Gli insetti sono un’ipotesi sempre più concreta tra le possibili scelte alimentari, anche in Europa. Per questo motivo le istituzioni iniziano ad affrontare l’argomento in vista anche di una necessaria regolamentazione della filiera di produzione. Riprendiamo un documento appena pubblicato dall’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie in cui si fa luce su differenti aspetti di questa risorsa alimentare.
Insetti, il cibo del futuro tra rischi alimentari e aspetti nutrizionali
Nel 2050 saremo più di 9 miliardi di persone, vivremo su un pianeta con risorse sempre più scarse, meno terre coltivabili a disposizione, inquinamento delle acque, deforestazioni provocate dal pascolo e surriscaldamento del clima globale. Come far fronte a una tale situazione, senza contare che già attualmente 800 milioni di persone soffrono la fame? Gli insetti sono una delle possibili risposte che da qualche tempo circolano fra gli esperti alimentaristi e nutrizionisti di tutto il mondo.
Al di là delle (doverose) riflessioni sulla food equity e lo spreco alimentare, secondo la FAO più di 2 miliardi di persone fanno già uso di insetti per fini alimentari e le specie commestibili in commercio sono oltre 1.900. L’Europa ancora non ha autorizzato la vendita di insetti, ma negli ultimi mesi qualcosa si è mosso.
Le normative europee circa il consumo di insetti per uso alimentare sono piuttosto chiare e restrittive: gli insetti rientrano nella definizione di “Novel Food” – Regolamento (CE) 258/97 – ovvero tutti quei prodotti e sostanze alimentari per i quali non è dimostrabile un consumo significativo all’interno dell’Unione europea. Tuttavia alcuni stati membri dell’UE hanno interpretato a proprio modo il Reg. (CE) 258/97 e hanno escluso dalla definizione di “Novel Food” gli insetti ammettendone, dopo alcune valutazioni del rischio, la distribuzione nel loro territorio. Esempi in questa direzione sono l’Olanda e il Belgio, dove prodotti a base di insetto sono in vendita nei supermercati già da diverso tempo. Il Regolamento risale al 1997, ma recentemente è stata approvata dal Parlamento europeo una relazione che semplifica le procedure di autorizzazione dei cosiddetti Novel Food. Il testo dovrà essere votato dal Consiglio.
Lo scorso ottobre è stata anche emanata una Opinion dell’EFSA, l’Autorità europea per la sicurezza alimentare, in cui gli esperti hanno evidenziato che la potenziale insorgenza di pericoli microbiologici è prevedibilmente simile a quella associata ad altre fonti di proteine non trasformate, nel caso in cui gli insetti vengano nutriti con sostanze per mangimi attualmente autorizzati.
Il nuovo Regolamento comunitario è atteso da molti anni e avrà il merito di fare chiarezza sulla questione includendo esplicitamente gli insetti tra i Novel Food. Esso tuttavia introduce una procedura autorizzativa semplificata per gli alimenti considerati tradizionali in paesi terzi, tra cui gli insetti, facilitando il loro ingresso sul mercato. Restano tuttavia degli importanti interrogativi: da quando sarà applicabile il nuovo regolamento? Che evidenze saranno necessarie per dimostrare la “tradizionalità” del consumo?
Un primo assaggio di insetti è già stato fatto anche in Italia. Nel padiglione belga dell’Expo, oltre ad essere offerta birra caratteristica, si mangiavano anche prodotti a base di insetti. Le imprenditrici belghe Sophie e Géraldine Goffard hanno portato in Italia pasta fresca e paté a base di Tenebrio Molitor (tarma della farina). Ma non sono le sole: la compagnia belga Green Kow è stata la prima in Europa a offrire prodotti contenenti insetti da distribuire nei negozi. Anche in Francia ci sono degli store online come Insectes comesitbles e La boutique insolite che offrono snack a base di insetto. Il consumo di insetti sembra essere una pratica routinaria invece negli Stati Uniti, dove diverse startup hanno investito in questo settore producendo cioccolata e farine, spesso con attività di e-commerce.
Il maggior ostacolo da superare nel consumo di insetti è il pregiudizio culturale. In Olanda è stato fatto uno studio sul pregiudizio dell’informazioni che caratterizza il consumatore europeo nei confronti degli insetti. Dalla ricerca è emerso che il tabù e il disgusto sono due componenti molto importanti, ma anche il fattore comunicativo è di fondamentale importanza nella considerazione degli insetti come alimento. Gli insetti potrebbero rappresentare una scelta valida sia dal punto di vista nutrizionale sia dell’impatto ambientale. Essi infatti sono una fonte di cibo altamente nutriente perché forniscono proteine di alta qualità paragonabili a quelle fornite dalla carne e dal pesce.
Sempre secondo la FAO, dal punto di vista ambientale, gli insetti presentano un’alta efficienza di conversione nutrizionale, in media possono convertire 2 Kg di cibo in 1 Kg di massa, laddove un bovino necessita di 8 Kg di cibo per produrre l’aumento di 1 Kg di peso corporeo.
I criteri di introduzione delle specie edibili in Europa saranno definiti a partire dalle liste già compilate da alcuni Stati membri, e sulla base degli insetti di cui è più facile dimostrare il consumo tradizionale in Paesi terzi. Probabilmente grilli, cavallette e tarme delle farina saranno tra le prime specie a comparire sulle nostre tavole. Nel mondo si consumano più di 1.900 specie di insetti, quelli più comunemente usati come cibo sono:
- coleotteri (31%);
- lepidotteri (bruchi, 18%);
- api, vespe e formiche (imenotteri, 14%),
- cavallette, locuste e grilli (Ortotteri, 13%);
- cicale, cicaline, cocciniglie e cimici (Emitteri, 10%);
- termiti (Isotteri, 3%);
- libellule (Odonati, 3%);
- mosche (Ditteri 2%).
Il riconoscimento ufficiale degli insetti come alimento per l’uomo non può prescindere dalla presenza di dati microbiologici e chimici che ne attestino la sicurezza per il consumatore. Ricercatori dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie hanno svolto attività di consulenza scientifica sul tema dei possibili rischi alimentari derivanti dal consumo di insetti, con la stesura della parte relativa agli aspetti igienico sanitari, e il coordinamento anche della parte legislativa.
I ricercatori IZSVe hanno prodotto due review su riviste scientifiche internazionali e una su una rivista nazionale sottolineando i metodi di cottura e la temperatura per eliminare il rischio di infezione (vedi i riferimenti delle pubblicazioni nel paragrafo finale “Per approfondire”).
Hanno inoltre partecipato al gruppo di lavoro italiano per la stesura di un White paper sugli insetti commestibili, presentato alle autorità nel corso di Expo 2015, e al gruppo di lavoro di EFSA sui rischi correlati all’utilizzo di insetti come alimenti e mangimi.
Nonostante il crescente entusiasmo, rimangono numerosi punti interrogativi che riguardano principalmente i rischi, le capacità produttive degli allevamenti e l’impatto ambientale. Non ultimo, anche il reale interesse dei consumatori circa il possibile consumo abituale di insetti in sostituzione della carne.
Le conoscenze attuali sui possibili rischi legati al consumo di insetti non sono ancora sufficienti a garantire pienamente il consumatore. Si è soliti giustificare a priori il loro utilizzo affermando che il consumo in altri Paesi non ha mai evidenziato particolari rischi. Il problema è capire come sono stati svolti questi studi. Sicuramente la ricerca dei comuni patogeni alimentari è utile per escluderne la presenza e salvaguardare il consumatore ma studi approfonditi dovrebbero escludere la possibilità che altri microrganismi trovati sugli alimenti possano causare problemi. Un discorso simile può essere fatto per i pericoli chimici. In entrambi i casi le condizioni di allevamento, in particolare la scelta del substrato, sono di notevole importanza. Le caratteristiche del substrato, infatti, impattano sulla flora microbiologica degli insetti in modo molto marcato.
L’Opinion EFSA è stata strutturata proprio per far emergere le differenze di rischio in relazione alla scelta del substrato, e la trattazione riguardo alcuni pericoli biologici come i prioni (agenti eziologici della “mucca pazza”) rappresentano un esempio di questi ragionamenti basati sul substrato. Se è possibile ipotizzare che i rischi siano molto bassi in caso di utilizzo di mangimi e sottoprodotti vegetali, non è possibile prevedere, senza solide basi scientifiche (attualmente assenti) i rischi derivanti dall’utilizzo di substrati ad alto rischio microbiologico come le deiezioni animali. Dal punto di vista chimico, dovrebbero essere valutati i rischi derivanti dal possibile accumulo di sostanze pericolose, anch’esso strettamente legato alle caratteristiche del substrato utilizzato.
La concentrazione di animali in ambienti ristretti sicuramente pone alcune criticità igienico-sanitarie. Gli allevamenti intensivi e semi-intensivi rispondono alla necessità di produrre grandi quantitativi di alimenti di origine animale, coniugando logiche di profitto e di gestione. Questo tipo di allevamento consente un miglior controllo delle condizioni ambientali e della biosicurezza (intesa come l’insieme di misure volte a evitare l’ingresso di pericoli biologici nell’ambiente di allevamento), fattori che, anche nell’allevamento di insetti, risultano essere molto importanti.
Nel caso degli insetti, inoltre, i grandi numeri sono necessari per raggiungere volumi di produzione “interessanti” per il settore alimentare. Il problema quindi non è l’allevamento intensivo in sé, quanto come vengono/verrebbero gestite eventuali lacune nel sistema di biosicurezza. Ci sono alcuni agenti patogeni che sono in grado di decimare – se non annientare – le popolazioni di insetti dell’allevamento con importanti perdite economiche.
Come vengono gestite queste problematiche? Nella recente Opinion EFSA si sottolinea come in certi casi, anche negli allevamenti di insetti, si faccia ricorso agli antibiotici. Di conseguenza le problematiche legate ai residui e al possibile aumento del livello di antibiotico-resistenza della popolazione batterica non sono da trascurare. Tali trattamenti non possono che essere somministrati in massa agli animali con pratiche assimilabili a quanto avviene in acquacultura o negli allevamenti di pollame, con il rischio di alta dispersione dei principi attivi. Per far fronte a questi possibili scenari di rischio andrebbe sviluppata una normativa adeguata, simile a quella esistente per gli altri animali allevati, che al momento non esiste. Non dimentichiamo poi le problematiche, ancora inesplorate, relative al benessere degli insetti.
Per quanto riguarda l’impatto ambientale di eventuali residui d’allevamento e sottoprodotti di lavorazione non possiamo dire molto, in quanto la competenza in campo ecologico degli Istituti Zooprofilattici è limitata. Ci sono sicuramente delle attenzioni da avere nella scelta delle specie da allevare, pensando a possibili fughe dall’allevamento, in modo da non turbare equilibri ecologici. Le deiezioni sembra che possano essere utilizzate come compost e andare incontro quindi a un facile smaltimento; è difficile che presentino gli stessi problemi dell’allevamento bovino.
La sostenibilità della produzione di insetti sembra essere il punto di forza di questo settore. La necessità di diversificare la dieta e di ridurre il consumo di carni è nota e risponde a ragioni di aumentata domanda, di impatto ambientale ed etiche. Il bisogno c’è, le ragioni anche: mancano le autorizzazioni legislative.
Per approfondire
Belluco S., Losasso C., Maggioletti M., Alonzi C. C., Paoletti, M. G., & Ricci, A. (2013). Edible insects in a food safety and nutritional perspective: a critical review. Comprehensive Reviews in Food Science and Food Safety,12(3), 296-313.
Belluco S., Losasso C., Maggioletti M., Alonzi, C. C., Ricci, A., & Paoletti, M. G. (2015). Edible insects: a food security solution or a food safety concern. Anim. Front., 5(2), 25-30.
Belluco S., Mantovani A., & Ricci, A. (2015). Il consumo di insetti dal punto di vista della sicurezza alimentare, XXVI. Gli insetti: una risorsa sostenibile per l’alimentazione, Atti della Accademia Nazionale Italiana di Entomologia, Anno LXIII, 21-28.
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Sono curiosa di sapere, se per un kilogrammo de carne sono necessari 15000 litri d’acqua, quanta acqua è necessaria per produrre no l’equivalente in peso di vegetali, ma di valore nutriente a un kg di carne. spero di essere stata chiara, grazie e cordiali saluti.
Qui avevamo pubblicato un articolo sull’impronta idrica (water print): http://www.ilfattoalimentare.it/impronta-idrica-dei-cibi.html