Un’inchiesta della rivista Eurofishmarket (numero 1 del 2011) denuncia l’uso generalizzato di sostanze chimiche e additivi alimentari per mascherare i processi di alterazione del pesce, per migliorare l’aspetto e aumentare in modo artificioso il peso. Nella maggior parte dei casi non ci sono pericoli per la salute, perché si tratta di additivi autorizzati utilizzati in modo scorretto.
Additivi nel pesce: cosa dice la legge
La legge infatti autorizza nel pesce fresco, congelato e surgelato e nei filetti non lavorati (congelati o surgelati) alcuni additivi: quando è necessario, quando si riscontra un effettivo vantaggio per i consumatori, quando il loro uso non induce a credere il falso e, ovviamente, non costituire un rischio per la salute.
Purtroppo una norma così semplice e chiara (regolamento CE 1333/2008) non sempre viene applicata in modo regolare. Gli esempi non mancano, basta citare il monossido di carbonio usato per migliorare il colore del tonno e i polifosfati aggiunti per incrementare la quantità di acqua trattenuta e aumentare il peso dei filetti. Le tecniche sono varie: spesso si effettua l’iniezione di una soluzione contenente l’additivo, oppure si lascia il pesce in ammollo in acqua in modo che il principio attivo venga assorbito.
Quando il pesce fresco viene ‘trattato’ con additivi leciti deve essere classificato come prodotto alimentare ‘trasformato’, e quindi non si può scrivere sull’etichetta la parola fresco ‘fresco’, e non si deve lasciare credere al consumatore che sia tale. Ci sono poi altre questioni collegate alle false scritte in etichetta come: il rischio di allergie per le persone sensibili, la possibile frode commerciale dovuta alla vendita di acqua al posto (o allo stesso prezzo) del pesce, l’utilizzo di sostanze che non sono registrate come additivi come l’acqua ossigenata.
I casi di frode più frequenti
Non si tratta di casi isolati visto che secondo il rapporto del Sistema di allerta rapida europeo (Rasff) le frodi e le furberie nel settore ittico sono in crescita. In particolare nel 2009, 32 segnalazioni su 712 (il 4,5%) hanno riguardato irregolarità nell’uso degli additivi nel pesce.
Gli esperti di Eurofishmarket hanno prelevato dal mercato e esaminato in laboratorio numerose specie di pesce alla ricerca di polifosfati, citrati e acqua ossigenata. Le analisi hanno constatato che:
- sono presenti additivi consentiti e non consentiti;
- a volte quelli consentiti sono utilizzati in quantità superiore ai limiti;
- alcuni additivi sono usati per alterare la percezione della freschezza (e quindi ingannano il consumatore);
- alcuni additivi sono usati per trattenere liquidi (dando luogo a una vera frode commerciale);
- alcuni additivi non sono indicati in etichetta o comunque non in quella visibile dal consumatore.
I polifosfati nel pesce
In particolare, i polifosfati hanno azione legante e si usano per impedire al pesce di perdere l’acqua. Si tratta di un rallentamento del processo naturale che permette al pesce di mantenere un aspetto ‘fresco’ più a lungo. Questo trattamento è forse un po’ ingannevole, ma è permesso dalla legge e va indicato sull’etichetta. Se per i polifosfati è prevista una dose massima di impiego (5 g/kg per i filetti), per la maggior parte degli altri additivi utilizzati nel settore ittico la norma stabilisce solo la frase ‘quanto basta‘.
Nel corso delle analisi di laboratorio Eurofishmarket ha trovato possibili segni dei polifosfati (fosfato bibasico, che potrebbe essere un prodotto finale della degradazione dei polifosfati) in 7 campioni su 17, in una seconda campionatura le positività hanno interessato 9 dei 14 campioni analizzati, e in una terza serie di pesci 17 su 22.
L’aspetto curioso è che sulle etichette nessun campione citava la presenza di polifosfati. Alla fine nel 62% dei campioni esaminati sono stati trovati polifosfati non dichiarati in etichetta. La percentuale arriva all’84% per i filetti di pesce (21 casi positivi su 25). Le percentuali più elevate di additivi sono state trovate proprio nel prodotto venduto come ‘fresco’.
I citrati
Se per i polifosfati non c’è la certezza matematica che siano stati iniettati, perché degradano in fretta e il fosfato bibasico che si riscontra nelle analisi potrebbe in linea teorica derivare da cause fisiologiche o da altri coadiuvanti tecnologici, la presenza di citrati è invece sicuramente indice di un’aggiunta artificiale (l’acido citrico è totalmente assente nel pesce). Questa sostanza viene utilizzata per prolungare la conservazione proteggendo il pesce dall’ossidazione, riducendo così l’irrancidimento dei grassi e le modifiche di colore. Il citrato non è tossico (è l’acido più presente negli agrumi) e quindi non ci sono limiti quantitativi: si ritiene che la dose giornaliera accettabile sia fino a 20 mg/kg.
Gli esperti di Eurofishmarket lo hanno trovato in abbondanza in alcuni campioni di filetti di Alaccia asiatica (286 mg/kg) congelati, di filetti di Platessa surgelati (1.140 mg/kg), e in un filetto di Platessa venduto come fresco (2250 mg/kg), senza che fosse dichiarato in etichetta. In conclusione, il 36% dei campioni sono risultati positivi, e in particolare modo si tratta di pesci piatti, cefalopodi e pesce azzurro.
L’acqua ossigenata
L’uso di acqua ossigenata nei prodotti ittici è vietato, ma in realtà il sistema viene utilizzato spesso, tanto da aver provocato la pubblicazione di una Circolare del ministero della Salute che ribadisce il “divieto di utilizzo di perossido di idrogeno a contatto con il pesce destinato al consumo alimentare umano”.
L’acqua ossigenata viene usato in modo illecito perché rende più bianche le carni, in particolare dei cefalopodi (per esempio seppie, calamari, totani) il cui candore è particolarmente apprezzato dal consumatore.
Per vedere gli effetti dell’acqua ossigenata, gli esperti hanno confrontato il decadimento qualitativo di un campione di alici dopo 4 giorni di sosta in frigorifero rispetto a un gruppo di alici trattate con acqua ossigenata. Il risultato è interessante perché le alici non trattate hanno perso tutte le caratteristiche di freschezza (occhio opaco e infossato, opercoli bruno-giallognoli, tracce ematiche…), mentre quelle lavate con acqua ossigenata sembrano appena pescate. La stessa cosa si registra per i filetti di alici non trattati che diventano di colore rosso scuro, mentre quelli trattati mantengono un colore bruno chiaro tendente al giallo.
Purtroppo dimostrare con certezza l’uso di questa sostanza è molto difficile, perché i perossidi, una volta esplicata la loro azione, scompaiono.
Serve più correttezza sulle etichette
I dati di Eurofishmarket evidenziano l’uso frequente di additivi in alcuni tipi di pesce fresco (che non si può più chiamare così) non dichiarati in etichetta come prescrive la legge. L’aspetto allarmante è che gli additivi il più delle volte non sono utilizzati per uno scopo tecnologico, ma per mascherare il reale stato di freschezza, variando la colorazione, l’aspetto o aumentando il peso in modo artificiale. C’è anche il probabile uso di sostanze vietate, per le quali dovrebbe essere messo a punto un metodo ufficiale per rintracciarle. Insomma: il Regolamento (CE) 1333/2008 non sembra correttamente applicato.
Gli additivi alimentari però non vanno demonizzati quando sono usati nei modi previsti dalla legge. I consumatori però devono saperlo e le etichette devono essere corrette. In realtà spesso le violazioni avvengono perché i produttori cercano di venire incontro a esigenze estetiche, che però non sempre coincidono con il valore nutrizionale e la salubrità di ciò che mettiamo nel piatto.
Mariateresa Truncellito
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Credo in questo momento sia difficile poter affermare con certezza che si inganna il consumatore e che si violi una norma di facile applicazione. Infatti molte di queste sostanze possono essere classificate come coadiuvanti tecnologici e recentemente il nostro stesso Ministero della Salute ha confermato il possibile impiego nella sbiancatura della trippa.ALcune di queste miscele sono autorizzate come coadiuvanti tecnologici in altri paesi UE e si rischi quindi di generare un mercato e un sistema di controlli molto diverso tra un paese e l’altro.Ritemgo che si debba meditare attentamente su questo e potremmo anche poi concludere diversamente da quanto qui proposto.
Concordo nel settore esistono dei veri banditi che usano in modo indiscriminato sostanze additivanti autorizzate e no
Un esempio per tutti : Il famigerato "CAFADOS" non rilevabile alle analisi . Liberamente in vendita su vari siti internet che ha come scopo precipuo quello di mascherare incipienti stati alterativi del pescato .
Saluti Aroldo
Conosco quella nota Consentimi di affermare che e quanto meno disarmante . Ed induce ulteriori dubbi interpretativi . Comunque in caso il problema evidenziato nell’articolo esiste ed e in espansione . Sia a livello di additivi consentiti , i quali quando usati Dovrebberò unicamente sortire vantaggi anche per "gli acquirenti di medie cognizioni merceologiche" ( Come sosteneva un anziano collega da qualche anno in pensione) .
Ritengo , seppur tra numerose difficoltà di varia natura questi aspetti non possono (Almeno nelle caratteristiche meno tecniche e piu accessibili) appannaggio esclusivo di una cerchia ristretta di eletti .
Inoltre di fronte agli ultimi episodi di trattamento illecito dei prodotti ittici " Con l’uso del famigerato CAFADOS " liberamente acquistabile in rete . Attraverso siti specializzati i quali senza nessun ritegno illustrano chiaramento lo scopo di questa sorta di additivo cioè "Mascherare l’incipiente stao di alterazione dei prodotti della pesca .
Col vantaggio (almeno fino a poco tempo fa) che in sede analitica non è possibile rilevare tracce del suddetto trattamento .
Saluti Fabio
o
Temo ci sia un poco di confusione.
Per quanto attiene l’impiego di acqua ossigenata, il MinSalute, in realtà , ne ha espressamente VIETATO l’impiego con la sua circolare n. n°13093 del 29/04/2010: in essa si fa riferimento al pesce, ma dubito che ciò che è vietato per il pesce sia ammesso per la trippa …).
Per quanto riguarda, poi, la ‘scappatoia’ di considerare coadiuvanti tecnologici (quindi non dichiarabili) sostanze che, non rientrando nella normativa additivi, sarebbero vietate, andiamoci piano.
Date un’occhiata a queste due definizioni:
a) qualsiasi sostanza abitualmente non consumata come alimento in sé; aggiunta intenzionalmente ad alimenti per uno scopo tecnologico;
b) ogni sostanza che non è consumata come un alimento in sé; intenzionalmente utilizzata per esercitare una determinata funzione tecnologica;
Ci trovate delle differenze?
Eppure la prima si riferisce a prodotti regolamentati da liste positive, dosi e campi d’impiego (gli additivi), mentre la seconda riguarda le sostanze più varie (non ci sono liste positive), le quali, soprattutto, possono non essere dichirate, in quanto ‘non sono considerate ingredienti’ (i coadiuvanti).
E’ sin troppo chiaro l’uso che produttori ‘disinvolti’ possono fare di tale esenzione: meno chiaro mi pare il fatto che nessuno, tra i tanti ‘difensori degli interessi del consumatore’ abbia mai sollevato la questione.
Concordo pienamente con l’estensore precedente , riguardo i cosiddetti coaudiuvanti tecnologici ,iquali possono essere utilizzati in modo quanto meno disinvolto da qualche "Furbetto" .
Ho pero l’impressione onestamente che dal 1996 in poi la normativa di origine comunitaria accentui sempre di piu aspetti non molto chiari che certo non favoriscono gli interessi dei consumatori finali .
Non fare il paladino o demonizzare gli additivi non ho questa intenzione .
E mia opinione personale che quando nel lontano 1992 e stata estesa , praticamente a tutte le fasi della vita commerciale di un prodotto alimentare la possibilità di additivarlo non sia una bella trovata per vari motivi che sarebbero troppo lunghi da elencare .
Un ultima annotazione riguardo
la cosidetta rintracciabilitÃ
la quale e eretta ad una sorta di pannacea per tutte le problematiche del settore .
Quando poi vi sono ontraddizioni affatto secondarie con normative preesistenti (sempre di derivazione) comunitaria .
Un esempio : Il D.lgs.vo 109/92 modificato nel 2000 e poi dal d.lsvo 181/03 (taccio sull’ultima normativa nazionale "Santificata " in quanto sinceramente non ho ancora ben compreso se avra un futuro o andrà far compagnia alla Legge 2004 .
Ritornando alle contraddizioni
il mio pensiero alla lettera E od F (non ricordo) dell’articolo 3 del D.lgs.vo 109/92 .
in cui espressamente si fà obbligo di indicare in etichetta : il nome o la ragione sociale o il marchio depositato del produttore o del confezionatore o di un venditore in ambito U.E .
Ritengo queste informazioni di primaria importanza al fine di attuare una efficace rintracciabilità .
Credo che conosciate un paio di sentenze della cassazione civile le quali cassato alcune contestazioni su prodotti extra comunitari effettuate per la mancata menzione in etichetta del soggetto comerciale che ha introdotto il prodotto in ambito comunitario (Ora non ricordo le motivazioni) . Comunque è stata ritenuta sufficiente la menzione del produttore non comunitario .
E notorio, che tali prodotti possono subire vari passaggi e transazioni tra diversi soggetti commerciali comunitari e nazionali .
E ritengo che in caso si evidenzi una non conformità della matrice alimentare . La quale potrebbe rappresentare un pericolo immediato ed immanente per i consumatori
Per il quale necessità la tempestività per poter rapidamente circoscrivere il pericolo.
In una situazione del genere "la tempestività " rimarebbe una mera chimera.
A meno che ci trovi di fronte ad un prodotto che ha subito un massimo di tre passaggi .
Visto che l’etichettatura costiuisce se non il principale uno dei fattori piu importanti per l’attuazione di una efficace e tempestiva rintracciabilità , a fronte di una eventualità (affatto rara ed infrequente) come quella sopradescritta nutro seri dubbi sulla sua efficacia .
Saluti Fabio
conservanti si ma quelli che non fanno male alla salute mario