Si chiama sportwashing, ed è una strategia di marketing che, mutuando le idee dalle grandi campagne delle compagnie di tabacco del Novecento, punta a far dimenticare gli effetti negativi sulla salute del junk food, associando centinaia di prodotti all’immagine degli sportivi, soprattutto di quelli più amati e vincenti. Il messaggio che deve passare è che se persone così in forma e capaci di prestazioni atletiche così eccezionali mangiano o bevono un certo prodotto, questo non può che contribuire a quel risultato. E, quindi, non fa male.
Di più: per conquistare sempre nuovi clienti, le campagne sono spesso rivolte esplicitamente ai più giovani, con lo scopo di fidelizzare per sempre i ragazzi, e da qualche tempo hanno iniziato a essere incentrate anche sullo sport femminile, che sta vedendo aumentare la quota di pubblico interessato. E poiché la stragrande maggioranza degli sponsor sono multinazionali per esempio dei dolciumi, degli energy drink, delle bevande zuccherate e degli snack è più che probabile che la situazione sia simile in molti paesi.
Per quanto riguarda il Regno Unito, paese che più di altri deve fare i conti con tassi di obesità allarmanti, e che sta varando un grande programma, la situazione è pessima, e molti esperti chiedono che di cambi direzione quanto prima, cioè che si vieti o si limitino fortemente le partnership tra produttori e atleti o squadre o società sportive.
Quasi cento contratti
La denuncia, e la relativa richiesta di una stretta, arriva dalle pagine del British Medical Journal, che ha effettuato un’indagine ad ampio spettro sugli eventi sportivi e sugli atleti inglesi, trovando un numero altissimo di sponsorizzazioni di questo genere: ben 95, comprese quelle degli ultimi Campionati europei di calcio femminile in corso in Svizzera, visti da 500 milioni di persone in tutto il mondo.

Tra i marchi più aggressivi vi sono Cadbury, PepsiCo, Kellogg’s, Walker e KP Snacks, che hanno stipulato gli accordi più significativi con il mondo del calcio, non disdegnando, però, gli altri principali sei sport amati dagli inglesi, tra i quali il ciclismo, il cricket e il golf.
Del resto, il mercato delle sponsorizzazioni sportive dal 2019 a livello europeo è aumentato del 19%, raggiungendo, nel 2024, la cifra record di 20 miliardi di sterline (più di 23 miliardi di euro).
La metodologia
Non esiste, comunque, un archivio ufficiale di queste sponsorizzazioni. Per tale motivo, gli autori hanno cercato nei siti ufficiali degli eventi e delle squadre, nonché sui media, per includere gli annunci fatti dagli uffici stampa dei campioni, delle squadre o delle aziende, in base a diverse parole chiave come sponsor, sponsorizzazioni o partner e partnership e poi hanno incrociato i dati con i post di Tik Tok o Instagram sempre degli atleti, delle squadre o delle aziende, per includere tutto ciò che è in essere e avere conferme.
Hanno così scoperto, oltre al numero complessivo di accordi (95), che le aziende utilizzando strumenti di vario tipo aggirano le limitazioni esistenti, e si preparano a fare lo stesso con quelle che dovrebbero arrivare.
In arrivo una stretta?
Nel gennaio 2026 nel Regno Unito dovrebbe infatti entrare in vigore una legge che vieta la pubblicità di junk food prima delle 21 di sera, approvata nel 2022 e continuamente rinviata a causa delle pressioni delle lobby dei produttori di junk food. L’appello degli esperti intervistati dal BMJ è a non rinviare più, per nessun motivo, l’entrata in vigore di quella norma, assicurandosi che copra il maggior numero possibile di comunicazioni e di prodotti, anche attraverso la rete e i social, diventati fondamentali nel mercato pubblicitario.
Nuove strategie
Ma le aziende, in realtà, stanno già iniziando ad adottare nuovi stratagemmi, come i loghi della Red Bull accanto ai campi di calcio, o quelli del Kit Kat nelle gare di formula uno o, ancora, la presenza di prodotti vari durante le conferenze stampa, la vendita di lattine a edizione speciale e limitata o i premi a sorteggio come la possibilità di vedere gli incontri dal vivo, acquistando una o più confezioni. In più, alcune di esse come Cadbury associano le vendite ad attività benefiche, per esempio per i non udenti o per gli anziani. E ora i produttori puntano a escludere il marchio generale da eventuali divieti, cercando di circoscrivere le eventuali limitazioni ai singoli prodotti: un altro escamotage che permetterebbe loro di continuare a fare sportwashing e a promuovere il junk food.
Uno dei settori che si distingue per aggressività, inoltre, è quello degli energy drink, che il servizio sanitario (National Health Service) sconsiglia esplicitamente ai bambini e ai ragazzi under 16 e la cui vendita dovrebbe essere vietata appunto in base all’età, secondo quanto annunciato. Eppure, anche nel testo dei provvedimenti annunciati, non si fa cenno alla pubblicità: una grave lacuna, secondo gli autori, specie se si considera che, solo tra il 2023 e il 2024, e solo per quanto riguarda il calcio, la spesa pubblicitaria di queste aziende è cresciuta del 17%.
Una strategia multiforme
Da quando i social hanno assunto un ruolo di importanza assoluta, le campagne sono pensate per diffondersi attraverso tutti i media, in modo coordinato e quasi sempre con una cadenza temporale precisa, che inizia mesi prima dell’evento e passa da un mezzo di comunicazione a un altro a seconda del momento.
È evidente che difendersi da un assalto così massiccio è quantomeno complicato e oltretutto, almeno per ora, il governo britannico non sembra intenzionato a muoversi con decisione in questa direzione. Anzi, ha affermato di voler lavorare con le aziende, e di voler monitorare che cosa accadrà dopo l’entrata in vigore di norme quali il divieto generico di pubblicità televisive prima delle 21 prima di pensare a iniziative legate specificamente al mondo delle sponsorizzazioni sportive: una prova evidente della sottovalutazione che c’è sempre stata e che è tuttora presente, rispetto alle ripercussioni dello sportwashing.
Sportwashing e pubblicità
Alcuni esperti interpellati dal BMJ hanno comunque proposto l’approccio che porrebbe fine a tutti i distinguo e a tutte le eccezioni alle regole, e che sarebbe anche molto più semplice da far rispettare: visti i tassi di obesità e sovrappeso inglesi, più elevati della media europea, si dovrebbe semplicemente vietare qualunque tipo di pubblicità per tutti questi prodotti e in ogni tipo di manifestazione sportiva, come accade per le sigarette che tanto hanno ispirato il marketing attuale.
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Giornalista scientifica



lobby, lobby e ancora lobby che interferiscono nel ruolo guida di un governo… l’unica soluzione, a simili colpevoli immobilismi politici, è l’introduzione a scuola di una materia che riguardi l’alimentazione, sin dal primo grado di istruzione.
Pienamente d’accordo. Almeno si da uno strumento alle persone per capire meglio cosa c’è dietro ogni campagna di marketing. Lasciando perdere gli adulti con poco cervello sicuramente i giovani sono quelli più facilmente indirizzabili anche per mancanza di esperienza. Dopo i processi alle grandi compagnie del tabacco con al soldo una schiera di medici e ricercatori che dicevano non causare il cancro chiunque con un pò di capacità critica dovrebbe aprire gli sul mondo in cui viviamo ma non è così. Quindi ben venga una materia a scuola