La legge del 2016 contro il caporalato ha rappresentato “un atto di civiltà” e ha consentito all’Italia di compiere un importante passo avanti nel contrasto dei fenomeni di sfruttamento del lavoro in agricoltura, introducendo misure come le sanzioni ai datori di lavoro, la confisca dei beni, forme di protezione per le vittime e ispezioni sul luogo di lavoro. Ora, però, a queste misure, prevalentemente di carattere repressivo, è necessario affiancare forme di prevenzione, agendo sui vari anelli della filiera con misure che intervengano prima del riscontro di un illecito e aumentando la trasparenza nella catena produttiva.
È quanto affermano le associazioni Oxfam Italia e Terra!, che hanno presentato un dossier intitolato Sfruttati, che fotografa il fenomeno del caporalato in agricoltura. Centinaia di migliaia di persone senza diritti, soprattutto donne e lavoratori stranieri, sottoposti ad abusi di ogni tipo: stipendi di gran lunga inferiori al minimo sindacale; sistematica violazione della normativa in materia di orario; condizioni di lavoro che mettono a repentaglio la salute; condizioni abitative e qualità della vita precarie, con lavoratori costretti a vivere in tuguri fatiscenti, tendopoli o container; un controllo pressoché totale delle vite dei lavoratori da parte dei datori di lavoro; abusi sessuali, fisici o verbali, e violenza nei confronti delle donne.
Il rapporto sottolinea come lo sfruttamento nei campi e il caporalato non siano altro che gli ultimi anelli di una filiera insostenibile, in cui i grandi marchi e le catene di supermrcati comprimono i costi riducendo a zero il margine di guadagno del produttore. “Una filiera di cui conosciamo poco o niente – come sottolineato in questi anni dalla campagna FilieraSporca – che vive nell’opacità e si autotutela schermandosi dietro codici etici e certificazioni tese a scaricare sul più piccolo responsabilità che invece vengono da lontano”, affermano Oxfam Italia e Terra!.
“Solo agendo sugli anelli successivi, facendo pressioni sulla grande distribuzione organizzata per rendere trasparente la filiera, si potrà ridare vita a un’agricoltura in affanno e a un made in Italy che appare sempre più ripiegato su se stesso, tra produttori strozzati e industriali con margini sempre più risicati. Perché il caporalato è una conseguenza di tutto ciò, e non una causa. E per estirparlo veramente non è sufficiente una legge, per quanto avanzata sia, ma serve una reale azione politica e culturale in grado di rilanciare tutto il comparto”.
Alla grande distribuzione organizzata le due associazioni avanzano precise richieste:
- Dimostrare la piena consapevolezza dei rischi di violazione dei diritti umani e dei diritti dei lavoratori esistenti nelle proprie filiere e impegnarsi a neutralizzarli;
- Aumentare gli sforzi per abbandonare definitivamente tutte pratiche commerciali scorrette come le aste al doppio ribasso, e impegnarsi ad adottare solo quelle che favoriscono il pieno rispetto dei diritti umani e del lavoro, e una distribuzione del valore più equa tra tutti gli attori della filiera;
- Migliorare in modo radicale livelli di trasparenza lungo tutta la filiera di approvvigionamento, rendendo pubbliche le informazioni relative ai fornitori di cui si servono e scegliendo di acquistare solo da quelli che dimostrano un forte impegno in tema di trasparenza.
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[sostieni]
Sarò pessimista, ma chiedere il contributo per la soluzione dei problemi della filiera agroalimentare, a chi questi problemi ha causato prevalentemente con una guerra all’ultima concorrenza, mi pare veramente un’illusione.
Un possibile sollievo dovrebbe passare attraverso gli accordi organizzativi all’interno della filiera stessa, come alcuni esempi di collaborazione già in atto ne dimostrano le possibilità di realizzazione (es. accordi Barilla-molini- coltivatori di grano italiano).
anche gli accordi di filiera potrebbero non essere soddisfacenti, in quanto non dovrebbero esimere le grandi marche dal conoscere le reali condizioni di produzione dei coltivatori, posti all’origine della filiera, senza lasciare che una firma apposta su un pezzo di carta possa bastare ad evitare abusi e soprusi.
Concordo con i molti dubbi sui controlli documentali a cascata, ma se il marchio di vendita finale ci mette la firma e la faccia, rischia molto di più di un singolo anonimo coltivatore/allevatore di materie prime.
Il guaio che in Italia ci vorrebbe un carabiniere/finanziere/forestale/veterinario-vigileAsl/avvocato/commercialista/ ecc..
per ogni singola attività esercitata…