Dopo la complessa vicenda dell’allevamento di polpi alle Canarie, la Spagna torna alla ribalta per un altro tipo di allevamento da molti considerato un azzardo e una fonte di sofferenze inutili per gli animali. Si tratta dell’allevamento in vasche a terra dei tonni rossi (Thunnus thynnus), detti anche a pinna blu. Nel luglio 2023, infatti, l’Istituto Spagnolo di Oceanografia (IEO) ha annunciato di essere riuscito a far riprodurre i tonni in un suo impianto, a Mazarròn, nella Murcia. Inoltre, l’Istituto ha intrapreso collaborazioni con due aziende, la tedesca Next Tuna, intenzionata a realizzare un suo impianto nella stessa zona, e la norvegese Nortuna, che vorrebbe costruirne uno nell’isola di Capo Verde, al largo dell’Africa.
L’allevamento spagnolo di tonno rosso
Al momento, nelle vasche dell’Ieo ci sarebbero già 2-3mila tonni del peso di 5-10 kg. Questi esemplari dovrebbero crescere fino a raggiungere i 30-40 kg nei prossimi due-tre anni, passando l’ultima parte della loro vita in vasche in mare. La fine arriverebbe poi con un colpo di pistola, oppure con una tecnica che prevede di estrarli dall’acqua e ucciderli con uno strumento apposito. È una procedura più dolorosa, ma utilizzata anche in altri allevamenti di tonni in mare aperto. Non si tratta, in realtà, di una prima assoluta: nel 2015 anche la giapponese Maruha Nichiro ha realizzato allevamenti a terra. È la prima volta però che si fa nel Mediterraneo.
Le obiezioni delle associazioni
Il tonno rosso è un animale che, da adulto, migra: nella sua vita di pesce selvatico percorre migliaia di chilometri. Già questo, come ha subito sottolineato l’associazione per il benessere animale Equalia, fa capire che tipo di forzatura possa essere farlo vivere in vasche, per quanto grandi e, come sostengono le aziende, poco affollate (con non più di 10 kg di tonno per metro cubo). Ma, soprattutto, della sua biologia si sa pochissimo. Per questo diverse associazioni ambientaliste come Aquatic Animal Alliance dell’Aquatic Life Institute, riferisce il Guardian, hanno sottolineato come il destino di questi animali sia imprevedibile, in condizioni di forte stress come una vasca, dove è inevitabile il contatto con gli esseri umani e con i consimili, e dove rumore e vibrazioni potrebbero fare il resto.
Le implicazioni ambientali
C’è di più. I tonni rossi mangiano altri pesci, con una resa sfavorevole pari a 3 o 4 kg di proteine per chilo di muscolo di tonno. Ciò significa che sarebbe necessario sfruttare pesci meno pregiati e che sarebbe sottratta all’alimentazione umana una fonte preziosa di proteine. Questo perché, secondo uno studio del 2017, fino al 90% delle farine usate per l’allevamento di pesci pregiati deriva da specie adatte al consumo umano. Le due aziende hanno già affermato di condurre ricerche su mangimi alternativi che contengano anche alghe, insetti, krill e altre proteine, ma in caso la produzione dovesse decollare, il problema resterebbe.
Inoltre, come emerso in un progetto pilota dell’Unione Europea chiamato Transdott lanciato nel 2012, la mortalità delle larve è altissima: a 30 giorni dall’ingresso nel vivaio, è ancora in vita solo lo 0,44% di quelle introdotte. Un valore considerevolmente più basso di quello riscontrato in natura, dove pure la mortalità è molto elevata, e ulteriore motivo di inefficienza del sistema. Gli animali, che entrerebbero nelle vasche come uova fertilizzate o come esemplari giovani stimolati con ormoni affinché si riproducano, sarebbero poi facilmente soggetti a infezioni, come sempre accade, che richiederebbero l’impiego di antiparassitari e antibiotici. E, qualora passassero in mare le ultime settimane, potrebbero provocare l’eutrofizzazione delle acque sottostanti, con i loro sedimenti, anche se il sistema di Next Tuna sembra prevedere un riciclo completo delle acque, senza dispersione, grazie a un metodo tenuto segreto ma nel quale, in compenso, secondo l’azienda non potrebbero entrare antibiotici.
Tonno rosso: una richiesta altissima
Le criticità sono numerose. Allora perché si vogliono allevare i tonni rossi a terra? La risposta è da ricercare nella situazione di questi animali, di cui al momento nel Mediterraneo si pescano oltre 600mila esemplari all’anno, secondo quanto si legge nella home page del progetto spagnolo. Si tratta di tutte le quote disponibili, destinate però a mercati non europei, proprio perché i rivenditori considerano le pesca non sostenibile e non lo propongono in Europa.
L’offerta è per il mercato asiatico e per quello nordamericano, che da alcuni decenni hanno iniziato a inserire il tonno rosso nel sushi, rischiando di causarne l’estinzione. Tra il 1966 e il 2018 la popolazione dell’Atlantico è stata depauperata dell’83%, anche se oggi la situazione è migliorata grazie a una serie di restrizioni introdotte a partire dal 2010.
Programmi ambiziosi
Next Tuna pensa di produrre 45 tonnellate di tonno rosso entro il 2025, e 1.200 tonnellate entro il 2028 nell’impianto in costruzione a Castellón de la Plana. L’idea è di far crescere gli esemplari e rivenderli quando sono ancora giovani alle acquacolture in mare aperto. .
La buona notizia è che il tonno rosso, quando è stressato, produce grandi quantità di acido lattico, che finisce nella carne degradandola, e rendendola inutilizzabile soprattutto per il sushi e il sashimi. Un’ottima motivazione per cercare di trattare questi giovani pesci nel modo migliore possibile. Ma la domanda resta: tenendo conto di tutti i fattori, è opportuno e soprattutto è giustificabile dal punto di vista della sostenibilità promuovere l’allevamento a terra dei tonni rossi, per il sushi?
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Giornalista scientifica