Sede dello stabilimento, allergeni al ristorante, cartello unico degli ingredienti. Oggi è arrivata una nota del Governo generica che non tutela i consumatori
Sede dello stabilimento, allergeni al ristorante, cartello unico degli ingredienti. Oggi è arrivata una nota del Governo generica che non tutela i consumatori
Dario Dongo 10 Dicembre 2014Questa mattina il Ministero per lo Sviluppo Economico ha spedito alle associazioni di categoria una versione aggiornata della bozza del “decreto Renzi” che introdurrà ulteriori modifiche al già ripetutamente vessato decreto legislativo n. 109/92. Un lavoro che non ci piace, per diverse ragioni.
Sede dello stabilimento
Si annota con disappunto l’assenza di riferimenti alla sede dello stabilimento di produzione e/o confezionamento. Il governo continua a ignorare le diffuse istanze dei cittadini e dei protagonisti della filiera agroalimentare italiana che hanno aderito alla petizione lanciata dal sito Io Leggo l’Etichetta e sostenuta da Il Fatto Alimentare (leggi articolo).
I consumatori non potranno più affidarsi alla presenza obbligatoria dello stabilimento per distinguere e scegliere il prodotto realizzato in Italia, poiché il “made in Italy” verrà liberamente confuso con il “made in UE”, soprattutto sulle referenze a marchio del distributore (le cosiddette private label).
La cancellazione dell’obbligo di indicare la sede dello stabilimento costringerà poi le autorità sanitarie, nelle crisi di sicurezza alimentare, a dover attendere gli orari di apertura delle catene distributive per poter risalire all’origine del rischio e mitigarne gli effetti.
Allergeni al ristorante e nei pubblici esercizi
Il progetto di decreto introduce l’obbligo generalizzato delle collettività – vale a dire di mense, esercizi di catering, ristoranti, bar – di informare gli utenti sulla presenza o “possibile presenza” degli allergeni a decorrere dai 90 giorni successivi alla pubblicazione del decreto.
Le possibilità sono tre, indicare l’elenco degli allergeni direttamente sul menù o su un apposito registro custodito dal gestore, oppure attraverso un cartello unico (“su un cartello che avvisi della possibile presenza delle medesime sostanze o prodotti che possono provocare allergie o intolleranze e rimandi al personale cui chiedere le necessarie informazioni che devono risultare da una documentazione scritta e facilmente reperibile sia per l’autorità competente sia per il consumatore finale”).
Ma l’introduzione di tale obbligo dovrebbe venire raccordata con apposite previsioni sulle buone prassi e l’autocontrollo al preciso scopo di impedire le contaminazioni incrociate. Poiché altrimenti, i pubblici esercenti si “libereranno del problema” limitandosi ad affiggere nei locali un inutile cartello recante l’elenco completo degli ingredienti allergenici stabiliti nel regolamento.
Lo abbiamo scritto (leggi articolo) e sostenuto in ogni occasione: già a partire dall’entrata in vigore della prima “direttiva allergeni” (dir. 89/2003/CE) il cosiddetto “Cartello unico degli ingredienti” è fuori legge poiché in palese contrasto con le norme europee di riferimento. Laddove è prescritta un’informazione specifica sulla presenza di allergeni in ciascuno dei prodotti, venduti sfusi o preincartati, offerti in vendita.
Cartello unico degli ingredienti per pasticcerie e gelaterie
La bozza di decreto invece – oltre a introdurre l’ipotesi di cartello unico nei pubblici esercizi, come si è visto – prevede “per i prodotti della gelateria, della pasticceria, della panetteria e della gastronomia, ivi comprese le preparazioni alimentari e della macelleria, nonché per i prodotti tradizionale di cui nel decreto ministeriale del 18 luglio 2000, l’elenco degli ingredienti può essere riportato per tipologia di prodotti sul “cartello unico” di cui al DM 20 dicembre 1994 (…)”.
Si tratta di una previsione agghiacciante perché di fatto priva i consumatori vulnerabili di comprendere – nell’ambito di ciascuna delle tipologie di prodotti – quali possono venire consumati senza incorrere nel rischio di una reazione allergica. Se questa ipotesi sarà confermata, le associazioni dei consumatori avranno ragione di attivarsi presso la Commissione europea e ove del caso alla Corte di Giustizia, per infrazione delle regole comuni e grave danno ai consumatori allergici (vedi articolo).
La bozza di decreto si limita a prescrivere l’indicazione di un paio di notizie: denominazione di vendita dei prodotti, gli allergeni, “il nome o la ragione sociale dell’impresa responsabile della gestione dell’impianto”. Ma ciò non basta. Il consumatore che acquista cibi e bevande alla “macchinetta” dovrebbe almeno poter conoscere, prima dell’acquisto, due notizie essenziali:
– gli ingredienti di ciascuno dei prodotti esposti, notizia necessaria a comprendere la qualità degli alimenti (evitando, ad esempio, quelli che contengano olio di palma, o additivi non graditi),
– il nome del produttore e la sede dello stabilimento, almeno nei casi in cui volontariamente apposti, necessari per poter scegliere alimenti autenticamente “made in Italy”.
Poiché i tempi non sono mai brevi, possiamo solo sperare in un ravvedimento operoso dei Ministri interessati, per la salvaguardia dei consumatori e dei produttori italiani.
Dario Dongo
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Avvocato, giornalista. Twitter: @ItalyFoodTrade
Credo che debba prevalere il buonsenso. Se una persona è allergica, come me per esempio, si informa prima della presenza della sostanza che per lui è pericolosa. La responsabilità di un eventuale shock anafilattico non può essere attribuita per intero a chi somministra il cibo. La norma prevede che il venditore o il somministratore ne dia informazione ma non prevede le modalità. Una via di mezzo è quella di avvisare il consumatore in modo generico e di informarlo, se lo richiede, in modo specifico. Esattamente quello che fa la norma proposta dal MISE.
Omettere la sede dello stabilimento è la cosa peggiore di questo decreto, l’obbiettivo è favorire le multinazionali e le catene di Discount che potranno farsi produrre la pasta, ad esempio, nei luoghi più improbabili e a basso costo di manodopera, togliendo lavoro ai già barcollanti produttori italiani.
Riguardo agli allergeni il problema esiste, ma lo vedo di difficile soluzione, bisognerebbe fare dei cartelli informativi o menù in formato manifesto che sono obbiettivamente improponibili.
L’omissione dell’indicazione della sede dello stabilimento di produzione è applicabile solo per i “prodotti a marchio”. Anche la precedente legislazione europea non lo prevedeva, mentre quella italiana l’aveva prevista nella legge di recepimento. Io non sottovaluterei l’applicazione dell’art. 26 del Regolamento, che come sapete non ha ancora gli atti delegati per la sua applicazione. I ritardi con i quali saranno emanati la dice lunga sulla loro reale portata.
La legge italiana lo avevo previsto, ma di fatto per i prodotti di origine animale, tale obbligo era comunque “aggirato” con il bollo CE; analogamente a quanto avverrà con la nuova normativa. In sostanza, per i prodotti di origine animale non cambia niente.
Invito a leggere il mio post in questa sezione
http://www.ilfattoalimentare.it/nuove-etichette-alimentari-sintesi.html
Faccio presente che precedentemente tutti gli alimenti confezionati prodotti fuori dall’Italia non avevano l’obbligo d’indicare la sede dello stabilimento.
Pertanto l’obbligo dovrebbe essere esteso giustamente a tutti i prodotti, indipendentemente dal luogo di origine.
Partendo dal presupposto che chi ha letto il reg. 1169/2011 non può non convenire che il regolamento è stato scritto in modo serio e tecnico, quello che più da fastidio agli italiani è la mancanza delle “scappatoie”. A mio avviso la mancanza dell’indicazione obbligatoria dello stabilimento a mio avviso è corretta per i seguenti motivi:
1. nel resto dell’europa, e per i prodotti stranieri venduti in italia, si fa da sempre così e non mi risulta di aver visto grossi problemi;
2. Se uno vuole può comunque indicarlo
3. Molto spesso il fatto di essere prodotto in una città italiana era visto come sinonimo di genuinità, anche se in realtà tutti gli ingredienti non avevano mai visto la nostra terra
4. Creerà più distinzione per quei prodotti dop, igp, etc…. italiani, che sono comunque “obbligati” a scrivere la provenienza.
Secondo me quello che da più fastidio agli italiani è la mancanza della “proroga” a cui siamo sempre stati abituati!
Matteo,
hai ragione, ma la proroga in questo caso secondo il mio parere invece dovuta poichè sono le autorità questa volta ad avere sbagliato (ritardi nella emissione di linee guida/chiarimenti applicativi). quello che cercano gli italiani di solito è la “scappatoia” e ad oggi questo regolamento per quanto serio e tecnico di scappatoie ne lascia a mio parere troppe.
Cosa hanno fatto le Autorità in questi 3 anni dall’uscita del REgolamento? semplice ….. NULLA. Basti leggere i due articoli comparsi su Repubblica e sul Corriere a riguardo (forniscono anche informazioni differenti ed errate sui medesimi argomenti). Non voglio pensare cosa capisce o cosa si aspetta il consumatore ………
“Si tratta di una previsione agghiacciante” a meno che non stia parlando di una torta gelato, sig. Dongo, non vedo dove sia il problema, se segnalo gli allergeni nel libro unico del laboratorio artigianale a disposizione del cliente 🙂
NEGLI ALIMENTI VENDUTI O SOMMINISTRATI IN QUESTO ESERCIZIO, NON SI PUO’ ESCLUDERE LA PRESENZA DELLE SEGUENTI SOSTANZE:
Cereali contenenti glutine, cioè: grano, segale, orzo, avena, farro, kamut o i loro ceppi ibridati e prodotti derivati.
Crostacei e prodotti a base di crostacei.
Uova e prodotti a base di uova.
Pesce e prodotti a base di pesce.
Arachidi e prodotti a base di arachidi.
Soia e prodotti a base di soia.
Latte e prodotti a base di latte (incluso lattosio) .
Frutta a guscio, vale a dire: mandorle , nocciole , noci , noci di acagiù , noci di pecan, noci del Brasile, pistacchi, noci macadamia o noci del Queensland.
Sedano e prodotti a base di sedano.
Senape e prodotti a base di senape.
Semi di sesamo e prodotti a base di semi di sesamo.
Anidride solforosa e solfiti in concentrazioni superiori a 10 mg/kg.
Lupini e prodotti a base di lupini.
Molluschi e prodotti a base di molluschi.
Per altre informazioni chiedere al personale della ditta che è a Vostra disposizione.
Ma se gli allergeni sono da pericolosi a mortali, perchè mai un alimento confezionato deve riportarli in grassetto e invece un ristoratore o una mensa o un bar/paninoteca dovrebbe cavarsela con una lista e un richiamo generico del tipo “forse ci sono, arrangiati tu a decidere”. Certo che sarà oneroso e allora? è sicurezza alimentare o cosa?
C’è già l’HACCP che per gran parte dei locali pubblici è un foglio di carta in fondo a un cassetto e c’è la vana utopia di temperature idonee alla conservazione sicura, con piatti cucinati e lasciati a temperatura ambiente che a un cereus sembrerebbero le Maldive. E come è stato fatto notare, la questione è nota da anni quindi di scuse non ce ne sono proprio
…. ritorno sul “Cartello ingredienti”: vengono usualmente riportati gli ingredienti ed i possibili allegeni su info fornite dai produttori dei diversi prodotti. Ma il distributore (che sia un banco taglio, una gastronomia, un ristoratore) ha valutato ed integrato la possibile presenza di allergeni derivante dalla contaminazione crociata durante le operazioni da lui stesso svolte(es. uso di un coltello/cucchiaio/tagliere/lama affettatrice potenzialmente contaminato)? Normalmente l’HACCP viene applicato senza deroghe dai produttori (industria) ed applicato invece in modo discutibile da tutti gli anelli delle filiere a valle …. Es. perchè un produttore di salumi ha come punto critico “la conservazione refrigerata” del prodotto finito e poi il banco taglio può tenere i prodotti da affettare sullo scaffale a temperatura ambiente? forse che nel pdv i microbi non si sviluppano? Se un arrosto di tacchino contiene es. uova, il banconiere cambia la lama dell’affettatrice dopo averlo affettato prima di passare ad un altro prodotto senza allergeni? Secondo me no …… Quindi cade tutto il castello ……
Mi pare riduttivo limitare l’impatto dell’omissione dello stabilimento di produzione ai soli prodotti a marchio.
E’ evidente che il problema non è solo questo.
Chi si affida ad un marchio sulla base di una storia di produzione di un certo tipo potrebbe trovarsi con prodotti fatti altrove e spacciati come continuità di quella storia con stabilimenti smembrati, perdita di competenza e qualità. I casi (e non sono pochi) sono sotto gli occhi di tutti.
A me interessa poco (anzi nulla) di ciò che fanno i “partner” europei, mi interessa tutelare il lavoro, la storia e la qualità delle nostre realtà produttive.
Poi finiamola col dire che in Italia si cercano le scappatoie. Ci sono lobbies a livello europeo che lavorano costantemente al ribasso. Qua ci sono i furbetti altrove i furbetti operano direttamente a livello legislativo.
Maurizio, hai ragione al 100%.
Ti riporto un mio post già inviato in un’altra discussione su questi argomenti e su questo sito.
…. ritorno sul “Cartello ingredienti”: vengono usualmente riportati gli ingredienti ed i possibili allegeni su info fornite dai produttori dei diversi prodotti. Ma il distributore (che sia un banco taglio, una gastronomia, un ristoratore) ha valutato ed integrato la possibile presenza di allergeni derivante dalla contaminazione crociata durante le operazioni da lui stesso svolte(es. uso di un coltello/cucchiaio/tagliere/lama affettatrice potenzialmente contaminato)? Normalmente l’HACCP viene applicato senza deroghe dai produttori (industria) ed applicato invece in modo discutibile da tutti gli anelli delle filiere a valle …. Es. perchè un produttore di salumi ha come punto critico “la conservazione refrigerata” del prodotto finito e poi il banco taglio può tenere i prodotti da affettare sullo scaffale a temperatura ambiente? forse che nel pdv i microbi non si sviluppano? Se un arrosto di tacchino contiene es. uova, il banconiere cambia la lama dell’affettatrice dopo averlo affettato prima di passare ad un altro prodotto senza allergeni? Secondo me no …… Quindi cade tutto il castello ……
Saluti e buone feste a tutti!
Alessia
Quoto il sig. Luigi Tozzi!
La buona, vecchia “diligenza del buon padre di famiglia” (leggasi buon senso…) da sola dovrebbe bastare a garantire una corretta gestione del problema. Nel senso che lista dei probabili/possibili allergeni e la dicitura di una possibile “contaminazione” crociata tra gli alimenti dovrebbe bastare ampiamente. Chi sa di essere allergico a una qualche sostanza dovrebbe per primo preoccuparsi che questa non sia contenuta nella pietanza/bevanda che sta ordinando! Questo perlomeno per quanto riguarda la somministrazione; per quanto riguarda la vendita, posto che il “self service” è la modalità più diffusa di vendita, riterrei invece opportuno che le diciture sulle confezioni siano integrate dall’avvertenza di un possibile contenuto allergenico.
gentile avvocato Dongo,
Al di là del fatto che tecnicamente è possibile realizzare un cartello unico che informi dettagliatamente gli avventori di un ristorante sugli allergeni presenti nei piatti (qua a Torino lo abbiamo realizzato e l’associazione dei ristoratori EPAT lo sta già distribuendo e formando gli utilizzatori), Le chiedo in quale punto della normativa europea ci sarebbero gli estremi per definire “il cosiddetto “Cartello unico degli ingredienti” fuori legge poiché in palese contrasto con le norme europee di riferimento?
Cordialmente
Il motivo molto semplice per cui il trattamento dei ristoratori DEVE essere diverso da quello di chi produce e confeziona (o da quello dei supermercati che preconfezionano) è che quando mangio il ristoratore ce l’ho a portata di mano per chiedere. L’altro no.
Principio già saldamente affermato dal 1992, che ha portato proprio alla prima versione del cartello unico (che fu regolamentata per legge nel 1994 proprio per evitare furberie varie)
1. Il preconfezionato (finalmente) non esiste più per legge: preimballato o non-preimballato.
2. Il legiferatore europeo già nel 2013 aveva emanato una linea guida sul 1169, che solo ora chi di dovere sta leggendo 🙂
Comunque aspettiamo con calma le nuove risposte ai quesiti che usciranno x fine gennaio da parte della Comunità Europea. PS: non vedo dove la nuova versione della 109 possa migliorare (e non complicare) la norma europea.
Concordo col sig. Matteo: la “nuova versione del D.Lgs. 109” mi pare un guazzabuglio raffazzonato ed autocontraddittorio in più punti che può solo generare confusione normativa. Anche la bozza di decreto sulle sanzioni è più riconducibile all’opera di Kafka che a quella di Marc’Aurelio.
Se non vogliono capire, facciamoglielo capire non comprando i prodotti senza le info che vogliamo, come per es. lo stabilimento di produzione.