Filiera corta in Romania: il 51% dei prodotti venduti nei supermercati dovrà essere nazionale o regionale. Critiche dalla grande distribuzione
Filiera corta in Romania: il 51% dei prodotti venduti nei supermercati dovrà essere nazionale o regionale. Critiche dalla grande distribuzione
Eleonora Viganò 19 Luglio 2016In Romania, la Camera dei deputati ha approvato all’unanimità una proposta di legge che modifica la normativa del 2009 sul commercio dei prodotti alimentari. Il nuovo provvedimento stabilisce che nei supermercati il 51% di frutta, verdura, carne, uova, miele, latticini e prodotti da forno, dovrà essere di provenienza regionale o nazionale. Negli ambienti governativi qualcuno ipotizza che in un secondo momento il governo potrebbe includere anche zone di confine con altri Paesi, come Bulgaria e Ungheria. Nel periodo invernale, tra dicembre e febbraio, la percentuale di prodotti locali a filiera corta potrà scendere al 30%.
La nuova legge, che per entrare in vigore deve essere promulgata dal Presidente della Repubblica, presenta dei problemi interpretativi. Non viene chiarito se per prodotto locale si possa intendere anche un alimento i cui ingredienti sono importati ma che viene lavorato e confezionato in Romania. Il Consiglio per la concorrenza non ha contestato il carattere protezionistico della legge, pur esprimendo dubbi sulla possibilità che ci sia un numero sufficiente di fornitori per tutti i tipi di prodotti, in grado di garantire il rispetto della quota del 51%. Ci sono forti dubbi che la legge possa superare l’esame dell’Unione europea, le cui norme sul mercato unico garantiscono la libera circolazione delle merci.
Forti critiche vengono dall’Associazione della grande distribuzione romena (AMRCR), secondo cui la norma ha una volontà punitiva nei confronti della grande distribuzione, e ridurrà le possibilità di scelta dei consumatori oltre ceh essere difficilmente praticabile.
redazione Il Fatto Alimentare
Una norma del genere non passerà il vaglio di Bruxelles: è tempo perso della camera rumena.
Il trattato del 1957 che istituisce la Comunità economica europea prevede nella Parte prima (Principi) all’articolo 3 (ex articolo 3), che l’azione della Comunità comporta:
c) un mercato interno caratterizzato dall’eliminazione, fra gli Stati membri, degli ostacoli alla libera circolazione delle merci, delle persone, dei servizi e dei capitali;
d) l’instaurazione di una politica comune nel settore dell’agricoltura;
(…)
f) un regime inteso a garantire che la concorrenza non sia falsata nel mercato interno.
Il successivo articolo 10 (ex articolo 5) prevede che gli Stati membri adottino tutte le misure di carattere generale e particolare atte ad assicurar l’esecuzione degli obblighi derivanti dal Trattato, e si astengano da qualsiasi misura che rischi di compromettere la realizzazione dei suoi scopi.
L’articolo 12 (ex articolo 6) vieta ogni discriminazione effettuata in base alla nazionalità.
L’ articolo 28 (ex articolo 30) vieta fra gli Stati membri restrizioni quantitative all’importazione nonché qualsiasi misura di effetto equivalente; dette restrizioni sono ammesse dall’articolo 30 (ex articolo 36) solo per motivi di moralità pubblica, di ordine pubblico, di pubblica sicurezza, di tutela della salute e della vita delle persone e degli animali, di preservazione dei vegetali, di protezione del patrimonio storico o archeologico nazionale, di tutela della proprietà industriale e commerciale. Nemmeno in tal caso, tuttavia, le restrizioni devono costituire un mezzo di discriminazione arbitraria né una restrizione dissimulata al commercio tra gli Stati membri.
L’articolo 31 (ex articolo 37) prevede che i monopoli nazionali deviano essere riordinati, escludendo qualsiasi discriminazione fra cittadini degli Stati membri per quanto riguarda le condizioni relative all’approvvigionamento e agli sbocchi. Tali disposizioni si applicano a qualsiasi organismo per mezzo del quale uno Stato membro controlli, diriga o influenzi sensibilmente, direttamente o indirettamente, le importazioni e le esportazioni fra Stati membri.
L’articolo 34 (ex articolo 40) prevede un’organizzazione comune dei mercati agricoli, che deve escludere qualsiasi discriminazione fra produttori o consumatori della Comunità
La giurisprudenza della Corte di giustizia delle Comunità Europee stabilisce che, quando la Comunità ha istituito un’organizzazione comune di mercato in un dato comparto dell’agricoltura, gli Stati membri sono tenuti ad astenersi dal prendere qualsiasi misura che deroghi o rechi pregiudizio a siffatta organizzazione (Causa C-113/2000 Spagna/ Commissione, Racc. 2002 pag. I-7601, punto 73).
E molto altro che non sto qui a citare.
La fregola del “chilometro zero” è incompatibile con la permanenza nel mercato unico.
Proposte simili negli anni passati sono state portate avanti anche da parlamentari italiani e sono sempre state bocciate giustamente da Bruxelles.
Perché giustamente? Le sembra giusto non tutelare i prodotti tipici di un territorio? I prodotti tipici sono espressione di cultura di un popolo. Rendere tutto uguale attraverso la standardizzazione impoverisce la biodiversità e favorisce solo le grandi multinazionali.
Un buon motivo per abbandonare il mercato internazionalistico dell’UE.
Capisco le regole, le norme, gli impegni, ma onestamente mi infastidisce vedere prodotto estero anche a prezzi abbastanza elevati a discapito del nostro nazionale. Ad esempio se è tempo di albicocche, di pesche, di ciliegie, di quello che la stagione ci da in Italia, perchè devo trovare quelle turche, greche, keniote ……….. sugli scaffali della GDO Italiana? E’ solo questione di buon senso e di aiuto ai nostri agricoltori, non credete?
Roberto La Pira
20 luglio 2016 at 09:59
“Proposte simili negli anni passati sono state portate avanti anche da parlamentari italiani e sono sempre state bocciate giustamente da Bruxelles.”