Semplici, diretti, mai autoritari e un po’ sfiziosi: dovrebbero presentarsi così gli SMS pensati per veicolare agli adolescenti informazioni su sane abitudini alimentari, almeno secondo quanto emerge da un’indagine condotta negli Stati Uniti, in cui sono stati ampiamente coinvolti proprio i diretti interessati.
L’idea è venuta a un gruppo di antropologi e nutrizionisti dell’Università di Tucson, in Arizona, partendo da una riflessione: molti dei programmi messi a punto per cercare di contrastare l’epidemia di obesità che interessa sempre più ragazzi americani (e non solo) di fatto non funzionano. «Spesso si tratta di programmi educativi realizzati in ambito scolastico, che danno risultati limitati o poco duraturi» affermano Melanie Hingle e colleghi dalle pagine del Journal of Nutrition Education and Behaviour. «C’è dunque bisogno di trovare nuovi approcci che siano effettivamente in grado di coinvolgere i ragazzi in attività adatte alla loro età, da svolgere anche al di fuori della scuola». Naturale che il pensiero corra subito agli SMS, mezzo di comunicazione fondamentale tra adolescenti: secondo dati recenti di WebCitation.org, il 75% dei ragazzi americani possiede un telefono cellulare e uno su due invia più di 50 messaggi al giorno.
Alcuni esperimenti sull’utilizzo di SMS per trasmettere informazioni o consigli sullo stile di vita sono già stati fatti (anche nel nostro paese, come nell’ambito del progetto EAT), ma manca una riflessione approfondita su quali messaggi sia meglio veicolare, in che formato e così via. «Per esempio, il fatto che i ragazzi facciano ampio uso degli SMS non significa che possano gradire messaggi in arrivo da fonti al di fuori delle loro cerchie sociali, come da insegnanti o operatori sanitari» scrivono gli autori. Che hanno dunque pensato di coinvolgere un buon numero di adolescenti nella progettazione di messaggi da sottoporre ad altri coetanei per valutarne il gradimento. «È come quando si sviluppa un nuovo prodotto» ha spiegato Melanie Hingle in un podcast pubblicato dal Journal of Nutrition Education and Behaviour. «Prima del lancio si fanno numerose prove con piccoli gruppi di possibili consumatori. In questo caso, il prodotto è l’educazione alla sana alimentazione».
Gli studiosi hanno elaborato ben 300 SMS relativi a diversi argomenti: diete ipercaloriche, consumo eccessivo di bevande zuccherate, porzioni giganti, scarso consumo di frutta e verdura, livelli di attività fisica, abitudine a saltare la colazione e così via. Diversi anche i formati proposti: messaggi semplici e diretti, piccoli quiz, ricette veloci, sondaggi sulle abitudini alimentari. In un secondo momento, hanno discusso questi messaggi in una serie di focus group e incontri in classe, individuando quelli preferiti, che sono stati sottoposti a valutazione in un ulteriore studio. In tutto, sono stati coinvolti 177 partecipanti tra i 12 e i 18 anni di età. Ecco che cosa è emerso.
Sì ai messaggi corti, su temi che li toccano personalmente «Le ragazze americane tra i 12 e i 19 anni consumano in media 650 lattine di bibite zuccherate all’anno» e formulati in modo molto diretto. Per esempio meglio «La pubblicità ti inganna: dice che un cibo ha meno grassi, ma in realtà ha più zuccheri» a «Cibi con ridotto contenuto di grassi spesso contengono zuccheri aggiunti, per cui le calorie sono le stesse della versione non light».
Sì ai messaggi che fanno ampio uso di pronomi personali, percepiti come più diretti «Mangiare cibi ricchi di proteine ti aiuta a sentirti sazio. Vuoi vedere qualche esempio di alimento proteico?» e a quelli curiosi, da condividere con gli amici («Originariamente le carote erano viola»). Sì anche a SMS facilmente traducibili in buoni comportamenti «Camminare aiuta a bruciare 60 calorie per km», alle ricette purché veloci e realizzabili senza l’aiuto di adulti, a suggerimenti su alimenti particolari (vegetariani, dietetici, per sportivi o per la bellezza di pelle e capelli). Molto gradita anche la possibilità di rispondere agli SMS, inviando a un esperto domande di approfondimento.
No, invece, ai messaggi autoritari, che contengano parole come «mai» o «sempre»: i ragazzi hanno dichiarato più volte che non amano sentirsi dire che cosa fare. Guai a cominciare un messaggio con «Sai che…»: come ha commentato un partecipante, «passa immediatamente la voglia di sapere il resto». No anche all’affollamento (più di due messaggi al giorno stufano) o a informazioni su temi già conosciuti, per esempio «I ragazzi in sovrappeso hanno maggior probabilità di avere elevati livelli di colesterolo o di pressione».
Certo, lo studio condotto è numericamente piccolo e ha alcune limitazioni, ma è un primo passo interessante per concentrarsi su quello che potrebbe essere davvero utile per sensibilizzare i più giovani a un sano stile di vita. Il passo successivo, naturalmente, sarà verificare che tutto ciò funzioni davvero e porti a un cambiamento effettivo nelle abitudini.
Valentina Murelli
Foto: Photos.com
giornalista scientifica