Pochi giorni fa Coldiretti ed Eurispes hanno presentato a Roma “Agromafie – 1° rapporto sui crimini agroalimentari in Italia”. Dal titolo avremmo sperato in una bella novità di giornalismo investigativo, nello stile di Roberto Saviano  o Paolo Berizzi . Il dossier purtroppo  focalizza l’attenzione su aspetti propagandistici a danno di imprenditori le cui oneste attività sono affiancate a quelle della malavita organizzata. Per dirlo in estrema sintesi Coldiretti mistifica le notizie, Eurispes le avalla e i giornalisti le riproducono in modo acritico alimentando così  il cumulo di bufale che circolano nel settore alimentare.

Agromafie (vedi allegato) non fornisce dati sulla  tratta degli schiavi in agricoltura, seppure il Segretario Generale della CGIL Susanna Camusso aveva denunciato 400.000 vittime dei “caporali” ogni anno in Italia e il ministro Maurizio Sacconi non aveva saputo fornire dati concreti su quanto eventualmente fatto per contrastare il fenomeno.

Coldiretti non propone nuovi impegni per promuovere la legalità. Non sarebbe stata una buona idea quella di introdurre un codice etico, espellere i mafiosi e gli imprenditori  che  cedono ai loro ricatti invece di denunciarli,  oltre a chi  si avvale della forza-lavoro offerta dai caporali?

 Le “rivelazioni” che profumano d’acqua di rose. Si spiega che in Italia esistono mafia, ‘ndrangheta, camorra e che queste organizzazioni diversificano gli investimenti “alla luce del sole” su terreni, edilizia, pizzerie e supermercati. Nessuna notizia di rilievo sul caporalato in agricoltura, né a eventuali legami tra la malavita e il settore agricolo. Il rapporto va alla deriva su incerti teoremi di “colletti bianchi che operano nel settore alimentare […] un ruolo strategico per le organizzazioni criminali inserite nel business delle Agromafie […] verso una zona neutra, di confine, nella quale  diviene sempre più difficile rintracciare il reato”.

Un capitolo del dossier  Agromafie  è dedicato all’Italian sounding, ovvero la parvenza italiana di un prodotto, che viene  erroneamente assimilato alla contraffazione e quindi identificato come il vero crimine. Si sparano un paio di cannonate contro coloro che all’estero presentano come italiani alimenti in realtà realizzati altrove. Una questione ben nota della quale si parla da anni, ma un pò più complessa rispetto a come viene tratteggiata. In molti casi infatti sono le imprese di emigrati di seconda o terza generazione a produrre alimenti ispirati alle loro tradizioni familiari, e tali prodotti sono commercializzati nel rispetto delle regole applicabili nei rispettivi mercati. Possono pure venire presentati con nomi e simboli evocativi del nostro Paese, senza però bisogno di nascondere il luogo di fabbricazione che in alcuni casi è invece ragione di vanto. Proprio come le “linguine Ronzoni”   denunciate nel rapporto Coldiretti-Eurispes, rigorosamente “made in USA” grazie all’opera di un giovane intraprendente che da San Fruttuoso ligure emigrò a New York nel 1881, e dei suoi eredi.
Il dossier “Agromafie” scivola così su grossolani errori:
1) Che cosa c’entrano gli “spaghetti prodotti in Portogallo coi “crimini agroalimentari in Italia che danno il titolo al rapporto? Fuori tema direbbe la maestra !
 
2) Se un imprenditore produce e vende in USA “linguine Ronzoni, risotto tuscan e polenta” non realizza alcuna contraffazione né un crimine. Bocciati tutti in diritto commerciale e penale internazionale.
 
Ed ecco la notizia super-bufala :“Ogni anno vengono sottratti al vero Made in Italy 51 miliardi di euro”, si trova a pagina 5 del rapporto.  Il calcolo è così fatto: “nel nostro Paese sono importate nel 2009 circa 27 miliardi di euro di materie prime, che vengono  vendute direttamente in Italia,  con un marchio “Made in Italy” oppure trasformate tramite almeno un processo dall’industria alimentare, e che, secondo la normativa attuale, possono fregiarsi del marchio Made in Italy”.

A questo punto secondo Coldiretti bisogna sommare l’ammontare delle materie prime importate al valore aggiunto realizzato in Italia e si arriva a circa 51 miliardi di valore. La conclusione è  sbalorditiva, perchè secondo questo ragionamento gli alimenti trasformati a partire da materie  prime importate sottrarrebbero  al vero Made in Italy 51 miliardi di euro!
Per rendersi conto dell’assurdo
basta leggere il comunicato redatto dall’Associazione industriali mugnai d’Italia. Il testo ricorda che la produzione nazionale di grano copre meno del 55% del fabbisogno. Per cui o si importa grano di qualità (che i soci di Coldiretti non sono in grado di fornire ) oppure non si  produce pasta di qualità.

Ma ciò che più disturba è la messinscena che accosta il crimine con le pratiche commerciali e industriali di imprenditori del settore. I quali importano materie prime straniere – spesso pagando un maggior prezzo, cui si sommano i costi di trasporto – perché l’agricoltura nazionale non basta, le sue derrate difettano in quantità, qualità e varietà. Purtroppo i giornali continuano a a copiare i comunicati stampa di Coldiretti dimenticando la prima regola del mestiere quella di verificare la fondatezza  notizie.
Ma dove sono i veri inganni, a tavola o sui giornali?
Dario Dongo

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