Sono passati tre anni e mezzo da quando è stata introdotta, a Filadelfia e in altre sei città statunitensi, una sugar tax, una tassa sulle bevande zuccherate e su alcuni prodotti dolci. E quindi è possibile fare un bilancio per verificarne l’efficacia nel tempo. Per questo i ricercatori della Chan School of Public Health di Harvard, insieme ai colleghi di altre università e istituti, hanno condotto uno studio specifico, i cui risultati sono appena stati pubblicati su JAMA.
Per capire com’è andata, gli autori hanno analizzato gli acquisti di bibite del periodo compreso tra il primo gennaio 2017 e il 31 dicembre 2019 di oltre 4.700 consumatori in 116 negozi indipendenti. In particolare sono state considerate sia le referenze e le calorie acquistate, sia il prezzo pagato per ciascuna di esse. Hanno poi confrontato questi dati con quelli relativi a Baltimora, città dove non esiste una sugar tax. I ricercatori hanno valutato anche le differenze tra il periodo precedente l’introduzione della tassa e quello della sua piena entrata in vigore.
La tassa applicata da Filadelfia ha dato origine a un rincaro medio di 2,06 centesimi di dollaro per oncia liquida (poco meno di 30 millilitri), pari all’incirca a un aumento del 33% sulle bevande zuccherate, e al 36% per quelle con dolcificanti artificiali, rispetto al prezzo applicato a Baltimora agli stessi prodotti. Per quanto si tratti di una differenza non particolarmente onerosa, l’aumento ha avuto effetto. L’acquisto di bevande dolci è infatti diminuito di 6,1 once per persona, pari al 42% in meno a Filadelfia rispetto alla media degli acquisti degli abitanti di Baltimora, mentre non si sono viste variazioni significative tra le bevande non sottoposte a tassazione. Le calorie acquistate, di conseguenza, sono diminuite circa del 20%.
Anche se non c’è stata una valutazione specifica, inoltre, l’analisi sociodemografica dei dati ha mostrato che i cambiamenti di abitudini hanno riguardato soprattutto i quartieri più poveri, nei quali vivono le fasce più disagiate di popolazione, che sono anche quelle più attente ai prezzi, e con un rischio maggiore di obesità riconducibile proprio al junk food venduto a prezzi stracciati.
Lo studio degli esperti americani rafforza quindi altri dati analoghi già emersi in diverse parti del mondo, che dimostrano come una tassazione specifica, se non è così bassa da non essere percepita, aiuta a diminuire il consumo di bevande zuccherate. Inoltre, una sugar tax può stimolare i produttori a modificare le ricette per restare al di sotto della soglia di tassazione, e far crescere la consapevolezza di tutta la popolazione sui rischi di un consumo eccessivo e costante di zuccheri.
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Giornalista scientifica
Cosa si aspetta ad introdurre questa strategia nel nostro paese?
Oltre al primato per obesità infantile in Europa aspiriamo anche a quello mondiale.
Quando si prova a introdurla in Italia ci sono subito le multinazionali, e anche qualche politico, che minacciano o paventano la perdita di posti di lavoro e il grave danno economico che ne deriverebbe. Dimenticando così che le spese per queste malattie croniche sono infinitamente superiori, e che la costituzione, teoricamente, tutela il diritto alla salute degli italiani