Polli: nel’84% dei capi macellati ci sono batteri resistenti agli antibiotici. Non è emergenza, ma il problema va affrontato. In Svezia solo il 40%
Polli: nel’84% dei capi macellati ci sono batteri resistenti agli antibiotici. Non è emergenza, ma il problema va affrontato. In Svezia solo il 40%
Paola Emilia Cicerone 17 Ottobre 2013Nei giorni scorsi si è parlato molto dell’indagine realizzata da Altroconsumo sulla presenza di batteri antibiotico-resistenti nelle carni di pollo, individuati nell’84% dei campioni esaminati. Un dato da non sottovalutare, che rappresenta un campanello d’allarme a livello ambientale, ma non un rischio immediato per i consumatori.
La resistenza agli antibiotici è un problema diffuso e grave, perché rischia di rendere inefficaci importanti terapie contro infezioni batteriche. E riguarda anche la filiera alimentare, in quanto gli antibiotici usati dagli allevamenti si diffondono anche nell’ambiente. È nata così l’idea di effettuare un test europeo che chiarisca la reale portata del fenomeno. Sono stati analizzati 250 campioni di petti di pollo per verificare la presenza di enterobatteri, particolarmente inclini a sviluppare un meccanismo di resistenza agli antibiotici. Col risultato che ha fatto scalpore: nell’84% dei 45 campioni comprati in Italia, a Milano e a Roma, sono stati trovati batteri Escherichia coli resistenti agli antibiotici.
Ma quali possono essere le conseguenze per i consumatori, visto che questi batteri vengono eliminati durante la cottura? «Si tratta di uno studio interessante e metodologicamente corretto: probabilmente si è scelto di esaminare il pollame, perché ha dei tipi genetici di resistenza più simili a quelli umani. – Osserva Antonia Ricci, medico veterinario dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie. – È importante però sottolineare che si tratta di batteri non patogeni, presenti nel pollame ma anche in altre carni e nei vegetali, oltre che nella nostra flora intestinale. Sono stati utilizzati dai ricercatori come indicatori di antibioticoresistenza, perché hanno un comportamento analogo a quello dei batteri patogeni, che sono però più difficili da individuare»
Non ci sono quindi pericoli immediati, purché la carne sia consumata ben cotta e vengano rispettate le consuete norme igieniche: lavarsi bene le mani quando si maneggia la carne cruda, lavare con cura posate e utensili utilizzati per la carne e tenere separati in frigorifero gli alimenti crudi da quelli cotti. Il problema è che questi batteri possono trasmettere il loro meccanismo di resistenza ad altri batteri presenti nel nostro organismo, inclusi quelli patogeni «Quello dell’antibiotico-resistenza è un problema diffuso e grave: in zootecnia viene utilizzato circa il 50% del totale degli antibiotici venduti, per il resto il problema è causato dall’uso indiscriminato di antibiotici in medicina umana e soprattutto dalle infezioni ospedaliere» prosegue Ricci.
Il fenomeno comporta un inquinamento ambientale che impone vigilanza: una maggiore presenza di batteri antibioticoresistenti aumenta i rischi per l’uomo che quando deve assumere antibiotici per curare alcune patologie scopre la scarsa efficacia del farmaco poiché incapace di neutralizzare i batteri. La percentuale italiana è piuttosto elevata, soprattutto rispetto a paesi del Nord Europa come la Svezia dove il livello di antibiotico-resistenza non supera il 40%. Sì dunque a un attento monitoraggio e maggiore sicurezza negli allevamenti, che andrebbe anche a favore delle condizioni di vita degli animali, no all’allarmismo ingiustificato.
Paola Emilia Cicerone
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giornalista scientifica