Gruppo multietnico di studenti di medicina in uniforme seduti insieme alla scrivania con diversi oggetti medici in classe

sicurezza degli alimentiIl burro fa bene o male alla salute? E la dieta mediterranea è migliore di quella chetogenica? Il pesce, che ruolo ha nella prevenzione cardiovascolare? Su queste e molte altre possibili relazioni tra lo stile di vita – e, nello specifico, la dieta – e il rischio di sviluppare alcune malattie gli studi sono costanti, e i risultati spesso contraddittori. In base ai protocolli, alle metodologie, alla popolazione studiata e a numerose altre variabili, le conclusioni spaziano in un ampio range di possibilità, con il risultato che i messaggi che dovrebbero essere trasferiti al pubblico non arrivano o, peggio, arrivano distorti e mal interpretati. Come se ne esce? Secondo il gruppo dell’Institute of Health Metrics and Evaluation (IHME) della Washington University attraverso un nuovo metodo di valutazione della solidità dei risultati scientifici, che riprende l’impostazione delle etichette a semaforo, anche se in questo caso non ci sono i colori, ma solo un punteggio espresso in cinque stelle, dove il numero maggiore di stelle corrisponde un’evidenza scientifica più robusta. Il sistema, chiamato Onere della prova (Burden of Proof), è stato presentato con una serie di quattro studi su Nature Medicine. Due di essi riguardano l’alimentazione, e cioè il rapporto tra consumo di vegetali a foglia verde oppure carni rosse e malattie croniche.

Per ognuno dei temi, i ricercatori hanno analizzato centinaia di studi, per capire come cambia il rischio in funzione delle abitudini (i metodi più classici valutano l’aumento o la diminuzione del rischio, e quindi due valori statici nel tempo, mentre in questo caso si valuta un andamento nel tempo), e la qualità dei dati disponibili.

carne coltivata dieta
C’è la necessità di condurre studi molto più rigorosi sui rapporti tra classi di alimenti e malattie

Nel caso della verdura, hanno circoscritto il campo agli studi che hanno analizzato i vegetali non amidacei e hanno preso in considerazione la relazione con i due tipi di ictus (ischemico ed emorragico), con l’infarto, con il diabete di tipo 2 e con il tumore dell’esofago. Considerando il passaggio da un consumo minimo (una porzione o meno) alla dose media giornaliera che assicura un effetto positivo, compresa tra 306 e 372 grammi al giorno, il rischio diminuisce rispettivamente del 23,2% per l’ictus ischemico, del 15,9% per quello emorragico, del 22,9% per l’infarto, del 26,1% per il diabete 2 e del 28,5% per il tumore dell’esofago. Ma le prove a supporto non sono così solide come si potrebbe pensare: le tre stelle sono raggiunte solo dall’ictus ischemico, mentre le altre associazioni si fermano a due stelle, e quella con il diabete addirittura a una stella, perché gli studi sono troppo eterogenei e basati su protocolli pieni di difetti.

Con le carni rosse non processate, e quindi escludendo gli insaccati e le pietanze industriali, va anche peggio. Le prove a carico di una relazione tra il consumo e i tumori della mammella e del colon retto, il diabete di tipo 2, l’infarto sono deboli, e arrivano solo a due stelle, mentre quelle con i due tipi di ictus inesistenti (anzi, c’è qualche timido indizio di un possibile, lieve effetto protettivo, che merita una stella). E ciò porta a concludere che anche se vi è qualche prova di un aumento di malattie croniche e morte, i numeri non giustificano l’adozione di specifiche raccomandazioni.

Anche in questo caso, come nei metodi proposti in precedenza da altri, non mancano limiti e possibili errori, legati alla natura stessa di ciò che si cerca di valutare. Nel caso del cibo, infatti, intervengono numerose variabili, tra le quali l’assetto genetico di ciascuno, le eventuali malattie già presenti, la composizione del microbiota, e, soprattutto, l’eterogeneità degli alimenti, che sono sempre diversi, anche quando sono uguali (due mele possono contenere quantità estremamente variabili di nutrienti) della dieta, che varia di giorno in giorno e durante tutta la vita, e dell’interazione reciproca dei cibi nell’organismo, quasi impossibile da valutare. Ne è una controprova indiretta un altro studio della serie: quello relativo al rapporto tra fumo di sigaretta e malattie. In quel caso, poiché la variabile è del tipo sì/no, è relativamente facile calcolare il rischio, e infatti le evidenze raggiungono, per le patologie coronariche e i tumori del polmone, cinque stelle, e per molti tumori e malattie polmonari quattro stelle.

Il messaggio che emerge, al di là dei numeri e dei verdetti, ancora perfettibili, è comunque quello della necessità di condurre studi molto più rigorosi sui rapporti tra classi di alimenti e malattie, che giungano a un numero più elevato di stelle, e dai quali si possano trarre consigli e raccomandazioni scientificamente fondati.

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giova
giova
9 Novembre 2022 09:19

Concordo con la conclusione dell’Autrice.
E nel frattempo? Conviene basarsi su alcuni risultati confermati più e più volte. E cioè i rischi, per la salute propria e dell’ambiente, nel consumarre eccessive qantità di carne, darsi dei limiti consistenti nell’uso degli alcolici, non fumare, limitare gli alimenti ultatrasformati per la salute propria e per i processi energivori sottostanti, ecc. ecc. (tutto quello che sappiamo e non abbiamo QUASI più bisogno di ripeterci). In poche parole: sobrietà, oculatezza, avvedutezza. Poi ben vengano i nuovi studi, lieti di accoglierne i risultati (specialmente quando, come sul caffè, sono favorevoli a un loro consumo!).
L’altro aspetto, sociale, è come diffondere e divulgare questi risultati, con quali risorse. Perchè inutile girarci intorno: c’è un problema serio di passaggio dai concetti e acquisizioni scientifiche ai comportamenti effettivi e radicati; e pure GENERALIZZATI (cioè diffusi).

gianni
gianni
13 Novembre 2022 18:22

https://www.nature.com/articles/s41591-022-01973-2
The Burden of Proof studies: assessing the evidence of risk
Exposure to risks throughout life results in a wide variety of outcomes.
Objectively judging the relative impact of these risks on personal and population health is fundamental to individual survival and societal prosperity.
Existing mechanisms to quantify and rank the magnitude of these myriad effects and the uncertainty in their estimation are largely subjective, leaving room for interpretation that can fuel academic controversy and add to confusion when communicating risk.

Se questa è la considerazione sulla scienza di oggi …………………
Questa nuova suite di strumenti per dimostrare l’argomento in oggetto ha una sua solida logica ma considerata la complessità del tema non è da escludere che le controversie e la confusione aumenteranno anzichè diminuire, considerato che il riduzionismo ( che è lo stile di ricerca avanzato in vigore, ancora ) non ha cavato un ragno dal buco.
Noto con dispiacere che quando si parla di stile di vita quasi automaticamente si passa a parlare soltanto di alimenti e poco altro, peccato, a me sembra la sicura ricetta verso nuova confusione.

giova
giova
Reply to  gianni
14 Novembre 2022 14:17

Condivido la conclusione sullo stile di vita. Parzialmente quello sulla scienza: pure nella complessità vi sono dei rapporti di causa/effetto che vanno considerati. Cercando d’inserirli in una visione d’insieme – nello specifico, lo stile di vita. Una sintesi risultante da una ricerca anche personale.