Dopo lo zucchero e le bevande gasate, si propone anche un’imposta sul sale. Mentre in Italia torna di moda la discussione su un’ipotetica tassa sul junk food grazie alle recenti dichiarazioni del ministro per la salute Renato Balduzzi, al congresso mondiale di cardiologia organizzato dalla World Heart Federation, in corso a Dubai, si discute di un’ipotetica tassa sul sale.
I cardiologi della School of Medicine dell’Università di Harvard guidati da Thomas Gaziano hanno reso noto gli effetti che avrebbe una riduzione del sale volontaria da parte delle aziende associata a una tassa nei 19 paesi emergenti, che rappresentano più della metà della popolazione mondiale.
I ricercatori che dovrebbero pubblicare i risultati definitivi dello studio entro la fine dell’anno, si sono basati sulle quantità massime indicate dalla Food Standards Agency. Gli alimenti scelti sono quelli individuati dalla Gran Bretagna che hanno portato, in pochi anni, a una riduzione del 9,5% del consumo. Lo studio ha preso in esame l’ipotesi di applicare allo stesso gruppo di alimenti i vincoli inglesi, e di adottare una tassazione sugli alimenti salati fosse incrementata del 40%, come avvenuto per il tabacco e come proposto per lo zucchero lo scorso mese di febbraio da un gruppo di ricercatori su Nature.
Un aumento della tassazione di tale portata – hanno dimostrato gli stessi ricercatori in uno studio precedente – causerebbe una diminuzione del sale pari al 6%. Ma combinando le due strategie si otterrebbero risultati significativi: gli infarti potrebbero calare dell’1,7 in Cina e dell’1,47% India, con una media generale variabile dal 2 al 3%, e gli ictus potrebbero diminuire ancora del 4% circa Secondo Gaziano questo potrebbe essere un modo semplice ed economico per diminuire il numero delle malattie cardiovascolari nei Paesi emergenti, dove le vittime stanno aumetando a ritmi preoccupanti (l’80% dei 17,3 milioni di vittime annuali delle malattie cardiovascolari risiede in questi Paesi).
Tuttavia resta qualche dubbio di carattere più generale. La tassa sul sale è solo l’ultima di una ormai lunga serie, dopo quella sul junk food, applicata ormai da diversi stati e quella sull’alcol per diminuire il consumo tra i giovani. La sensazione è che chi si occupa di prevenzione risentisse della crisi generale e abbia adottato come stategia la tassazione selvaggia. In questi casi, però, non mancano le voci critiche, perché resta da valutare se una tassazione possa avere effetti così significativi.
Al di là dell’effetto psicologico di una tassazione, che servirebbe a far considerare negativamente l’oggetto della stessa, è probabile che i risultati sarebbero difficili da valutare oggettivamente e quantomeno controversi. Forse puntare di più sull’educazione alimentare, sui limiti alla pubblicità e sul contenimento netto degli eccessi a monte, in particolare nella produzione degli alimenti pronti, avrebbe effetti più duraturi e rilevanti.
Agnese Codignola
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