Sta destando molto scalpore la notizia dell’intossicazione da Norovirus di 90 passeggeri e 13 membri dell’equipaggio della nave da crociera Ruby Princess, partita il 29 gennaio da Fort Lauderdale, in Florida, e diretta ai Caraibi, perché
arriva dopo un’altra intossicazione identica verificatasi in un’altra nave, la Crown Princess, non più tardi di una settimana fa. Soprattutto, perché entrambe appartengono alla flotta della Carnival, il colosso della crociere di cui fa parte anche la Costa Concordia.
Tuttavia le crociere, così come tutte le altre situazioni in cui molte persone sono a stretto contatto, rappresentano uno scenario quasi ideale per la diffusione del Norovirs, virus ad alta infettività e causa di tossinfezioni alimentari
violente.
Il Norovirus è uno degli agenti patogeni più sfuggenti ma anche uno dei più diffusi tra la popolazione. Negli ultimi anni l’ipotesi che questo virus abbia un’incidenza comparabile a quella di batteri come Escherichia coli o Salmonelle è sempre più una certezza. Potrebbe essere la causa delle gastroenteriti che spesso vengono confuse con altre infezioni e non sono riconosciute. Per questo la comunità scientifica sta cercando di affrontare meglio il probema, prendendo spunto anche da casi specifici come quello delle ostriche, consumate crude e contaminate che si registrano sempre con maggiore frequenza.
Uno dei segnali più forti in questa direzione arriva dall’Efsa (l’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare), che ha chiesto ufficialmente misure sanitarie più efficaci per proteggere i consumatori dall’esposizione al Norovirus, potenzialmente presente nelle ostriche. Si tratta di provvedimenti volti a garantire l’allevamento in aree incontaminate.
Il realtà il problema è che non ci sono limiti di legge per la presenza del virus nelle ostriche allevate e commercializzate nell’Unione Europea e che il Norovirus è un nemico subdolo. In merito, ci spiega Antonia Ricci, ricercatrice dell’Istituto zooprofilattico sperimentale delle Venezie e membro del panel sui rischi biologici (Biohaz) dell’Efsa, «I Norovirus sono difficili da studiare, non crescono in coltura e devono quindi essere identificati con tecniche di biologia molecolare come la Polymerase chain reaction (Pcr), che identifica il Dna del virus eventualmente presente. Per questo motivo ancora oggi spesso non vengono riconosciuti, diagnosticati, e misurati, anche quando provocano infezioni rilevanti, come spesso accade in comunità come campeggi, navi da crociera…».
La definizione di limiti accettabili è uno dei problemi più urgenti da affrontare anche secondo il panel Efsa Biohaz. Tre analisi effettuate in Paesi comunitari diversi hanno mostrato che, a seconda del limite Pcr, la percentuale di campioni di ostriche non conformi rilevate varia notevolmente. “È indispensabile stabilire quanto prima valori uguali almeno nei paesi dell’Unione Europea, definiti secondo metodiche standardizzate e facilmente riproducibili” commenta Ricci.
La definizione di limiti e tecniche di analisi non è l’unico punto su cui intervenire. Il virus si trasmette attraverso il consumo di alimenti o acqua inquinata da materiale fecale, oppure da persona a persona mediante contatto diretto o, per contatto con superfici infette. I molluschi bivalvi, come appunto le ostriche, costituiscono una fonte di infezione potenziale e un rischio per la salute umana, dato che vengono consumate crude e crescono in acqua. Per questo motivo – sottolinea l’Agenzia, è importante rivedere le condizioni di allevamento, fissando limiti molto più chiari e stringenti. La questione è delicata perchè: “la quantità di Norovirus riscontrata nelle ostriche varia e spesso si trova anche su partite che soddisfano gli standard di controllo stabiliti per i molluschi bivalvi”.
In attesa di ulteriori dati, dagli Stati Uniti arriva un messaggio diverso ma non meno preoccupante. Un’indagine svolta in più di 800 ospedali sparsi su tutto il territorio nazionale e pubblicata sull’American Journal of Infection Control, evidenzia il poco invidiabile primato che il Norovirus si è aggiudicato. Sui 386 casi di infezione ospedaliera e di chiusura temporanea di interi reparti registrati e indagati: nel 18% dei casi, il responsabile era proprio il Norovirus, seguito dallo Stafilococco aureo (17% dei casi), dall’Acinetobacter (13,7%) e dal Clostridium difficile (10,3%).
Contenere la diffusione di questo insidioso virus, potrebbe essere quindi uno strumento efficace anche per contrastare la piaga delle infezioni ospedaliere. Occorre però sottolineare che ostriche e molluschi bivalve sono solo una parte dei veicoli a fianco di altri “mezzi” come acqua, frutta e verdura.
Agnese Codignola
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