto gli algidi vegani divoratori di soia, visto che l’85% della produzione mondiale di questa pur ottima leguminosa alternativa alla carne è però OGM con resistenza indotta a questo disseccante totale che infatti viene sparso addirittura con gli aerei nei grandi appezzamente americani. Nel Frumento duro l’uso del glifosate è praticamente inesistente nel fin troppo arido Mediterraneo perchè ulteriore aggravio di spesa inutile e decisamente raro anche nel Canada che cmq esporta materie prime di alta qualità con rigorosi controlli. Cmq per essere totalmente sicuri esistono, come evidenziato in questo utilissimo blog, oltre 40 marche di pasta 100% grano italiano. Qualche centesimo in più al piatto e meno capelli strappati sul web.
Mi occupo di micotossine da quasi 20 anni e le assicuro che , purtroppo, la situazione è grave per il mais che infatti ha visto dimezzare le superfici coltivate in Italia, ma ampiamente tranquilla per il Grano Duro, soprattutto quello dell’Italia centro-meridionale (rinnovo invito a consumare paste 100% grano italiano ) ma, tutto sommato anche per l’importato come dimostrano le reali e frequenti analisi fatte dagli organi competenti (ARPA) nei porti che purtroppo in silenzio mediatico smentiscono puntualmente le gazzarre incontrollate dell’allarmismo scandalistico web.
Ovviamente in natura, nei fenomeni biologici, non esiste l’assoluto e un certo margine di rischio rimane e va tenuto sotto controllo, specie nelle annate con tardo-primavere umide, ma nessun pastificio si diverte a intossicare i consumatori consapevolmente.
Ecco, consapevolmente…
Ma la consapevolezza è frutto di CONOSCENZA e la conoscenza è figlia nobile del sapere acquisito col faticoso ma rigoroso metodo scientifico, nemico della cialtroneria del web. E le micotossine si conoscono tutto sommato da pochi decenni, ma della principale del frumento, il DON deossinivalenolo da Fusarium, fungo di campo E NON DA STIVA , si può parlare ormai con precisione e ribadisco, relativa tranquillità.
Funghi e muffe ( e virus e batteri e…) sono miliardi, non è detto PER FORTUNA, che siano tutti TOSSIGENI, altrimenti saremmo già estinti da un pezzo.
Ma attenzione a quello che si conosce poco…ci sono tante micotossine cd. “emergenti” che sfuggono ancora a conoscenza (che richiede sforzi di ricerca seri ) e quindi a normative, ma chissà a quali conseguenze sanitarie .
Per millenni del resto l’ignoranza superstiziosa che riemerge con inaspettato vigore dal web, ha causato gravissimi guasti all’umanità intera e il paradosso sono proprio le micotossine come l’ergotismo che falcidiavano le popolazioni soprattutto della MittelEuropa che bruciava come “streghe” quelle povere donne agitate e confuse che avevano inconsapevolmente mangiato cereali (segale) contaminati, salvo una bella processione in Italia dove S. Antonio (o il clima più asciutto?) faceva il miracolo (esiste ancora congregazione francese con questo nome).
Altra bufala grancassa tra le preferite dell’ignoranza allarmistica web è che il grano sia ormai “cambiato” (sottinteso in peggio) dall’”invenzione” (selezione, ok?) del Creso.
Sorvoliamo sulle sciocchezze da scompisciarsi dette sulla “radioattività” che si porterebbe ancora dietro questa pur ottima varietà, resta il fatto che ormai è coltivata in meno dell’1% dei terreni italiani.
La stragrande maggioranza delle cultivar di grano duro impiegate in Italia è invece frutto di tradizionale miglioramento genetico da incrocio e selezione per adattamento, resa, resistenza a stress biotici -malattie e ambientali siccità, freddo e qualità (contenuto proteico e QUALITA’ DEL GLUTINE – Gluten index, SDS, W forza alveografica dell’impasto, colore e antiossidanti COME PREVISTO DA NORMATIVA UNI).
E quasi tutte nipotine della leggenda indiscussa ed indiscutibile SignoraMia, il…. CAPPELLI , l’antico saggio o meglio il vecchio, allettabile, soggetto a malattie, tardivo, scarsamente produttivo, con profilo glutinico disastroso per la trasformazione in pasta, MIGLIORATO FATICOSAMENTE, ma a quanto pare inutilmente DA VALENTI AGRONOMI nell’ultimo secolo
Dai, continuiamo a farci del male, il medioevo è sempre più vicino.
Caro sig. Fabrizio,
purtroppo il Medioevo deve ancora arrivare, il web ha rivoluzionato tutto e non sappiamo ancora come utilizzarlo, ne sono evidenti prove proprio le bufale mediatiche che proliferano così velocemente. Soprattutto nell’alimentare dove creare allarmismi è così semplice.
Per questo dobbiamo usare ancor più il buonsenso.
Abbiamo un ottimo grano in Italia, perché dobbiamo comprarlo nell’est dove hanno una mentalità completamente diversa dalla nostra e accendono i barbecue con i pneumatici?
Perché acquistarlo in America e Canada dove utilizzano sementi OGM (illegali nel nostro paese) e raccolgono il grano dopo averlo avvelenato?
Quanto sia costoso non ha importanza, è legale e quindi è molto probabile che venga utilizzato e non si può escluderlo a priori.
Il Creso non è il diavolo e su questo siamo d’accordo, il problema secondo me viene dopo.
Che il piatto di pasta sia così salutare è tutto da vedere, acquistando una confezione dei marchi più blasonati e conosciuti rischiamo di immettere nello stomaco micotossine, pesticidi e furosina.
Come se non bastasse l’alta temperatura utilizzata ormai da tutti i grandi pastifici rende l’amido meno digeribile e molti sentono un senso di pesantezza dopo pranzo. Questo è l’aspetto più pericoloso perché il legame con il recente innalzamento dei casi di celiachia è palese.
Adesso qualcuno dirà che prima non c’era modo per diagnosticarla e che è sempre esistita, vi anticipo, sono stati analizzati anche campioni di sangue raccolto prima del boom della malattia e non sono state rilevate le percentuali di oggi.
Gentile Sig. Palandri,
il web sarebbe un mezzo fantastico di diffusione della conoscenza, ma è stato cavalcato anche e soprattutto da furbetti, ignoranti e cialtroni che puntano a bufale suadenti e verità di comodo (post-verità) in un clima di allarmismo prezzolato che ha purtroppo affascinato e svilito la gran parte dei giornalisti. La vera tragedia è che la post-verità non ha nessun filtro e sta sostituendo la faticosa ricerca della conoscenza dei fenomeni tipica del metodo scientifico ripetibile e validato dalla comunità internazionale di ricercatori. Quindi un ritorno se non proprio al MedioEvo almeno al pre-Illuminismo. Non a caso le conquiste degli ultimi 2 secoli (lavoro, previdenza, sanità) sono rimesse in discussione.
Il grano duro in Italia è GENERALMENTE OTTIMO, ma non sempre ed è sicuramente INSUFFICIENTE : 1.300.000 ha producono circa 4 milioni di tonnellate . Ce ne occorrerebbero almeno 5 milioni, SEMPRE SE NON SI CONTINUI A DEMONIZZARE LA PASTA e quindi a ridurre il già florido trend di crescita delle esportazioni. Ma recuperare le superfici investite a grano duro al Sud solo di qualche anno fa è opera improba visto la ridicola remunerazione del grano duro (20 cent al kilo). La strada di valorizzare il prodotto nazionale offrendo paste 100% grano italiano e quindi con margini migliori per gli agricoltori e benefici per tutto il territorio è stata tracciata ma è in salita e chissà se si arriverà alla meta.
Il Grano DURO NON ARRIVA DALL’EST. L’altra bufala incontrollata del grano coltivato negli orti di Chernobyl è una chiara idiozia visto che in Ucraina NON CRESCE GRANO DURO. Ma è molto suadente e accontenta i forcaioli contro il Potere e l’Estabilshment (post-verità).
In nessuna parte del Mondo il Grano DURO ha sementi OGM . PUNTO ! (come sopra).
I marchi blasonati non si sognano di produrre schifezze per evidenti (ma non al web forcaiolo) ragioni di immagine e sopravvivenza commerciale. Hanno staff preparati di tecnici che intervengono in caso di contaminazioni.
Per le MICOTOSSINE si rilegga quanto scritto sopra, altrimenti le posso mandare una decina di lavori scientifici che la smentiscono.
NESSUN fungicida viene dato al grano duro meridionale per motivi di inutilità di soglia di pericolo (clima asciutto) e soprattutto di soglia economica (costi superiori al beneficio).
E’ di fatto una coltura estensiva con bassissimo ricorso a input chimici A DIFFERENZA DI ALTRI CEREALI NORDICI che si vogliono imporre al posto della pasta con l’altra BUFALA VERGOGNOSA del gluten-free. Per lo zero chimico esistono cmq prodotti biologici di cui lil grano duro è LEADER in Italia.
Che l’innalzamento della celiachia sia “palese” è un’altra targica BUFALA ORECCHIABILE e SUADENTE e fonte di vergognose speculazioni commerciali sulla pelle dei veri malati senza nessuna prova scientifica.
Come per le micotossine (DON) è fortunatamente aumentata la soglia di rilevamento e quindi è più facile accorgersene , ma i celiaci ufficiali in Italia rimangono sotto i 200.000, anche se chi se neoccupa seriamente parla dell’1%, quindi diciamo 600.000 che cmq meritano rispetto e attenzione, ma di certo non STRUMENTALIZZAZIONI per vendere schifezze queste si cariche di micotossine e residui chimici a prezzi decuplicati rispetto alla pasta al restante 59.400.000 italiani (per non parlare del resto del mondo)
Sig. Fabrizio,
ci credo che il grano duro americano non sia OGM ma purtroppo è l’unico punto su cui mi ha convinto.
Come lei anch’io sono da molto nel settore e non mi avvalgo di internet per reperire informazioni anche perché spesso non si trovano nemmeno online.
Non mi piace parlare di cose che non posso provare e qua metto un punto.
In ogni caso che nell’est non si produca frumento, che non ci siano micotossine nella semola e che la celiachia non sia in aumento sono punti che ognuno di noi può approfondire tranquillamente con una veloce ricerca, per fortuna ci sono ancora fonti attendibili.
Però non mi ha risposto su paio di punti che mi interessano molto:
1) in che modo giudica le caratteristiche e qualità del glutine?
2) cosa pensa della furosina nella pasta di semola di grano duro?
A parte sulla furosina che non è mio campo di approfondimento, mi sembra di aver ampiamente risposto su tutto. Rimane la triste considerazione :
la pasta è stata fino ad oggi un riconosciuto prezioso invidiato prodotto agroalimentare d’eccellenza in forte crescita nel mondo e permette l’impiego esclusivo dell’ottimo grano duro che valorizza e tiene in vita il territorio centro-meridionale italiano.
Se ci piace farci del male squalificandoci, come già successo in altri settori trainanti l’economia, da soli davanti al resto del mondo con ” le bufale strumentali e di parte, la populistica e antiscientifica post verità su micotossine, glutine, grani antichi et al.. ”
benissimo , daje con gli strilli. Il popolo webete non aspetta altro. E le esportazioni di pasta per la prima volta da anni hanno il segno MENO.
Fra breve non rimarrà nulla di positivo nel nostro “Bel Paese”.
Ci sarà il reddito di cittadinanza a sfamarlo?
trovo quest’articolo molto interessante, a quanto pare a dispetto di alcuni, perché mette in chiaro alcuni punti importanti per la determinazione di una buona qualità della pasta. credo che sia educativo per il consumatore curioso che voglia apprendere di più su ciò che acquista. grazie.
non mi tornano molte cose in questo articolo.
la prima è che sembra che chi scrive non abbia mai cotto la pasta. Se si rispettano i tempi di cottura che tutte le marche indicano sulle confezioni avrete colla. Quindi la pasta che non scuoce non so dove la comperiate.
Ad un certo punto si scrive:la quantità di proteine ha un ruolo prevalente rispetto al glutine….e il glutine cos’è? bohh…wikipedia dice che una lipoproteina…ma non mi spingo oltre non è il mio campo.
poi avete chiesto ad Agnesi quanto tempo impiega ad essiccare la pasta: chi vi ha risposto? il custode? ha chiuso il 15 /12/2016.
Insomma un po’ di dubbi qua e là mi fanno sospettare. io non ho competenze in materia, io cuocio la pasta e la mangio e mi accorgo molto bene della qualità della pasta.
Ecco i dubbi chiariti: la quantità di proteine ha un ruolo prevalente rispetto alla tenacità ed elasticità del glutine ovvero alla qualità degli aminoacidi. Il dato dei produttori è stato comunicato nel mese di ottobre 2016.
Agnesi continua ad esistere, ha chiuso lo storico stabilimento ligure, attualmente viene prodotta in Piemonte
“….Se si rispettano i tempi di cottura che tutte le marche indicano sulle confezioni avrete colla.”
Mangio SOLO Pasta DE CECCO dalla nascita (ho quasi 50 anni) e se rispetto le indicazioni di cottura la pasta risulta sempre dura (per i miei gusti) quindi con la pasta di qualità come vedi il problema colla non sussiste…
“che tutte le marche…” perchè ha fatto la prova con tutte le paste in commercio?
Ringrazio tutti per le spiegazioni, rimane il fatto che la pasta non la cucinate e nemmeno la fate in casa.
Ah …..i prezzi: nessuno paga la pasta 1,29. GAROFAL DE CECCO, DEL VERDE , VOIELLO hanno prezzi simili, ma girando i supermercati ce n’è sempre almeno una a 0,79 o giù di lì.
La pasta quindi viene venduta più o meno tutta allo stesso prezzo.Cartello???
“rimane il fatto che la pasta non la cucinate e nemmeno la fate in casa” ci inviti a casa sua allora visto che a leggerla sembra essere lei l’unico a farla in casa…così magari ci da lezioni in materia! 🙂
Condivido il pensiero del Sig. Luca , nella metà degli anni ’80 , in Emilia si coltivava solo Creso, era un grano da cui si ottenevano elevate quantità’ per ettaro coltivato , rispetto alle misere quantita’ ottenute in Puglia di varietà viceversa eccelse, nel granaio d’Italia . Era e forse lo è un grano dal peso ettolitrico elevato ma con ceneri alte che produceva e forse produce semole grigie , da qui la colorazione scura della pasta grazie alla gelificazione dell’amico data l’alta temperatura di essiccazione.
Capisco che è argomento goloso di allarmismo condiviso per le bufale social-scandalistiche tanto di moda, ma IL CRESO non è nè radioattivo nè mutageno nè fa la bua ai pupi e oltretutto è ormai seminato in meno dell’1% degli appezzamenti cerealicoli italiani.
Il grosso delle varietà di grano duro usate in Italia è frutto di tradizionale miglioramento genetico con incrocio e selezione delle linee ottenute….moltissime nipotine di Cappelli.
Orsù, un bel piatto di pasta rimane tra le cose più salutari della cucina mondiale.
“Le semole di grano duro si differenziano dalle farine di grano tenero proprio sul colore e l’effetto traslucido. Ricordo che la pasta dev’essere fatta con solo semola di grano duro, questa, se di buona qualità, ha un colore giallo acceso e mai bianco ed opaco!”
Volevo evidenziare l’assurdità dell’affermazione, dato che la pasta Benedetto Cavalieri (considerata da molti, soprattutto gli spaghettoni, esperti come una delle migliori paste esistenti e che di sicuro non si trova nei supermercati) é proprio di un colore bianco pallido e con un tenore di proteine piú basso rispetto a qualche pasta da discount)
Inoltre, è anche interessante il fatto che il grano italiano non è necessariamente il migliore per produrre la pasta italiana, il che spezzerà sicuramente il cuore a molti pseudo-paladini della presunta superiorità italica.. ma tant’è, la verità spesso contraddice l’ideologia.
DA QUARANTANNI MANGIO PASTA DI OGNI GENERE BIOLOGICA, L’ANNO SCORSO HO AVUTO LA FORTUNA DI ASSAGGIARE PER LA PRIMA VOLTA LA PASTA SEMPRE BIO FATTA CON UNA VECCHIA VARIETA’ DI FRUMENTO TENERO ABRUZZEZE DENOMINATO ” SOLINA” (TRITICUM AESTIVUM) E POSSO DIRE CHE PER ME E’ LA PASTA MIGLIORE DEL MONDO. ALLORA VUOLE DIRE CHE SI PUO’ UTILIZZARE ANCHE IL GRANO TENERO.
ALL’EGREGIO LA PIRA VOLGO GRANDI COMPLIMENTI PER LA COMPETENZA CHE POSSIEDE E LO RINGRAZIO PERCHE’ NON E’ POSSIBILE CHE ALCUNI PRODOTTI CHE CONOSCIAMO DA SEMPRE VENGANO VENDUTI A PREZZI COISI’ BASSI ED ASSURDI, E’ LO STESSO DISCORSO DELL ‘OLIO D’OLIVA E.V.
CORDIALISSIMI SALUTI.
Sig. Renato,
la pasta alimentare secca dev’essere secondo la legge 580 del 4 luglio 1967 di sola semola di grano duro, non è assolutamente permesso utilizzare farina di grano tenero perché si abbasserebbe la qualità del prodotto.
La lungimiranza di questa legge ha permesso all’Italia di differenziarsi nel mercato mondiale ed ha permesso alle aziende italiane di presentarsi con un prodotto di molto superiore alla concorrenza che utilizzavano miscele comprensive di farina di grano tenero. Ad un certo punto però l’industria ha trovato altri metodi per abbassare la qualità: alzare le temperature.
Sig. Andrea,
il grano Creso è sicuramente diverso da altri grani più antichi, noi lavoriamo entrambi ma non abbiamo trovato grosse differenze né sul colore del prodotto finito, né sul glutine, che è di buona qualità, né sulla digeribilità.
Sicuramente ha una quantità maggiore di glutine ma questo non è per forza un pregio come ci hanno abituato a credere.
Il problema è quali parti del chicco vengono macinate e che qualità ha il grano utilizzato. Come regola da utilizzare nei supermercati più la pasta è gialla e trasparente migliore è la qualità della semola utilizzata.
Egr. Sig. Fabrizio buongiorno,
non volevo sollevare nessun allarmismo sulla varietà Creso , me ne guardrei bene in quanto è comunque una varietà di grano duro .
Condividevo il pensiero del Sig. Luca circa la non eccelsa qualità dovuta al colore delle semole e farine che si ottengono dalla sua molitura .
Che poi si possa utilizzare per produrre pasta , lo decideranno i pastai se non hanno altro di megio da pastificare .
Le parla un appassinato mangiatore di pasta .
Per quanto attiene alle considerazioni del Sig. Luca Palandri sul Creso , prendo atto delle Sue considerazioni e, mi piace aver letto dal diretto utilizzatore delle varie qualità di cereali la frase ” il problema è quali parti del chicco vengono macinate ” .
Tralasciando la crusca che si ottiene dalla molitura di un cereale, le rese per q.le grano dovrebbero essere lo specchio di cosa si pastifica .
Non sapevo che il creso fosse utilizzato ad oggi sono nell’1% della produzione , e per il resto cosa si usa …..tutti grani antichi??:)
in merito al fabbisogno totale di grano per la produzione sarebbe interessante poter sapere la distinzione tra e quantità necessarie per la produzione per il consumo interno rispetto a quella destinata all’export per DEFINIRE una volta e per tutte questa questione DEL “NON NE ABBIAMO A SUFFICIENZA” ……… ma per chi ???
per il consumo nazionale o per le industrie che vogliono aumentare le loro esportazioni????
per carità non c’è nulla di male nel poter produrre di piu’ e vendere molto anche all’estero …anzi !
non mi sembra giusto però utilizzare tale giustificazione quando i fini sono DIVERSI.
per il Sig. Luca, le sarei grato se potesse darmi qualche indicazione circa il suo commento rispetto al perchè i controlli alle frontiere non vengono fatti.
in ogni caso……..articolo molto interessante. Cosi come fatto con la campagna sull’olio di palma , potrebbe essere interessante “coinvolgere” le aziende produttrici e suggerire loro di indicare sulle confezioni il “metodo di essiccazione (temperature massime e durata”)
sempre PER ….dare a noi che acquistiamo un parametro in più che vada aldilà del SOLO (pur importante) prezzo finale
Sig. Marco,
parlando con un carabiniere del NAS mi venne spiegato che le analisi, perché siano valide, devono essere fatte su almeno un centinaio di campioni dello stesso carico, prelevati da zone diverse della stiva.
Siccome non ci sono soldi per le analisi in generale, queste che sono anche più costose, non vengono proprio fatte.
Nella mia azienda sono venuti qualche volta per fare dei controlli ma senza mai prendere campioni di prodotto per analizzarli. Alla nostra curiosità, visto che per fortuna non abbiamo niente da temere, ci hanno risposto che purtroppo non hanno i reagenti per poter fare le analisi.
In un’altra occasione degli agenti del Ministero delle Politiche Agricole e Forestali sono venuti per un controllo di routine, anche loro senza reagenti e addirittura senza auto, sono arrivati e se ne sono andati in tram.
Queste sono le condizioni in cui chi dovrebbe proteggere i nostri interessi è abituato ormai a lavorare da anni e questo è il motivo perché ogni tanto tutte queste “bufale orecchiabili e suadenti” sarebbe meglio approfondirle..
Tabella – Seme certificato (% su totale) dal CREA-SCS (già ENSE) dal 2007 al 2015 per le prime 10 varietà di frumento duro del 2015.
Varietà Iscrizione
Registro
n. anni Seme certificato (% sul totale)
Iride 20 10,0
Saragolla 12 7,7
Simeto 28 7,2
Core 8 6,0
Odisseo 5 4,6
Claudio 18 4,0
Achille 10 3,8
Levante 14 2,5
Tirex 9 2,3
Quadrato 17 2,0
Totale (t*1000) (210)
Le principali varietà usate sono queste: semplici miglioramenti da incrocio tradizionale alcune già un pò vecchiotte, che non hanno mai fatto e continuano a non fare la bua a nessuno (il Creso cattivone, che cattivone non è mai stato, anzi, è cmq giù giù in classifica….
L’export di un eccellenza agro-alimentare come la pasta qualifica il Paese , permette (ha permesso fino ad oggi, ma se fa schifo…) ottime entrate valutarie di cui si giovano tutti, sicuramente in primis gli industriali, ma poi molti altri attori della filiera, mantenendo un discreto livello di benessere diretto ed indiretto che forse si apprezzerebbe di più al momento di perderlo. La parte agricola, protagonista trascurata della filiera ha giustamente rivendicato il suo ruolo e reclama una migliore remunerazione dell’ottima materia prima che GENERALMENTE (ma non sempre) fornisce. Anche i consumatori possono indirizzare queste scelte puntando a prodotti 100% grano italiano a lenta essiccazione, mettendoci però qualche centesimo in più, visto il prezzo molto basso rispetto all’ottima qualità, e un pò di strilli alla Luna in meno.
L’economia CHIUSA curtense neomedievale placherebbe i forcaioli antiEuropa antiestablshment, anti politici, anticondominovicinodicasa (che forse è pure un perfido nullafacente statale), ma storicamente ha mostrato chiaramente limiti economici e aumento della povertà.
Bene …… allora penso sia arrivato il momento di far “contenti tutti” , oppure no?
Produttori, parti agricole trascurate, consumatori,
e senza “schifare nessuno” e rischiare di perdere entrate e benessere.
Rispetto a questo aspetto poi secondo me bisognerebbe chiamare un “buon matematico” e chiedergli di calcolare specificatamente una equazione : chi/quanto/dove/come/cosa ci ha guadagnato e chi invece nello stesso tempo ci ha perso, chiedendogli di fare molta attenzione nel non farsi sfuggire “tutti i parametri della EQUAZIONE”.
Dal mio punto di vista (consumatore) sembra che l’attenzione maggiore è stata sempre focalizzata al …primo attore……. !!
Ci sarà stata “l’esigenza” di non di non porre troppa attenzione al fatto che di italiano c’è stato sempre e sopratutto il luogo di produzione ed il processo di lavorazione tralasciando invece l’informazione circa la provenienza della materia prima. Cosi come forse c’è stato il bisogno di promuovere “limiti di legge europei” per consentire l’ingresso di materie prime dall’estero sempre per favorire “un certo benessere”.
Una equazione alquanto complessa a mio parere e che poi inevitabilmente rischia di scontrarsi con delle scelte personali che non necessariamente considerano come prioritario il benessere economico.
Le varie risposte sono tutte molto interessanti e fatte da persone molto qualificate.
La mia famiglia produce pasta seguendo il sistema tradizionale ( buone semole, impasto con acqua fredda, ecc.)
ma vorrei, in particolare, sottolineare, considerato che l’argomento su cui è iniziata la discussione era l’alta temperatura che nei miei essiccatoi, costruiti prima dell’ultima guerra, la temperatura oscilla tra i 32 e i 35°,
per ottenere uno spaghetto che molti ritengono buono. Il commento a Voi. Grazie per l’attenzione.
Sig. Martelli,
ci siamo anche conosciuti personalmente qualche anno fa.
La sua è una delle pochissime paste alimentari che apprezzo.
Quando il produttore fa determinate scelte commerciali, ponendo la qualità al primo posto, non si può che ammirare.
Ma qual è il marchio della.pasta che produce?
grazie Sig. Luca
la ringrazio
se non sono indiscreto posso chiederle che materia prima trattate ed in quale regione risiede la sua azienda?
non voglio rintracciare l’azienda solo fare qualche confronto
in teoria se ho capito bene i NAS dovrebbero “scovare” mistificazioni e questa attività è diversa invece dai controlli standard da effettuarsi ai controlli sulle merci provenienti dall’estero
altro ancora è invece i controlli sanitari fatti direttamente presso l’azienda
In ogni caso purtroppo il quadro relativo a questi controlli in generale è sconfortante visto che il ns paese non ha i fondi ed i mezzi e non solo nella sua regione.
un controllo specializzato costa dai 250 ai 500 euro a salire ……e ci vogliono laboratori specializzati
avrei voluto aggiungere questa sua testimonianza in un paio di vecchi post dove si discuteva appunto di controlli sanitari (“tutti uguali a livello europeo”….e certificazioni bio rilasciate in paesi extracomunitari…)
mahh …… poveri noi..
Non ci sono problemi, trattiamo semola di grano duro e l’azienda è in Toscana.
Proposta indecente per i produttori, ma molto corretta per i consumatori:
Indicare in etichetta “PASTA PRECOTTA” oppure “PASTA PARBOILED” quella essiccata, si fa per dire, perché è proprio precotta come il riso, a temperature superiori a quella di gelatinizzazione dell’amido.
La proposta non è assolutamente indecente ma si può impostare meglio.
La pasta in essiccazione sviluppa una sostanza che non esiste in natura, la furosina, e la quantità di questa sostanza è direttamente proporzionale alla temperatura utilizzata.
Ci sono diversi studi in merito ma è difficile trovare informazioni su questo argomento, “Il fatto alimentare” ha scritto un buon articolo: http://www.ilfattoalimentare.it/pasta-spaghetti-essiccazione-temperatura.html
Basterebbe quindi indicare sulle confezioni la quantità di furosina contenuta nella pasta ed utilizzarlo come marker di qualità.. ma ovviamente nessuno lo vuole.
Oltretutto questa sostanza è anche nociva e crea diversi problemi al nostro organismo: https://it.wikipedia.org/wiki/Furosina
Concordo con la proposta di Luca:
-il tenore di Furosina in etichetta per garantirne il valore nutrizionale;
-la dicitura “Precotta” dopo la parola Pasta, per una diretta e reale comunicazione al cliente consumatore poco informato (tutti o quasi).