Sugar tax: sì o no? L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) non ha dubbi: l’applicazione di tasse sui prodotti zuccherati è una strategia che ha conseguenze solo positive, “win-win”, sia per i governi che per le persone, e per questo continua a stimolare tutti i paesi affinché ne adottino una. E infatti, secondo i suoi ultimi dati, quelli che l’hanno fatto sono già 108, pari al 51% della popolazione mondiale, e ne hanno applicato una soprattutto alle bevande, cioè una soda tax.
Le cosiddette SSB, o sugar-sweetened beverage (bevande dolce o dolcificate), sono infatti tra i prodotti considerati maggiormente responsabili dell’aumento dell’obesità, pur non essendo affatto indispensabili, anzi, essendo quasi sempre povere, dal punto di vista nutrizionale. Per questo sono ritenute quelle sulle quali intervenire primariamente.
L’idea di fondo è chiara: si applica una tassa ulteriore rispetto a quelle cui sono sottoposti tutti gli alimenti, nel tentativo di dissuadere i clienti dall’acquisto, e spingere le aziende a riformulare i prodotti, per non incappare nella tassazione.
Gli argomenti dei produttori
Tuttavia, gli oltre cento paesi hanno adottato soluzioni molto diverse, non sempre sostenute da prove scientifiche che ne dimostrino l’efficacia e la sostenibilità in termini sociali, esponendosi così alle critiche dei produttori. Le aziende, infatti, di solito sottolineano la possibile perdita di posti di lavoro e di introiti. Inoltre, affermano che le sugar tax sarebbero poco eque, perché colpirebbero soprattutto le persone meno abbienti.
Infine, continuano a sostenere, contro ogni evidenza, che non siano utili allo scopo per le quali sono varate, per esempio quando sono limitate alle municipalità, perché per i cittadini sarebbe fin troppo facile percorrere pochi chilometri e acquistare le stesse bevande altrove (ma diversi studi dimostrano che ciò non avviene affatto). Per questo l’OMS ricorda che è necessario svolgere un lavoro preliminare di studio, e poi varare norme razionali, i cui risultati siano già stati dimostrati, proprio per neutralizzare gli argomenti con i quali le aziende del settore tentano da sempre di boicottare queste iniziative.
Inoltre i governi dovrebbero essere del tutto trasparenti, e dire ai consumatori in che modo intendono utilizzare i proventi, che di solito vanno a finanziare iniziative che promuovono la salute quali la realizzazione di palestre e parchi, le campagne educazionali, il sostegno alla fornitura di frutta e verdura alle persone meno abbienti e così via.
La sugar tax va declinata
Ci sono comunque anche realtà nelle quali la situazione è complessa, come il Sud Africa, paese nel quale l’industria della canna da zucchero è una delle principali, ed è anche l’unica fonte di sussistenza per un milione di persone. La sugar tax è stata introdotta nel 2018, e il programma iniziale prevedeva un aumento nel 2023. Tuttavia, le grandi proteste dei lavoratori, unite alla diminuzione del prezzo dello zucchero sui mercati internazionali, e alla siccità ha convinto il governo a rimandare. Ora le aziende hanno due anni per riformulare le bibite, perché l’aumento sarà comunque introdotto.
Le declinazioni della Sugar tax
Le differenti tipologie di tassazione presenti rispecchiano, in parte, le condizioni del paese, soprattutto per quanto riguarda l’applicabilità delle norme. Come ricorda Food Navigator in un lungo articolo, i paesi più poveri (nei quali vive il 56% delle persone “sottoposte” a una sugar tax) incontrano maggiori difficoltà nel varare regole troppo complicate, mentre quelli più ricchi riescono a realizzare anche programmi ambiziosi. È il caso, per esempio, del Regno unito, paese dove la soda tax, entrata in vigore nel 2018, sta avendo un successo confermato da diversi studi.
Ridurre e riformulare
Lo scopo principale, in quel caso, è sempre stato quello di spingere le aziende a riformulare. E per questo esistono due livelli di tassazione, a seconda che la quantità di zucchero presente sia fino a 5 g/100 ml o superiore agli 8 g/100 ml. Ma per molti altri paesi controllare le quantità di zucchero dei singoli prodotti sarebbe tropo oneroso e talvolta non fattibile, e per questo optano per altre soluzioni, più semplici da applicare.
Quasi tutte le soda tax, comunque, comprendono le bibite gassate, gli energy drink e i succhi di frutta zuccherati, mentre la situazione è più eterogenea nell’ambito delle bevande dolcificate con sostanze artificiali o anche dolcificanti naturali. La tendenza, tuttavia, è di includere anche queste nella tassazione (lo fa, ormai, il 75% dei paesi), anche perché i dati confermano sempre più spesso i possibili rischi o effetti negativi per la salute.
Prodotti a base di latte e acqua
Per quanto riguarda i prodotti a base di latte, invece, solo il 43% delle tasse li comprende. C’è infine una distinzione tra zuccheri naturalmente presenti e zuccheri aggiunti: il 69% dei paesi tassa solo i succhi di frutta con zuccheri aggiunti, e solo un terzo (il 38%) anche quelli senza aggiunte e al 100% di frutta.
Non mancano infine le contraddizioni: alcune leggi includono anche le acque in bottiglia, contraddicendo così allo scopo primario, che è quello di far tornare le persone all’acqua (anche se è preferibile quella del rubinetto, per diversi motivi). Pur tra incertezze e standard da ottimizzare, in oltre cento paesi del mondo si deve pagare qualcosa in più, se si vuole bere una bevanda poco sana. Non in Italia, dove l’entrata in vigore della legge approvata nel 2020 continua a essere rimandata. Secondo l’ultima deroga, l’entrata in vigore è prevista per luglio 2024.
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Giornalista scientifica
Potenza delle lobby delle acque minerali, ci ritroviamo al punto di partenza, alla faccia della salute dei cittadini. Meglio il lavoro e i soldi.