Nel 2050 il mondo reclamerà il doppio del cibo che consuma oggi. A produrlo, ovviamente, dovrà pensarci l’agricoltura, ma attenzione: bisogna trovare il modo di aumentare la produzione agricola senza causare un collasso ambientale. Un modo che, secondo uno studio appena pubblicato sulla rivista scientifica Pnas da un gruppo di ecologi di varie università americane, passa attraverso il trasferimento delle tecnologie agricole più avanzate dai paesi industrializzati ai paesi in via di sviluppo.

Per costruire questa ipotesi sulla richiesta di cibo, gli studiosi sono partiti da una constatazione e da due proiezioni. La prima riguarda il consumo di alimenti che va di pari passo con il prodotto interno lordo: più è alto (cioè più è ricco un paese), più alimenti si consumano. Le proiezioni sono invece relative all’aumento della popolazione mondiale (oggi siamo sette miliardi, nel 2050 saremo nove miliardi) e al Pil (Prodotto interno lordo), che pare destinato a crescere del 2,5% l’anno. Combinando questi fattori, i ricercatori hanno elaborato una previsione sconcertante: tra meno di quarant’anni servirà il 100% di cibo in più rispetto a quello di oggi.

Come ottenerlo? Le vie principali sono due: aumentare l’estensione dei terreni destinati alle coltivazioni, oppure intensificare la resa di quelli coltivati. Se l’effetto delle due strategie in termini di produzione agricola è equivalente, di certo non lo è l’impatto ambientale, almeno secondo le simulazioni effettuate dai ricercatori.

Le conclusioni del lavoro sono chiare: il consumo di nuova terra non è sostenibile dal punto di vista ambientale. Questa pratica, tipica dei paesi in via di sviluppo, comporta la distruzione di ecosistemi, la perdita di biodiversità e il rilascio di grosse quantità di gas serra in atmosfera, con un peggioramento del fenomeno di riscaldamento globale. Gli ecologi stimano che se i trend agricoli di crescita rimarranno quelli attuali, nel 2050 le terre coltivate copriranno oltre un miliardo di ettari (un quarto della superficie boschiva mondiale).

 

L’alternativa migliore sarebbe puntare sulla tecnologia (fertilizzanti più efficaci, varietà colturali resistenti alle malattie o alle avversità ambientali, meccanizzazione delle operazioni). Pratiche agricole avanzate sono già in uso nei paesi sviluppati, e una lenta tendenza al miglioramento tecnologico interessa anche quelli in via di sviluppo. L’ideale sarebbe accelerare il trasferimento di applicazioni tecnologiche. Concludono gli autori: «Solo una traiettoria di sviluppo che adatti e trasferisca le nuove tecnologie ai paesi poveri, che ne potenzi la fertilità dei suoli, assicuri un più efficiente utilizzo dei fertilizzanti in tutto il mondo e limiti al minimo il consumo di nuove terre costituisce un percorso promettente rispetto alla possibilità di garantire riserve di cibo più eque per tutti, tramite un’intensificazione sostenibile della produttività agricola».

Valentina Murelli