“In Italia non si usano anabolizzanti per l’allevamento dei bovini”! L’ennesima favola del Ministero della salute che nega l’evidenza dei fatti
“In Italia non si usano anabolizzanti per l’allevamento dei bovini”! L’ennesima favola del Ministero della salute che nega l’evidenza dei fatti
Roberto La Pira 4 Settembre 2014Secondo il rapporto pubblicato il 2 settembre 2014 dal Ministero della salute, la quasi totalità delle analisi condotte l’anno scorso sui bovini risultano conformi. Su un totale di 38.250 campioni esaminati all’interno del Piano nazionale residui (PNR) solo 46 hanno evidenziato irregolarità (*).
Dopo avere letto il documento il lettore avverte un certo sollievo nel sapere che negli allevamenti tutto funziona in modo quasi perfetto. Io personalmente mi sono sentito preso in giro, perché “le sostanze e i residui che potrebbero costituire un pericolo per la salute pubblica, come le sostanze a effetto anabolizzante e quelle non autorizzate…” di cui si parla il documento, forse non ci sono nelle carni macellate, ma vengono regolarmente utilizzate in centinaia di allevamenti.
I controlli realizzati seguendo le metodiche ufficiali sono oramai da considerarsi inutili, perché non permettono di identificare la frode, tanto che la ricerca delle sostanze vietate nella quasi totalità fornisce esito negativi. Le autorità sanitarie utilizzano infatti metodiche costose del tutto superate, che non consentono di evidenziare l’eventuale somministrazione fraudolenta di anabolizzanti, ormoni e altri medicinali classificati come tossici e cancerogeni, utilizzati per incrementare del 10-15% la massa muscolare degli animali. Negli allevamenti vengono somministrati agli animali micro dosi di diversi medicinali vietati, che sono metabolizzati in poco tempo. In questo modo la presenza nel sangue si riduce in tempi brevi e le analisi evidenziano l’impiego fraudolento solo a distanza di pochissimi giorni dal trattamento (di solito la somministrazione viene effettuata il venerdì sera quando si è sicuri che per due giorni non ci saranno controlli).
Dal 2008 in Italia esiste un piano di monitoraggio realizzato valutando attraverso l’analisi istologica della ghiandola del timo degli animali macellati i cambiamenti indotti dalle sostanze utilizzate a scopo anabolizzante. Il test non è tuttavia riconosciuto come metodo ufficiale. La legislazione europea prevede che i metodi debbano identificare la molecola e i quantitativi, mentre il metodo istologico è un metodo qualitativo e permette di vedere le lesioni causate dal trattamento illegale realizzato con cortisonici, steroidi sessuali, tireostatici. Il vantaggio del metodo istologico è che costa pochissimo ed evidenzia le lesioni nei tessuti anche molto tempo dopo il trattamento fraudolento. In questi anni diversi studi hanno riscontrato fino al 15% di positività tra i capi macellati. Si tratta di dati preoccupanti che l’intero settore delle carni cerca di ignorare a dispetto della serietà dei laboratori che hanno condotto le ricerche. Oltre a questi elementi basati sull’analisi istologica c’è un’altra novità da sottolineare.
L’Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle D’Aosta, nell’ambito di un progetto finanziato dal Ministero della salute, assieme al CIBA (Centro di Referenza Nazionale per le Indagini Biologiche sugli Anabolizzanti Animali) e al laboratorio di Genetica ed Immunobiochimica, hanno realizzato uno studio sulle proteine nel sangue per identificare quelle presenti solo quando i corticosteroidi sono usati come anabolizzanti. In questo modo basterebbero dei semplici prelievi per scoprire la pratica illecita. I ricercatori hanno analizzato 23 animali, 10 trattati sperimentalmente con desametasone a scopo anabolizzante, 10 trattati con lo stesso farmaco a scopo terapeutico e 3 non trattati. Sugli animali sono stati eseguiti diversi prelievi di sangue nel corso del trattamento. I campioni sono stati analizzati attraverso l’elettroforesi bidimensionale: un procedimento che permette di isolare e “vedere” le proteine presenti nel campione. Le ricerche vengono svolte in sinergia tra gruppi di ricerca diversi allo scopo di migliorare le tecniche di analisi
Questa analisi ha permesso di ottenere mappe proteiche il cui confronto ha evidenziato la scomparsa di una proteina al termine del trattamento anabolizzante, che invece continua ad esistere negli animali trattati a scopo terapeutico e in quelli del gruppo di controllo. L’applicazione di questo esame molto rapido – se convalidato – potrà essere utilizzato su un numero elevato di animali per individuare quelli che hanno subito un trattamento prima dell’invio al macello.
Aspettiamo con fiducia che queste metodiche vengano al più presto validate ufficialmente, solo così si potrà effettuare un monitoraggio serio sullo stato di salute dei nostri animali da reddito. L’introduzione della nuova analisi permetterà di risparmiare decine di migliaia di euro destinate a test molto costosi ma inutili, il cui unico scopo è supportare report come quello diffuso ieri dal Ministero dove si racconta una realtà simile alla favola di Biancaneve.
(*) Più precisamente 13.850 analisi hanno riguardato la ricerca di residui di sostanze ad effetto anabolizzante e sostanze non autorizzate negli animali, mentre 24.400 hanno riguardato la ricerca di residui di medicinali veterinari e agenti contaminanti nei prodotti di origine animale, come miele, latte, uova.
Roberto La Pira
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Giornalista professionista, direttore de Il Fatto Alimentare. Laureato in Scienze delle preparazioni alimentari ha diretto il mensile Altroconsumo e maturato una lunga esperienza in test comparativi. Come free lance si è sempre occupato di tematiche alimentari.
Caro La Pira, ma perché si accanisce con questa storia degli anabolizzanti? I suoi reportage sono sempre interessanti ma non capisco: la massima autorità di sanità pubblica le dice che non ci sono problemi e lei deve per forza trovare il marcio anche dove le si dice che non c’è? Eppure ahimè di truffe e sofisticazione abbondano le cronache!
Io trovo che non sia accanimento ma semplice cronaca, in fondo descriviamo quello che succede ogni giorno in troppe stalle italiane ed europee dove si usano sostanze vietate dalla legge per aumentare in modo illecito il peso dei bovini. Si tratta di un comportamento grave che va avanti da decenni. Lei che termine userebbe?
Purtroppo il marcio c’è eccome come segnalato nell’articolo, e maestri di questa pratica sono gli spagnoli. I 5-10 anni di ritardo nell’adeguamento delle pratiche di controllo potrebbero costarci caro.
State tranquilli, fra poco, quando l’accordo di libero scambio con gli Stati Uniti sarà concluso, saremo invasi da tonnellate di carne a basso prezzo e piena di anabolizzanti.
E’ molto probabile che il fenomeno dell’utitizzo delle sostanze vietate sia più diffuso rispetto a a quanto descritto nel “Piano”, ma l’articolo non cita dati e altri studi che confermino il contrario o una diversa evidenza del fenomeno supportata da una vera indagine giornalistica. Non mi sembra che esprimere mere opinioni sia corretto giornalismo, ma unicamente allrmismo di basso rango: per la cronaca, le sostanze vengono anche cercate in tessuti, come i peli o il bulbo oculare, dove permangono per lungo tempo e la difficoltà è nel rincorerre l’industria chimica che sintetizza continuamente nuove molecole che devono essere identificate e ricercate….
Diego, se ha un ritaglio di tempo, vada a leggere gli articoli che abbiamo publbicato sulla questione degli anabolizzanti nei mesi scorsi e anche qualche anno fa e vedrà che troverà dati e numeri riferiti in lavori redatti da Istituti zooprofilattici e altri ricercatori che si occupano da sempre di questa materia. Non so cosa intenda lei per indagine giornalistica , ma quelli che riportiamo noi sono dati scientifici.
Il problema esiste, è innegabile ma non è facilmente risolvibile. Gli accertamenti da parte dell’autorità competente non possono che essere effettuati rispettando scrupolosamente protocolli e regolamenti spessissimo complicati e farraginosi, pena incorrere in lunghe querelle giudiziarie e nel probabile invalidamento dei campionamenti. Il problema è proprio qui. Ora che un metodo sia validato per identificare legalmente una molecola il mercato nero ne ha già trovate altre più difficili da rintracciare; è una corsa in cui i controllori partono sempre con ritardo. Il ridottissimo numero di campioni positivi lo dimostra ma non rappresenta certo un motivo sufficiente per non fare i controlli. Siamo quindi in attesa di novità scientifiche (e magari anche legislative) che permettano un campionamento veramente efficace e quindi utile.
Un saluto a tutti