Cibo e gastronomia hanno sempre avuto un ruolo importante in letteratura. Un esempio per analizzare questo rapporto, potrebbe essere un’opera famosa che ha dato ispirazione a molti autori successivi. Si tratta di Alla ricerca del tempo perduto di Marcel Proust. In questo romanzo, il protagonista ricorda poco o niente della sua infanzia, ma racconta di come, dopo aver assaggiato un biscotto inzuppato nel tè mentre si trovava a Parigi, gli tornino in mente dei dettagli di quando era piccolo, delle persone che lo circondavano e dei luoghi dove stava. Questa memoria sopraggiunge grazie al sapore della madeleine che gli ricorda il biscotto assaggiato molti anni prima.
Spesso viene citato questo esempio letterario per spiegare che una piccola cosa, come un sapore scordato ma conosciuto, possa riportare con forza alla mente degli attimi della propria vita che si credevano dimenticati. A chi non è successo, sentendo un profumo o un gusto particolare, di ricordarsi in maniera istantanea e vivida di una persona cara o di un evento del passato? Si tratta di memorie involontarie, e la loro rilevanza è tale che è stato creato il termine “sindrome di Proust” per descrive il fenomeno.
Proust, come James Joyce, Virginia Woolf e Italo Svevo, sperimenta con un nuovo metodo di scrittura che si concentra sull’analisi interiore e psicologica dei personaggi attraverso la descrizione dei loro pensieri e delle loro memorie che li condizionano, e lo fa grazie a un alimento.
Che cosa vuol dire tutto questo? Un sapore o un odore possono essere, oltre ad un modo piacevole per passare un momento in solitudine o in compagnia, uno strumento inaspettato per mantenere attiva la mente scatenando con un semplice morso o un veloce respiro una serie di pensieri, di emozioni e di memorie a riprova della nostra umanità e individualità.
Non si sottovaluti il cibo, perché non è solo ciò che tiene in vita il corpo, ma è soprattutto qualcosa che mantiene viva la nostra mente.
Ginevra Capone
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Non è meno vero per i comuni mortali. Personalmente riesco solo ad avvicinare da lontano il sugo (toscano) della mi’nonna.