La Camera ha approvato il testo unificato delle proposte di legge sulla “Disciplina dell’attività di ristorazione in abitazione privata”, che ora passa all’esame del Senato. Le nuove norme, approvate con 326 sì e 23 no, fissano paletti che dal mondo degli home restaurant vengono giudicati eccessivamente rigidi e tali da impedire lo sviluppo del settore. Il testo approvato dai deputati configura questa attività come occasionale e quindi pone il limite massimo di 500 coperti l’anno e un introito non superiore ai 5.000 euro. Le prenotazioni non potranno essere telefoniche ma dovranno essere effettuate esclusivamente attraverso piattaforme elettroniche e anche i pagamenti non potranno essere in contanti ma solo digitali. Il luogo dove viene esercitata l’attività dovrà avere la certificazione di agibilità e tutte le caratteristiche igieniche previste per le abitazioni. Il titolare del ristorante domestico dovrà anche stipulare un’assicurazione sia sulla casa sia per la copertura dei rischi derivanti dalla sua attività. Sarà vietato ospitare un home restaurant e contemporaneamente un B&B o una casa vacanze in una stessa abitazione.
La dichiarazione di avviamento attività (Scia) è stata trasformata in una “comunicazione digitale” da inoltrare al comune, secondo modalità che stabilirà il Ministero della Sviluppo economico, mentre il Ministero della Salute stabilirà le buone pratiche di lavorazione e di igiene, oltre alle misure per la lotta all’alcolismo. Non sarà richiesta l’iscrizione al registro degli esercenti il commercio. Una dura critica arriva dal presidente di Confedilizia, Giorgio Spaziani Testa, secondo il quale «la Camera dei deputati ha varato una normativa che dovrebbe essere più propriamente intitolata “Ostacoli all’attività di ristorazione in abitazione privata”. Nel testo, infatti, si leggono esclusivamente limitazioni, divieti, vincoli, restrizioni rispetto a un modo con il quale alcuni italiani tentano di darsi da fare per migliorare la propria condizione, nello stesso tempo contribuendo a muovere un’economia asfittica come la nostra. Ancora una volta, la furia regolatoria del legislatore italiano si avventa sulla libera iniziativa privata, pretendendo di determinarne ogni singolo aspetto ma finendo per affossarla o condannarla al sommerso. Non ci resta che sperare nel Senato».
Secondo Giambattista Scivoletto, fondatore di HomeRestaurant.com e amministratore di B&B.it, «l’obbligo di registrazione sulle piattaforme web e quello di acquisire pagamenti solo in forma elettronica impedirà l’85% delle probabili aperture».Un giudizio positivo arriva, invece, dalla Confcommercio, che ritiene «apprezzabile l’impegno che il governo sta mettendo in campo per regolamentare al meglio un fenomeno in forte ascesa come quello degli home restaurant, sul quale abbiamo rappresentato in ogni sede i rischi – economici, sociali e giuridici – che potrebbe generare, se non correttamente inquadrato. Il provvedimento andrebbe a nostro avviso ulteriormente migliorato, soprattutto per quanto riguarda le tutele per la salute dei consumatori, con l’obbligatorietà delle procedure Haccp sui temi della sicurezza igienico-sanitaria». Interviene anche l’Accademia della Crusca, definendo “sorprendente” che «all’art. 2 del testo approvato dalla Camera per definire tale attività il legislatore italiano debba ricorrere all’anglismo home restaurant, quasi che l’arte culinaria casalinga del nostro Paese abbia origini oltre Manica e la lingua italiana non disponga di un termine per designare ciò che si potrebbe senz’altro denominare ristorante domestico. Questo termine risulta non solo immediatamente comprensibile per tutti, ma riunisce semanticamente tutti gli elementi della definizione che il testo di legge fornisce dell’attività in questione».
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Sarà più facile aprire un ristorante cinese
Bravo! Ben detto!
I ristoranti cinesi, o i sushi restaurant (sempre cinesi) si moltiplicano come i funghi, cambiano magari gestione ogni tre per due, quando iniziano a conoscere il cliente evitano volentieri di fargli lo scontrino, ma va bene così! Il governo non ha mai nulla da ridire e non trova mai nulla da limitare…
Invece il ristorante domestico, che (come il nome giustamente suggerisce) trova collocazione tra le pareti domestiche, viene limitato e ostacolato.
E tutto ciò con il plauso della Confcommercio (ma che combinazione!), per la quale i ristoranti cinesi vanno bene anche se sono troppi, e quelli domestici vanno male anche se sono una realtà in embrione.
Ma che concorrenza sleale potrà mai arrivare da un ristorante domestico? Allora, con la stessa logica, dovremmo proibire le riunioni famigliari tra parenti e obbligarle a svolgersi nei ristoranti?
E poi non è scontato che un ristorante domestico non rispetti le norme igieniche… ma qualcuno, evidentemente, vuol vederci del male a tutti i costi.
Nella mia esperienza, indipendentemente dalla qualità del cibo che somministrano, i ristoranti gestiti da cinesi rilasciano sempre lo scontrino, anche ai clienti conosciuti. Cosa che invece assolutamente non posso dire per pizzerie e altri ristoranti gestiti dai nostri disonesti connazionali.
Che le organizzazioni no-profit che distribuiscono pasti ai bisognosi siano costrette a pagare il corso di formazione HACCP ai propri collaboratori, mentre chi percepisce denaro per somministrare cibo in ambito di ristorazione domestica no, mi sembra veramente aberrante. In aggiunta limiti così bassi (5.000 annui) non possono far altro che aumentare la quota di nero.
Un max di 500 pasti con 5.000 euro di introiti significa E 10.00 a pasto: dove e quando mai? Le proposte dei siti che propongono “ristorante domestico” parlano di E 20/30 a persona, dunque???
Da una parte ci si indigna quando si vedono frodi alimentari e scarsi controlli, dall’altra ci si indigna quando si predispongono norme e controlli: la perfetta sintesi di un paese allo sbando.
Personalmente trovo aberranti le dichiarazioni di chi si lamenta dell’introduzioni di norma a tutela della salute dei consumatori (ma anche per proteggere chi lavora bene dalla concorrenza sleale di chi lavorerebbe “al risparmio”) specie se per difendere un pericoloso vuoto normativo si piange miseria dicendo che “è un modo con il quale alcuni italiani tentano di darsi da fare per migliorare la propria condizione”… e quindi??? Per migliorare la propria condizione è lecito non seguire le norme igieniche e fare concorrenza sleale?
Lorenzo si riferisce al mio commento?Perchè altrimenti ha travisato la mia opinione
No, mi riferisco in particolare alle dichiarazioni riportate nell’articolo, nello specifico a quelle del lobbista (e a che titolo parla Confedilizia a proposito di ristorazione?).
Penso che se c’è clientela pagante, ci dovranno essere anche responsabilità da parte del gestore (padrone di casa). Di conseguenza ok a limitazioni, ma anche adeguamento a norme igieniche analoghe ad attività professionali, opportunamente dimensionate in base al numero di coperti.
Credo che, come sempre il politico si distingua per ottusità e incapacità anche a gestire un bilancio familiare !!! Mi spiegate come fa una qualsiasi persona sensata che voglia trarre una qualche utilità da questa attività a fare quadrare un bilancio: incasso massimo 5.000 euro annui, massimo 500 coperti (per cui si ipotizza un costo medio a pasto di 10 €), costo della materia prima, costo delle attrezzature, costo delle assicurazioni, costo degli adeguamenti sanitari, costo per la stesura di una pratica haccp, costo per l’applicazione della suddetta pratica, maggiori consumi di energia, maggiore consumo di suppellettili e mobili, maggior tempo da dedicare alla presentazione degli ambienti, tempo da dedicare alla preparazione, costi delle piattaforme per le prenotazioni, costo per gli incassi digitali….. Credo che se analizziamo anche solo questi aspetti, convenga fermare per strada i passanti e offrirgli la cena….costerà più o meno uguale e potrai farti degli amici.
Ma avete pensato cosa può accadere in un condominio dove un appartamento o più sono adibiti a ristorante?
Come si potranno conciliare le regole della civile convivenza quando solo l’apertura di un bar sotto casa crea problemi di ordine pubblico e schiammazzi non indifferenti?
Relativamente ai requisiti igienici provate a fare un confronto con la legislazione alimentare, talmente rigida per chi svolge una semplice attività di somministrazione caffè e briosche (Agibilità commerciale, requisiti strutturali, haccp, rintracciabilità, registrazioni, certificazioni dei fornitori ecc….) e una ristorazione in ambito privato che non richiede nulla di questo.
La strada del nero è asfaltata di norme incomprensibili ed inaccettabili come il POS domestico.
W l’Italia.
FINALMENTE!!! Saper cucinare non è un requisito che può permettere di portare avanti un’attività di questo tipo. Parliamo di cibo ovvero di salute. Molti, anche fra le persone di cultura, non conoscono le regole di base della conservazione degli alimenti, la catena del freddo e quant’altro. Dimmi tu se possono ‘servire’ pasti a pagamento in casa propria. E magari ti offrono del buon pesce crudo non abbattutto. Prego…andate pure|||